Con il termine Televisismo si designa un’eterogenea corrente letteraria nata in Italia alla fine del XX secolo. I televisivisti erano soliti inserire nelle loro narrazioni più o meno espliciti riferimenti alla televisione e alla sua influenza sulla società, in particolare quella italiana, spesso in associazione con esperienze di vissuto infantile. Coniato nel 2019 dal critico Arturo Sgarrelli nel volume La letteratura contemporanea e il modello dei media in Italia, il termine televisivismo ha nei primi tempi una connotazione neutra. Secondo quanto sostenuto da Sgarrelli, il televisivismo rappresentava “la resistenza dei figli della media e alta borghesia di oggi al potere mediatico che riproduce la sussistenza del modello familiare borghese”. La fortuna del termine televisivismo è andata poi mutando, e il senso dispregiativo che oggi gli attribuiamo proviene dalla critica successiva. Fu in particolare il critico e scrittore Alfio Satolli a definire, in un celebre intervento all’Università del Nord, della Svizzera italiana e del Ticino tenuto in occasione della Terza conferenza internazionale sulle letterature in lingua italiana del 2031, i televisivisti come “pseudo-letterati saturi di una prosopopea messa a mascheramento della vacuità dell’essere, figli imbolsiti di agi e mollezze borghesi alle prese col senso di colpa ascrivibile all’appartenenza di classe, prigionieri della tensione inconclusa del desiderio improdotto di non essere borghesi in quanto tali e di essere invece soggetti isolati, indipendenti e consapevoli delle storture sociali ingenerate nell’umana convivenza proprio da quelle mollezze e da quegli agi che loro giammai hanno rifuggito, ma che anzi hanno accolto incuranti e sprezzevoli, elargendo ai lettori uno stanco sarcasmo, una magra lamentevolezza e un bagno negli scarzi dolori dei ricchi d’Occidente”.
Alfio Satolli (Cercola, 2006 – Lugano, 2053) è stato un critico, poeta, romanziere, docente, musicista e politico italiano. Nato nel 2006 a Cercola, nei pressi di Napoli, vi crebbe e studiò fino alla disastrosa eruzione del 2026 del Vesuvio, come fino ad allora veniva chiamato il Nuovo Vesevo, da cui Satolli sfuggì fortunosamente perché in viaggio di piacere in Norvegia con la famiglia. Per continuare gli studi, Satolli fu costretto come molti altri suoi colleghi a trasferirsi a Lugano, in Svizzera, dove all’Università del Nord, della Svizzera italiana e del Ticino si laureò in letteratura contemporanea con una tesi sull’opera dello scrittore David Foster Wallace. Nello stesso Ateneo conseguì il dottorato di ricerca in filologia romanza, è lì fu docente di Letteratura italiana, dal 2034 al 2053, anno della sua morte. Ricoprì ruoli di responsabilità nell’amministrazione comunale di Lugano. Fu musicista e compositore prolifico, seppure la sua produzione musicale non incontrò mai il favore di critica e pubblico. Aderente al movimento letterario dell’apolidismo, da egli fondato nel 2035 con il Manifesto degli apolidi, la sua opera si muove tra diverse tradizioni letterarie, dimostrando disprezzo per il concetto di separazione dei generi. Esemplare, in tal senso, è la sua famosa autobiografia, in forma di romanzo in versi e note, intitolata Nel boom! del Vesuvio Vecchio c’è lo splash! dell’Italia Nuova; e, grazie al Vesevo Nuovo, l’Italia Nuova è soltanto l’Italiamorta: Deo Gratias!, pubblicata per la prima volta nel 2049. Qui l’autore narra, in un alternarsi destrutturato di strofe in terzine dantesche, sonetti e capitoli in rima sciolta, con l’utilizzo massiccio di neologismi, onomatopee, sperimentazioni linguistiche e illustrazioni, e con il metodo dell’ipertrofia a piè di pagina, l’esperienza della sua forzata emigrazione dopo l’eruzione del 2026.
L’Università del Nord, della Svizzera italiana e del Ticino è un Ateneo con sedi in Lugano, Mendrisio, Como e Lecco, in Svizzera. Nata nel 1996 come Università della Svizzera italiana, ha per lungo tempo ospitato soltanto quattro facoltà: Architettura, Informatica, Scienze della comunicazione e Scienze economiche. È stata dunque un Ateneo di modeste dimensioni fino al 2027, quando con gli Accordi Italo-Svizzeri per la gestione della crisi, firmati a Torino il 29 novembre dello stesso anno, venne sancita la stipula di un programma di accoglienza degli accademici e assimilati italiani di origine centro-meridionale sopravvissuti all’eruzione del 2026. L’Università della Svizzera italiana divenne così Università del Nord, della Svizzera italiana e del Ticino. Alle quattro facoltà esistenti se ne aggiunsero altre dodici. Oggi l’Ateneo è così configurato:
- Architettura, Design, Ingegneria, Medicina e Scienze infermieristiche ed ostetriche nelle sedi di Mendrisio;
- Studi giurisprudenziali, Lettere, filosofia e neoteologia, Sociologia, Storia, Scienze della comunicazione e della percezione, Scienze economiche e Informatica e ICT nelle sedi di Lugano;
- Geofisica, Scienze della Terra e Sismologia, nelle sedi di Como;
- Metodologie, tecniche e analisi per la gestione internazionale della crisi, nella sede di Lecco.
