Julio Herrera y Reissig, poeta.
Herrera y Reissig (1875 – 1910), di famiglia nobile, patì per problemi cardiaci e la sofferenza lo costrinse a restare dove nacque, in Montevideo, Uruguay, cercando sollievo dal 1900 nella morfina e nell’oppio. La sua terrazza fu un vivace circolo culturale e lui fu poeta, legato al romanticismo e al simbolismo.
Acque dell’Acheronte.
Acque dell’Acheronte raccoglie tre racconti del poeta uruguaiano: il testo omonimo, Il vestito lilla e Mademoiselle Jacquelin. Si tratta delle uniche incursioni narrative di Herrera y Reissig.
Il protagonista del primo racconto è ammalato di wertherismo: desidera la morte, ossessivamente, perché la morte equivale alla pace, al Nirvana:
Per lui morire significava tornare in seno a una patria definitiva, affogare una volta per tutte la sua profonda disperazione in quell’oppio familiare che è il grembo di Padre Buddha.
[p. 7]
In questo racconto la presenza della droga è duplice: la droga da un lato è medicamento, dall’altro intride l’intera atmosfera del racconto, visionaria, orientaleggiante. La droga, sembra voler dimostrare lo scrittore, è la salvezza.
Il secondo racconto, Il vestito lilla, riesce a turbare, a inquietare il lettore. Un uomo ama una di due sorelle, quella malata e vicina alla morte. Lo stesso uomo è amato dall’altra sorella. Morta l’amata l’altra, colei che ama, ne diventa il doppio; da qui la singolare carica perturbante della storia.
Mademoiselle Jacquelin, infine, è la rappresentazione del classico amore romantico: la donna amata canta, con una voce che ammalia, eppure non è giovane, ha perso il fascino, resta il fascino malinconico del canto.
Ci sono segni che ricorrono: il suicidio, la droga, l’amore-dolore. Le componenti del maledettismo, della malinconia romantica, sono predominanti. Lo stile usato, gravato da un’aggettivazione sovrabbondante tra l’onirico e il sensuale, l’immaginario decadente europeo cui l’autore attinge – con esplicite incursioni nella letteratura francese colte con rara sapienza dal traduttore Loris Tassi – riportano il lettore a passioni – spesso e per ovvie ragioni di natura esistenziale – giovanili: i poètes maudits, Barbey d’Aurevilly, Huysmans, D’Annunzio.
A poco a poco i suoi pensieri si rivolsero all’amata, a colei che sarebbe stata la sua amata per l’eternità. Un cupo gelo riempì lo spirito che, invaso da un torpore asiatico, si abbandonò alla mollezza. Si ripiegò su se stesso. Si smarrì. L’Astra dei tre Mondi dischiuse il suo baldacchino di stelle. I tamburi sepolcrali della grande Epopea fredda suonavano a morto. Sentiva i passi di crespo di Indra… Nirvana gli parlò all’orecchio.
[Acque dell’Acheronte, p. 18]
Difficile dimenticare una battuta concisa e illuminante pronunciata da Roberto, uno dei due amici che vuole dissuadere dai propositi suicidi Rodolfo, il protagonista di Acque dell’Acheronte:
Per far passare il tempo ogni cosa va bene.
[p. 24]
La droga oggetto del racconto, l’ebbrezza, cosa sono se non una sfida al tempo, un fortunato ed effimero tentativo di obliarlo o di manipolarlo, di produrre un lasso di tempo alternativo al contempo dilatato e limitato?
Julio Herrera y Reissig
Acque dell’Acheronte
Traduzione di Loris Tassi
Revisione di Giuseppe Girimonti Greco
Salerno, Arcoiris, Gli eccentrici, 2014
pp. 45