Il primo giorno, quando lo vide rientrare, Romana si spaventò. Mario che hai fatto, disse. Poi gli sorrise e gli sfilò piano la tuta. La fece scivolare fuori dalle braccia e lungo le sue gambe, giù, fino alle caviglie. Mario rimase un attimo in piedi, poi si sedette, nudo, su uno spicchio di materasso. Ai suoi piedi, il tessuto si era fatto grigio di polvere e a stento vi si leggeva sopra la scritta rossa stampata in caratteri corsivi. Romana si avvicinò e gli sfilò le scarpe, raccolse da terra un pezzo di carta che infilò nel grembiule, poi prese la tuta e la batté più volte col battipanni. A ogni colpo di paglia la polvere danzava in aria creando una nube deforme, a Romana sembrò di vederci passare dentro dei corvi.
Scacciò quel pensiero, riempì la vasca, ci mise in ammollo la tuta e cominciò a fregare il blu col sapone da bucato. Il profumo di pulito le arrivò alle narici dolce come una promessa. Tutto sarebbe andato bene. Le mani affondavano, prendevano il blu che riemergeva a bolle, e lo respingevano sotto. Continuarono in quel modo finché i polpastrelli si striarono di righe violacee. Quel lavoro era arrivato come una benedizione, e se avesse dovuto lavargli la tuta ogni sera lo avrebbe fatto. Tolse la tuta bagnata dalla vasca, la strizzò e la stese al sole delle quattro. Quando ebbe finito, si ricordò del biglietto nel grembiule e lo aprì. Al centro c’erano dei volti e sotto i volti dei nomi. Sotto i nomi, due date. Romana fissò gli occhi in quelli del primo viso, Ernesto Coppo, detto il Palombaro, 1928-1972, poi in quelli del secondo, Bernardo Zanella, prete operaio, 1931-1972, il terzo non lo guardò. Chiuse a pugno il biglietto nella mano e lo nascose nel grembiule. Gocce regolari cadevano dalle braccia e dalle gambe svuotate della tuta, a formare una pozza di acqua biancastra per terra. I corvi ci si specchiarono dentro.
Mario si sollevò, lento, e si diresse verso la porta del bagno. Poco prima di entrare, tornò indietro e sfiorò con la mano il viso di lei. La mano scivolò lungo il seno e si insinuò in quello spicchio di pelle tra i fiori azzurri e il bianco del reggiseno. Romana chiuse gli occhi. Mario si inginocchiò e le baciò il ventre. Alzò la testa e sorrise. Si disse, sarà un maschio. Cacciò la faccia nei fiori e respirò a lungo. Si amarono così, in silenzio, davanti alla finestra. Quando Romana riaprì gli occhi, la tuta stava ancora gocciolando. Inermi, i gambali dondolavano con dolcezza. Per il turno del mattino sarebbero stati asciutti.
In bagno, Mario si grattò sotto le unghie con la spazzola per i panni finché le setole non ebbero rimosso anche l’ultima traccia di polvere. Mise la testa sotto la doccia e fece scorrere l’acqua. Acqua benedetta, acqua su polvere, acqua santa. Ripensò alla giornata appena passata, alle voci che si rincorrevano in fabbrica. Qualcuno diceva che la polvere faceva male, qualcuno addirittura che uccideva. Ma lui era giovane e forte. Si insaponò la testa più volte con movimenti lenti. Quelle ventiquattromila lire gli facevano comodo. Ripensò al ragazzo dai riccioli neri, Nicola, al volantino che gli aveva messo in mano all’ingresso e alla domanda che gli aveva fatto. Mario il biglietto non lo aveva nemmeno guardato, se l’era infilato nella tasca della tuta e lo aveva dimenticato lì, ma la domanda la sentiva rimbombare nel silenzio della doccia, attutita solo dallo scroscio dell’acqua sopra la testa: cosa sei venuto a fare, sei venuto a morire anche tu? A ogni giro completo della testa sotto l’acqua si scioglieva un pensiero. Stava per diventare padre. Il sapone colò negli occhi e bruciò. In fabbrica aveva sentito dire che la polvere la regalavano: ci avrebbe potuto pavimentare il cortile e isolare il sottotetto. Una volta asciutto, indossò i pantaloni buoni e la camicia che gli aveva confezionato Romana con gli scarti della sartoria. Chissà se c’era un limite di un sacco a testa o se ne davano di più. L’indomani lo avrebbe chiesto al capo reparto.
