Ogni uomo deve essere capace di pensare ogni idea e mi pare di capire che in futuro, cioè oggi, lo sarà.
Oggi torniamo a fare quel giochetto inutile che voi sapete cosa.
E viene fuori che il risultato di questo giochetto è identico, rigo per rigo, parola per parola, a un passo del capitolo 16, “Il pensiero dominante”, de La bomba voyeur di Alfredo Zucchi, un libro uscito per i tipi di Rogas Edizioni precisamente un anno fa. Per chi conosce il processo, il risultato non è sorprendente. Quello che resta inspiegabile è che un individuo possa arrogarsi diritti autoriali su un testo quando invece è il testo a dettare all’autore cosa deve dire, quando e come (perché? è una domanda abolita: fatevene una ragione). Ad oggi, l’unico modo accettabile di pensare l’uomo – se proprio non possiamo fare a meno di pensarlo – è come una funzione. Noi poi abbiamo le mani legate: al primo accenno di umanismo alcuni dei nostri hanno avuto chi la lingua mozzata, chi la mano ustionata eccetera. Virescit volnere virtus e avanti il prossimo, come sempre. E quindi per distrarci ogni tanto giochiamo a chi viene prima e chi viene dopo e spesso succede che chi risulta venire dopo (in questo caso: Zucchi) va a piangere dal paparino che i diritti della sua persona autoriale sono stati violati – ma il paparino, c’è bisogno di dirlo?, è il più spietato antiumanista del sistema solare e allora è meglio non cominciare nemmeno; è meglio dirsi che all’inizio è dura ma poi ci si abitua; ma anche che chi si limita ad abituarsi è fottuto, perché abbiamo detto funzione e non inerzia, cristo e la madonna.
Bueno, così va la cosa qua dentro: chi non vuole starci se ne vada, la porta è là davanti – e se poi non la si riesce a trovare, è che forse non c’è mai stata, e allora davvero sono cazzi.
E d’altra parte se ci chiedessero, come a volte ci hanno chiesto, “che vuol dire tutto questo?”, o ancora meglio “a cosa serve tutto questo?”, noi continueremmo a dare, lettera per lettera e parola per parola, la stessa risposta: “a niente”.
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«Dalla caduta dell’impero romano, un unico grande traguardo politico è stato raggiunto nella penisola. Questo traguardo non è la costituzione di uno stato unitario, né il doblete ai mondiali di calcio ‘34-‘38. È la costruzione della nostra lingua – un esempio quanto mai unico di processo top-down dall’esito impeccabile. Questo processo deve ispirarci nella fabbricazione dei fatti che vogliamo operare».
[…] «Ci sono due elementi alla base della fabbricazione della nostra lingua», fa l’Avvocato: «il primo è un equivoco, il secondo è un fondamento. L’equivoco riguarda l’equazione italiano=Arno. Il fondamento invece è la poesia. La nostra lingua comune nasce come lingua poetica. Le sue prime sistemazioni – quelle che hanno poi gradualmente reso possibile la comunicazione tra gli estremi campioni di pueblo nello stivale, che hanno favorito l’effetto “centrifuga”, il dialettismo o regionalismo spinto, un folklore e non una confutazione; il De Vulgari Eloquentia, ad esempio – riguardavano esclusivamente le cerchie dei poeti e dei filologi. Dei poeti-filologi, mi viene da dire. In questo punto vediamo venire fuori una correlazione stretta poesia-lingua-potere. Questa correlazione si amplifica fino a diventare causalità quando, nell’Italia delle corti sparse, vengono fuori due opere: Il cortegiano e Le prose della volgar lingua. Così ci si comporta e con questa lingua si comunica nelle nostre corti. Nelle nostre corti! Capisci, a questo punto, che l’Italia è l’italiano; e l’italiano è il Notaro, i due Guidi, Dante e Petrarca. Eccoci: da un lato, l’Italia è un frutto top-down come nessun altro; dall’altro, l’equazione italiano=Arno non ha niente a che vedere con la lingua aspirata e tamarra parlata in Toscana, ma con l’influenza che i poeti locali hanno avuto in questo processo. Con Le prose della volgar lingua di Pietro Bembo, il registro medio di questa lingua poetica – il Canzoniere di Petrarca – diventa la base su cui costruire la nostra lingua colta, mentre la tradizione più legata al localismo – la pura lingua del sì, vulgus o centrifuga orale, e con questa il registro basso o comico – scompare o cade in discredito: prevale la necessità di comunicazione trasversale tra le nostre corti. Una necessità politica.
Questo esempio ci indica due cose: che i poeti, volenti o no, sono animali politici; che c’è modo di operare un processo di riduzione top-down drastico, violento, e farlo passare per una cosa naturale come lo scorrere di un fiume (italiano=Arno)».