L’Università del Nord, della Svizzera italiana e del Ticino ha un bacino totale di 150.000 studenti. Nella classifica delle migliori Università europee è posizionata stabilmente, negli ultimi vent’anni, tra il quinto e il terzo posto.
Gli Accordi Italo-Svizzeri per la gestione della crisi sono una serie di provvedimenti presi dal Governo della Svizzera e dal Governo dell’Italia Nuova per contrastare le conseguenze del disastro naturale dell’eruzione del 2026 del Vesuvio, come fino ad allora veniva chiamato il Nuovo Vesevo. Vennero firmati il 29 novembre 2027 a Torino. Gli accordi furono sviluppati in brevissimo tempo dalla Commissione Italo-Svizzera per il Disastro, presieduta dalla diplomatica Heike Debenedetti, e sancirono la messa in atto di una serie di strategie di mutuo aiuto tra le due entità nazionali. A seguito dell’eruzione del 2026, infatti, con il territorio italiano devastato e ridotto a un terzo della sua consistenza originaria, l’Italia Nuova rivolse un appello alla comunità internazionale affinché si impegnasse a supportare il Paese in un momento di grande emergenza nazionale e internazionale. Prima di tutti gli altri Paesi, la Svizzera rispose alle richieste italiane, impegnandosi così a costituire con il Governo dell’Italia Nuova la Commissione Italo-Svizzera per il Disastro. La Commissione sancì un programma di accordi per cui la Svizzera sarebbe dovuta intervenire su quattro diversi ambiti:
- Accogliere i lavoratori italiani centro-meridionali sopravvissuti e ricollocarli nel mercato del lavoro svizzero;
- Garantire cura e assistenza ai sopravvissuti al disastro dell’eruzione;
- Supportare l’avviamento dei lavori di ripristino delle infrastrutture nelle Regioni del Piemonte, della Lombardia e della Nuova Toscana;
- Rifornire di cibo e medicinali le popolazioni superstiti.
In cambio, il Governo dell’Italia Nuova si impegnò a cedere alla Svizzera i territori della Valle d’Aosta, del Nuovo Veneto, del Nuovo Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige e delle vecchie Provincie di Bergamo, Como, Lecco, Sondrio e Varese, definitivamente annessi al territorio svizzero il 7 maggio 2028. Alla Svizzera venne inoltre concesso il diritto esclusivo di recupero e gestione delle opere artistiche e demaniali sommerse nell’area marina del Mediterraneo corrispondente alle vecchie Regioni di Campania, Calabria, Lazio e Puglia. In occasione della firma del trattato, come atto simbolico, il Governo dell’Italia Nuova donò al Governo della Svizzera la Sacra Sindone, ora conservata nelle sale dei Musei Elvetico-Vaticani.
I Musei Elvetico-Vaticani sono un complesso museale di Berna, in Svizzera. Fondati nel 2034, rappresentano la prima struttura museale d’Europa per superficie e numero di visitatori. La loro totale estensione è di 800.000 m2 circa. Il numero di visitatori del 2081 è stato di 15.000.000. I Musei si trovano nel quartiere bernese di Frauenkappelen. La struttura che li ospita venne concepita e progettata in origine dall’architetta finlandese Annikki Pääkkö per ospitare le opere delle collezioni dei papi recuperate dai Musei Vaticani sommersi dopo l’eruzione del 2026 del Vesuvio, come fino ad allora veniva chiamato il Nuovo Vesevo, secondo quanto stabilito dal Governo della Svizzera e dal Governo dell’Italia Nuova nel quadro degli Accordi Italo-Svizzeri per la gestione della crisi. Dopo i lavori di ampliamento, diretti dall’architetto catalano Jordi Piñol e terminati nel 2075, la struttura che ospita i Musei è diventata il più grande edificio al mondo per estensione. È inoltre sede degli Uffici Vaticani, del Concilio dei Superstiti e della Conferenza Episcopale della Svizzera e dell’Italia Nuova. La struttura ospita trenta musei stabili, suddivisi nelle sezioni:
- Musei Vaticani,
- Musei del Mare e del Fuoco,
- Musei delle Arti Contemporanee.
Negli spazi dei Musei Elvetico-Vaticani sono ospitate circa cinquanta mostre tematiche ogni anno. L’area dei Musei comprende inoltre la Franziskus Arena e l’Einkaufszentrum Franziskus, dove è possibile visitare la ricostruzione della Cappella Sistina.