Romana, in cucina, si accarezzò il ventre e pensò che se fosse stata femmina l’avrebbe chiamata Maria Rosa. Guardò il marito uscire dalla camera vestito di nuovo. Profumava come lei aveva sempre pensato profumasse l’amore, di una cosa pulita e giusta. Lo guardò allacciare i polsini della camicia malva e per la prima volta sentì che nella sua vita tutto era al suo posto. Strinse la mano a pugno nel grembiule, poi ruppe il primo uovo in una ciotola, spaccando il guscio in due metà esatte. Ci versò lo zucchero e iniziò a sbattere con la forchetta. I rebbi punsero il rosso che si aprì a macchia nel bianco, poi si sollevarono e lasciarono colare dalle fessure quel liquido denso e vischioso. Romana ruppe il secondo guscio con la stessa esattezza. Si perse a osservare un puntino nero che i rebbi non riuscivano a staccare. Un piccolo corvo attaccato all’albume. Affondò allora un dito nel rosso e prese il nero tra il pollice e l’indice. Le dita si incollarono fra loro. Si portò il nero agli occhi e lo osservò. Niente, non era niente. Pulì in fretta la mano nel grembiule e ricominciò a sbattere con più energia, quel giorno andava festeggiato. Romana sbatté finché il rosso non divenne una spuma soffice e bianca. Un buon lavoro, una casa nuova e la bambina, pensò. Sarebbe stata una bambina. Con gli occhi blu come i suoi e forte come Mario.
Era assorta in questi pensieri, quando lo vide arrivare. Era un ragazzo alto, una testa di riccioli neri lunghi fino alle spalle, i lineamenti gentili. La guardava attraverso la finestra fumando una sigaretta. Romana abbassò lo sguardo e sistemò dietro l’orecchio un ciuffo biondo che le copriva la fronte. Mario andò ad aprire.
«Nicola», disse al ragazzo.
Il ragazzo fece l’ultimo tiro soffiando in aria una nuvola bianca di fumo. Romana lo osservò spegnere la sigaretta sotto la suola delle scarpe e lanciarla oltre il vialetto.
«Posso?», chiese il ragazzo.
Mario guardò Romana, che si sfilò in fretta il grembiule e con la mano stirò una piega della gonna Nicola si fece avanti e le porse la mano. Era fredda. Da vicino il ragazzo sembrava più giovane.
«Entra», disse Mario.
Mario appoggiò due bicchieri sbeccati sui quadretti della tovaglia. Romana tagliò del pane e ci versò sopra dell’olio e del sale, lo mise a tavola in mezzo ai due uomini. Poi sedette in disparte, sotto la finestra, si chinò e raccolse da terra il primo sacco di iuta strappato che Mario aveva portato a casa rientrando. Strappò un filo di iuta e se lo infilò tra le labbra, prese la punta bagnata e la fece passare nella cruna di un ago; sull’indice destro, un ditale di rame. Iniziò a cucire lo strappo spingendo l’ago nel tessuto e riprendendolo svelta dall’altro lato. Le dita si muovevano al ritmo delle parole degli uomini.
«Quanto ti danno per quelli?», era la voce del ragazzo.
L’ago passava attraverso la iuta, si trascinava dietro un granello di polvere che lo seguiva dall’altro lato. Il granello finiva su un polpastrello di Romana, poi lento ricadeva a terra, dove altri sacchi aspettavano, ognuno col suo granello.
«Qualcosa in più in busta paga», disse Mario.
Romana sorrise, ripiegò il primo sacco ricucito e raccolse da terra il secondo. Di nuovo strappò un filo di iuta, lo bagnò con le labbra e lo infilò nella cruna dell’ago, questa volta si punse. Sbuffò, si portò il dito alle labbra e guardò fuori dalla finestra. Un sapore di ferro le invase la bocca.
«Hai letto il mio volantino?», era di nuovo il ragazzo.
Romana lasciò cadere a terra la iuta. Migliaia di granelli di polvere danzarono in aria, lei non li vide.
«Nicola, non sto cercando problemi, io», disse Mario.
Romana andò in cucina e afferrò il grembiule, se lo allacciò in vita e cercò con la mano il biglietto. Lo strinse a pugno nella tasca fiorita, al sicuro. Sentiva il cuore batterle in petto come il giorno che era partita. Prese la ciotola, versò la spuma bianca delle uova in una teglia di ghisa e la infornò.
«Dovevi cercarti un altro lavoro, allora», disse il ragazzo.
Mario bevve il suo bicchiere di vino e scansò la sedia.
«Stiamo per metterci a tavola», si alzò.
«Questo mese ne sono morti tre», disse il ragazzo.
«Sei troppo giovane per pensare a questo», Mario andò alla porta e la aprì.
«Anche loro lo erano», disse Nicola alzandosi.
Il ragazzo si voltò un istante verso Romana. Lei strinse forte il pugno e mosse la testa per salutarlo.
«Grazie del vino», e si voltò. Una zazzera di riccioli neri si avviò lungo il vialetto. Romana vide il ragazzo accendersi una sigaretta e soffiare una boccata bianca di fumo. Quando si chiuse la porta alle spalle, Mario le sorrise e le andò incontro. Appoggiò una mano sopra la sua, sul ventre azzurro di fiori. Romana allora aprì il pugno e tirò fuori la mano, vuota. Gli sistemò il collo della camicia e annuì con la testa. Sarà una bambina, pensò. Nell’abbracciare il marito, sentì il cuore pian piano calmarsi. Dalla finestra arrivò acuto un gracchiare di corvi.
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In copertina: Lindsey Kustusch, Looking out from underneath.