- Primo insegnamento al poeta – non temere la parola?
- La critica è l’informe contorcersi intorno alle contaminanti prove dell’Io.
- Ecco che cosa succede oggi: gli individualisti che si scagliano contro gli individualisti. E non è un gioco di specchi. A me sembra piuttosto una leizone.**
- In extremis. Chi scrive un’opera, non destinata alla recitazione, all’interpretazione per eccellenza, può volere che essa venga letta nell’unico modo possibile: come è scritta.
- Dentro questa pazzia: la letteratura. Non pare neanche vero. Forse è un fatto di entusiami, di brevi fortune? Dentro, quando ci sei dentro? Ci sono? Produrre uno sforzo, cercando legami. I nodi sono da stringere, ne sono sempre più convinto, ossia disperato. E’ un azzardo? Cosa non lo è, purché si ottenga un risultato. Sfuggire all’opinione, vietarci gli occhi? Ne siamo capaci? Senza io – fa il metonimico, l’amico più arabo*** – ne siamo capaci? – Virescit volnere virtus! – E la letteratura, bisogna risanare anche questa? Le nostre ferite sono anche le sue, o è solo un andito, un luogo nascosto, per voyeurs? Eppure, bisogna vietarsi gli occhi, ameno quelli di dentro. Mai quelli di dietro! Da là arrivano i subdoli, con i loro ideali oleosi.
- Tradire, si dice, è presto detto. Bisogna anche cogliere l’occasione. E’ come aprire una finestra in prigione, tradire. Ne hanno voglia tutti, ma è raro che ci riesci. (L. F. Céline – Viaggo al termine della notte)
- Indicazioni per l’uso. Aprire la valvola della solitudine. Lasciare che il gas sfoghi. Richiudere ermeticamente.
- Memorandum: non dare doveri a sé stesso è una buona disciplina per non dire agli altri come fare.
- Bada, poeta, a non divenire l’epigono di Valery.
- Parla il poeta. Io, per Billie Holiday, avrei dimenticato il mio stesso nome. Lei, avrebbe potuto chiamarmi con un vocalizzo, uno solo.
Note:
*Bob Dylan, Desolatione Row.
**(Knecht gegen Knecht) – E. Pound, Canti pisani LXXVI.
*** Alfahridi
@ parla il poeta: sei un furbo, Quijano – tu che di nomi nei hai almeno cinque
Fahridi, i miei nomi sono la cosa che meglio mi riesce, ad incipiendam comoediam.
Se “il primo insegnamento al poeta” è, in forma di domanda, “non temere la parola” allora corrisponde, in risposta, l’affermazione “prendere in parola”.
Poeta im-para [la (determinazione)] parola.
Adamo di Compagnia, il tuo commento – non so come – era finito in spam. Mo Quijano viene et risponde. Saluti
Adamo,, mi pare che tu non abbia colto l’ironia della domanda. A questa corrisponde in risposta una grande risata, nessuna lezione – ma capisco che oggi come ieri intrepretare, partendo da un equivoco, è la norma. Avrei apprezzato di più se anche i tuo commento fosse stato sotto forma di domanda, avremmo avuto vita più facile in questa discussione.
L’equivoco è l’uso indiretto della forma domanda- risposta. Sono più aduso all’anfibologia, difforme dalla domanda, risposta deforme.
Adamo: per questioni estetiche di base Enrico Ghezzi non può entrare in questo luogo.
Dal punto di vista estetico, il rimando al principio del nome proprio non fa sensazione.
Purtroppo, Adamo, rimando non fu al principio del nome. Qui il nome proprio (Enrico Ghezzi, figlio storto di Bataille, figlio storto e francese di Hegel) è pura metonimia.
Detto questo, è ovvio che qui entra chi vuole e benvenuto è chi viene a discutere, nei modi che vuole (io personalmente disprezzo la frammentazione del discorso dimostrativo nei modi del discorso algebrico, sed opinione mia propria). Saluti