Eccoci tornare al nostro Core Business (in greco, Kore o Persefone): da una laminetta trovata a Farsalo tanto tempo fa, laminetta in cui chi sa leggere trova ogni risposta.
fr. 4 [A 64] Colli[1]
Troverai a destra delle case di Ade una fonte,
e accanto alla stessa bianco un cipresso che sta dritto:
a questa fonte non accostarti vicino.
Oltre troverai l’acqua che scorre fredda
dalla palude di Memoria: sopra ci sono i custodi,
questi ti chiederanno per quale desiderio giungi.
Eppure tu racconta loro bene tutta la verità,
dici: sono figlio di Terra e Cielo stellante
Asterio il nome; sono arido di sete, ma datemi
a bere dalla fonte.
La traduzione proviene dal secondo numero di Ô Metis II, Fuori di sé. Puoi scaricare qui il pdf o leggere il testo da Issuu.
[1] G. Colli, La sapienza greca (vol. 1), Milano 2009, pp. 176-177.
Perché “Eppure”? Non occorre tradurre quel “de”, oppure tradurlo diversamente in parallelo con quello precedente…
Per ricostruire un’opposizione tra il custode e l’iniziato. Ha valore esclamativo.
Capisco che se avessi tradotto “e”, per creare una conseguenza consueta e auspicabile, avrei fatto una traduzione meno equivoca in quel punto.
Ma se tu avessi tradotto con “allora” “a quel punto”? Scusa, non voglio insistere, voglio solo capire. Grazie.
La traduzione prevede una ricostruzione del contesto del frammento. Trattandosi di un iniziato al culto orfico/dionisiaco, ho voluto – anche in linea con la lezione di Giorgio Colli – rendere la problematicità dell’ingresso dell’iniziato e non la conseguenza sintattica. L’iniziato che si avvicina alla fonte di Memoria sa che i custodi gli si opporranno – è la natura stessa dell’iniziazione – per questo “eppure” o “ma” rende l’immagine e giustifica la formula rituale nella pronuncia del nome Asterio.