C’è anche la possibilità di sedersi sulla riva del grande flusso informatico, senza lamentarsi e senza giustificarsi. Senza obbligo di meditazione, senza dover intraprendere azioni benefiche, senza preoccuparsi troppo di quel che si mangerà o si berrà. Limitandosi a praticare ciò che si appaga di se stesso. E guardare, includendo chi guarda in ciò che guarda. Tentare cautamente di accertare se il soggetto che guarda è nostro ospite o se siamo noi a essere ospiti suoi. Cedergli il passo e fare un cenno si assenso.
Ne L’innominabile attuale Roberto Calasso racconta di come l’uomo abbia perso il contatto con lo sconcerto, con il mistero, di come la conoscenza sia stata sostituita dall’informazione, l’esplorazione dal turismo, lo studio dalla fruizione di dati, di come la regola religiosa abbia ormai soppiantato il senso del sacro, di come abbiamo rinunciato allo sgomento per la comprensione e la compressione.
Il fatto è che l’uomo è sì misura di tutte le cose, ma è a sua volta misurato dal dato digitale, che è dato contenitivo, definitivo, immobile; un dato organico, sistemico, consequenziale, logico, mortifero, veloce ma privo di grandezza, incapace di concepire l’abisso che invece è parte essenziale dell’umanità; un dato che per funzionare, sopravvivere, prosperare ha bisogno dell’annullamento dell’altro perché ciò che è diverso è diventato inconcepibile, irriducibile, e ciò che è irriducibile deve essere ridotto.
L’orrore che si stava profilando, il nuovo orrore, non era soltanto quello totalitario – termine eufemistico, delimitazione provvisoria. L’orrore non era soltanto una certa forma di società, ma la società stessa, in quanto finalmente si riconosceva autosufficiente, sovrana e divoratrice sotto qualsiasi forma. Di Hitler e Stalin un giorno ci si sarebbe sbarazzati, non però della società.
È ritratto il cambiamento della modalità del pensiero in un modo inquietante, per certi versi apocalittico. Più accessibile di altre opere dell’autore, L’innominabile attuale ha il pregio di essere lucido, di non cadere nel lamento e nella nostalgia, limitandosi a puntare la luce su una metamorfosi che non è necessariamente un’evoluzione, ma che ci conduce verso un luogo che diventerà sempre più assimilabile, il cui carattere principale è il non concepire qualcosa che non possa entrare in un dato schema di pensiero e di contenimento, schema che sta diventando sempre più angusto, e di conseguenza fondamentalista.
Verrebbe in mente l’adagio che recita che le strade per l’inferno sono lastricate di buone intenzioni, se non fosse che Calasso non descrive l’inferno e neanche le buone intenzioni, limitandosi alla strada. E se nella prima parte del saggio tale strada va dalle dittature totalitarie novecentesche al terrorismo fino al flusso di dati e alla messa in discussione di quello che è più intimamente umano, nella seconda si assiste a una sfilata di voci diffidenti davanti all’escalation nazista, per poi concludere con una brevissima terza parte che lega un appunto di Baudelaire al crollo delle torri gemelle; una strada che sembra andare a ritroso, ma che in realtà non solo va avanti, ma addirittura scava, e raggiunge profondità storiche, culturali, cerebrali, immaginifiche.
A distanza di un secolo esatto, si è passati dal dadaismo al dataismo, da Dada a Big Data. E c’è chi sostiene che Big Data soppianterà Sapiens e lo trascinerà come un fuscello nel maestoso flusso informatico. Allora saremo vicini a sapere tutto ciò che non ci importa sapere. Mentre ulteriori algoritmi certamente sapranno trarne profitto.
Quel che resta del saggio, a lettura conclusa, è una sensazione di sfida: all’immaginazione, alla creatività, alla comprensione e alla percettività. Una sfida che è anche politica, critica, emotiva oltre che intellettuale, una sfida all’apertura, all’ignoto, al rischio che dà un senso all’incertezza.
Roberto Calasso
L’innominabile attuale
Milano, Adelphi, 2017
pp. 189