«Non è semplicemente un singolo pezzo fisico di PONTEGGIO.
Come nel brodo primordiale, rappresenta tutte le repliche
di un particolare pezzo di PONTEGGIO distribuite nel mondo.»
Poi si svegliò una seconda volta ed era ancora soltanto (e per fortuna) Er Capomastro.
Guardò il martello pneumatico – il suo primo martello che gli regalò il padre – poggiato accanto al letto e si slanciò nella memoria:
«V’è una nostalgia dei Ponteggi che non ebbero mai un cominciamento. Affondare la propria origine – non necessariamente connessa alla facciata d’un palazzo – in trame tubolari e assi di compensato è destinarsi un reale-immaginario.
Ora, quando si narra un sia pur sintetico assemblaggio, che fondandosi sul proprio non-esserci, sull’abbandono, sulla mancanza, non può che lasciarsi stilare dall’immaginario di questo stesso reale si vuol dire che il Ponteggio fu visitato da una storia che, inclusa la strage dei Capomastri, fu e continua ad essere il culto di tutte le altre storie e quartieri e condominî che quell’evento storico estromise. Ponteggi. Culla delle storie estromesse. Lutto d’urbanistica.»
Stanco ricadde nel terzo sonno, il più profondo, che avvicina alla morte.
Che fosse stato lo sgomento per il cielo, quel cielo che i Primi Capomastri avevano innalzato, cantiere antidiluviano – nessuno seppe mai come fu che accadde. Mentre risaliva lungo gli assi e le scale e il suo corpo si frammentava nelle reti di plastica e filo di ferro, Er Capomastro pensò al tempo. I compilatori dei sogni del Capomastro dicono che il tempo sul Ponteggio è il canto della sirena, e al canto della sirena non resta altro che oblio-di-Ponteggio e desiderio-di-Ponteggio. Chi volesse andare aldilà, non troverebbe nulla di più di una morte tubolare.
In cima al Ponteggio il Capomastro trovò chi cercava (e qui i compilatori si chiedono: è questo il caso?) e si sedette accanto al cieco, come vecchio corvo appollaiato sull’albero maestro.
In terra, lo stuolo, la massa dei credenti nel Ponteggio-Immobile, per comodità compilativa e storiografica definiti ‘gli operai’, si erano assembrati. Pale, martelli, martelli pneumatici, cazzuole, secchi, sacchi di cemento e di stucchi, traversine, putrelle – l’orchestra era pronta per il gran concerto.
Si alzò il canto amebeo.
E ancora i più laureati tra loro si costituirono in ala di coro tragico (strofe): «Ô operai, voi che foste e siete i fedeli, i credenti, belli e muscolosi e villosi Manovali del Sacro Ponteggio-Immobile, voi che con gli elmi e le mazze e i martelli difendete il Tubo e la Giuntura, qual è la vostra condizione? Aprite gli occhi, chiudete i culi. Tralasciate le fedi in Ingegneri invisibili, in Architetti incendiari, credete – crediamo – in voi stessi. Voi siete, noi siamo.»
E gli operai con la gola ustionata da centinaia di migliaia di sigarette così rispondendo cantarono (antìstrofe):
(strofe) «Eppure, voi siete – noi siamo – ancora lì, indefettibili come catene di montaggio, catene e catene di DNA di PONTEGGIO. Verrà il giorno in cui il Ponteggio crollerà e quel giorno il cielo si spalancherà e mostrerà il Ponteggio-Primo, il Ponteggio-Immobile e voi, operai, sarete – saremo – accolti nel cantiere ultimo dei Ponteggi.»
(antìstrofe) «Sarete! Saremo!»
(strofe) «E a chi di voi – di noi – sollevò il dubbio della fiducia dei Capomastri, fu risposto: ‘Il Capomastro è nemico del Ponteggio, egli vuole assumere le sembianze del divino, financo ad esser egli stesso nella sua carne divino. Alla forca Er Capomastro’».
Contarono gli anni.
Il tempo non fu più sirena, ma devastazione. Quando trapanava il trapano si partiva d’avanguardia a dare l’ultima mano al Ponteggio, magari divellendo un segnale di pericolo di crollo, magari scollando una saldatura, magari squarciando un buco nel tubolare.
Gli operai distrussero ciò che crearono.
L’Insurrezione durò quasi mille anni.
I Capomastri furono catturati. Le loro teste staccate e intubolate (i compilatori del sogno coniarono il termine su richiesta degli insorti).
Sacro, sacro, sacro, sacro, sacro, sacro è il Tubolare – le cronache registrarono l’urlo e le radio operaie lo trasmisero per tutte le città.
La repressione divenne ancora più atroce: gli operai sgozzarono ferocemente i Capomastri sulle impalcature tubolari dei Ponteggi. Li scaraventarono al suolo come un qualsiasi materiale di risulta. S’aprirono voragini dove i loro corpi deflagravano e si mostrò la struttura di Ponteggio del Mondo.
«Tutto è ponteggio.» Fu l’esultanza.
Ma un errore, come riportavano i libri di genetica del Ponteggio (purtroppo andati dispersi), accade sempre, magari a causa di una svista per il fremito o l’allucinazione della vertigine.
Un solo Capomastro riuscì a ingannarli. Fu il Capomastro che sognò Gregor Samsa e il Ponteggio-Mobile, il Ponteggio-Sogno, che sognò sé stesso dopo aver sognato Gregor Samsa, e stava sognando l’insurrezione che i compilatori gli narravano nel sogno. E là dentro si nascose.
Allora l’Insurrezione fu dichiarata conclusa.
Era giunto il tempo del Meta-Ponteggio.
E gli operai si diedero all’invidia. Chi aveva predicato l’Insurrezione non mantenne le promesse. Le speranze si trasformarono in incubi di Ponteggi-Secolari.
Abbondonati gli Ingegneri e gli Architetti delle antiche fedi, gli operai vagarono alla cieca nel flusso di quella corrente che i compilatori chiamarono Età dei Ponteggi-Assoluti o Età Metafisica, per un grave errore di catalogazione.
Cooperative di operai si elevarono al rango di quei Capomastri che loro stessi avevano combattuto. Si mobilitarono schiere e si giunse di nuovo alle mani.
Questa volta durò pochi anni. Lo sterminio fu quasi totale.
I superstiti si nascosero nelle fogne e nei bagni chimici.
Resistettero come cattedrali nel deserto soltanto i Ponteggi.
I compilatori registrarono un ultimo avvenimento, prima di svanire anche loro per sempre: Er Capomastro uscì dal sogno per la terza volta.
C’era silenzio sui Ponteggi ancora in piedi e, come una volta mille anni prima aveva fatto, Er Capomastro levò lo sguardo al cielo.
***
Colonna sonora di PUFFIN.