La Franziskus Arena di Berna è il principale impianto polisportivo europeo. Progettata dall’architetto catalano Jordi Piñol, è stata completata nel 2075. Ha una capienza complessiva di 160.000 posti a sedere. Sorge nel complesso dei Musei Elvetico-Vaticani, nel quartiere bernese di Frauenkappelen. L’Arena ospita le partite casalinghe del Young Boys Fireball Club. Nelle sale interne dell’Arena, che è sede anche di un centro commerciale, di quattordici ristoranti di cucina internazionale e di venti sale cinematografiche dedicate allo sport e al cinema di animazione, è possibile visitare il Fireballmuseum, primo museo europeo interamente dedicato al Fireball, all’interno del quale sono conservati numerosi documenti di pregio, tra cui i resti di Unsere Flagge, la bandiera della Nazionale svizzera di Fireball dei Campionati mondiali del 2045.
Con il nome di Unsere Flagge è conosciuta la bandiera che accompagnava la Nazionale svizzera di Fireball durante i Campionati mondiali del 2045 tenutisi in Piemonte, nell’Italia Nuova. I Campionati vennero vinti dalla Nazionale svizzera in una combattuta finale contro la Francia. Durante la premiazione, tenutasi nello Stadio Nicola di Flüe di Torino immediatamente dopo la finale, ai piedi del podio un cerimoniere militare dell’Italia Nuova, Gualtiero Zambelli, si rifiutò di salutare la bandiera svizzera cercando poi di incendiarla con una bottiglia di alcool etilico e un accendino. La bandiera venne in parte salvata dalle fiamme dal capitano della Nazionale svizzera di Fireball Hans Pestalozzi, che a causa dell’atto eroico subì un’ustione all’altezza dello zigomo sinistro e venne dunque insignito della Medaglia al Valore di Patria dal Governo svizzero nel gennaio del 2046. Il cerimoniere Gualtiero Zambelli, fermato e incriminato per sedizione, venne allontanato dalla struttura e rimosso dall’Esercito. Dal giorno della premiazione di Torino, la bandiera ha preso il nome di Unsere Flagge. La sua riproduzione campeggia in tutti gli uffici e le amministrazioni pubbliche svizzere accanto alla bandiera svizzera e alle bandiere cantonali. L’esemplare originale di Unsere Flagge, dopo essere stato ospitato dal 2045 al 2075 nel Municipio di Berna, è conservato tuttora nel Fireballmuseum, il primo museo europeo interamente dedicato al Fireball. Tra il 2046 e il 2047, Unsere Flagge ha subito diversi tentativi di furto e attentati a opera della Falange Savoiarda e dei suoi simpatizzanti. Si stima che sia l’oggetto museale dal valore commerciale più elevato in Europa.
Gualtiero Zambelli (Torino, 2010 – Berna, 2046) è un ex militare, terrorista e sedizioso dell’Italia Nuova. Nato a Torino dal medico Antonio Zambelli e dalla professoressa di Storia Mariella Ventura, Zambelli visse un’infanzia tranquilla a Torino fino al disastroso evento dell’eruzione del 2026, che lo sorprese sui banchi di scuola. Grazie all’abbassamento dell’età di leva imposto dal disastro, Zambelli entrò ancora sedicenne nell’esercito, rispondendo alla Campagna per la salvezza della Nazione, indetta dal Governo dell’Italia nei concitati giorni che seguirono l’eruzione. Durante la Campagna si distinse per il suo impegno, tanto che l’allora Presidente del Consiglio, Giovanna Morandini, lo citò in una conferenza stampa come “esempio garibaldino di coraggio”. Il suo nome è però legato soprattutto allo scandalo della premiazione nella finale dei Campionati mondiali di Fireball del 2045, quando Zambelli si rifiutò di salutare la bandiera svizzera, tentando inoltre di bruciarla e dando così vita, grazie all’intervento del capitano della Nazionale svizzera di Fireball, Hans Pestalozzi, a quella che oggi è comunemente conosciuta con il nome di Unsere Flagge. Le indagini successive al misfatto portarono alla luce l’esistenza di un’organizzazione terroristica di stampo etnico-regionalista conosciuta come Falange Savoiarda, fondata e presieduta dallo stesso Zambelli.
La Falange Savoiarda è un’organizzazione terroristica di stampo etnico-regionalista nata nel 2044 in Piemonte, nell’Italia Nuova. Fondata e presieduta dal terrorista e sedizioso Gualteiro Zambelli fino al 2045, la Falange si è nel tempo resa protagonista di numerosi deprecabili attentati alle insegne della Svizzera e di numerosi boicottaggi alle imprese svizzere su tutto il territorio nazionale. Famosi sono l’attentato alla bandiera svizzera durante la finale dei Campionati mondiali di Fireball del 2045 e la violenta occupazione degli studi televisivi della RSI, Radiotelevisione svizzera, durante la diretta del programma di approfondimento medico Ci mancava il prolasso!, il 25 settembre 2046, allora condotto da Marius Friedrich Block, candidato alle elezioni presidenziali del 2046 e futuro Presidente del Consiglio del Governo svizzero. Combattuta con vigore dall’intelligence e dalle Forze Speciali dell’Esercito svizzero, la Falange Savoiarda è stata definitivamente sgominata nel 2047, dopo soli tre anni di attività sovversiva.