Altri libertini
di Francesca Regni
“Molto spesso non siamo affatto noi a scegliere le nostre letture, i nostri dischi o i nostri amori, ma sono gli accadimenti stessi che vengono a noi in un particolare momento e quello sarà l’attimo perfetto, facilissimo e inevitabile: sentiremo un richiamo e non potremo far altro che obbedire”.
Come affermava lo stesso Tondelli, Altri libertini è venuto a me in un momento perfetto. Una dedica sulla prima pagina dice così:
“Che sia un anno in più di esperienze, di sogni e conoscenza”. Improvvisamente una luce fucsia al neon mi travolge riportandomi a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e, in una notte “raminga e fuggitiva” mi ritrovo a correre sulla cinquecento “bianco latte” tra le colline e le montagne, oppure verso i fiumi, le bonifiche e i canneti. Passo veloce lungo le strade d’Emilia o aspetto qualcuno o qualcosa, che non arriverà mai, sulla terrazza del Bowling, nella serata più “noiosa e ubriaca” di tutta la mia esistenza.
Sono al “Posto Ristoro”, il bar vicino alla stazione in cui ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha preso un caffè. Quel bar che odora a solitudine e a disperazione. Quel bar in cui “alloggiano” gli emarginati di sempre: i tossici, gli alcolizzati, gli omosessuali dichiarati e non, le puttane che oggi non definiremmo “escort” e quei “terroni” che, confinati al nord, “trafficano come dannati”.
C’è anche Giusy, che è da quando è nata che dorme “nel sangue e nella merda” e che, per questo, “non se la mena più di tanto”. Cerca di sopravvivere dandosi allo spacciatore di turno o barcamenandosi tra un buco e un altro senza troppe pretese, sperando, flebilmente, che qualcosa si risolverà. Esco dalle pagine e prendo aria un momento.
Credo che Tondelli sia riuscito a farmi avvicinare a queste realtà, ai colori e ai battiti di un’Italia di cui ho solo sentito parlare, come nessun altro e con una intensità tale da impormi, dopo altre e tra le altre, queste parole scritte; ora, a 22 anni dalla sua scomparsa.
Pier Vittorio Tondelli era, ed è, uno scrittore generoso e onesto nel realismo che sconvolse all’epoca e che oggi mi affascina; riuscì, e riesce, a dar voce a un popolo emarginato, occultato e abbandonato a sé stesso.
Cercando di rassicurarla, lo stesso Tondelli scriverà a una sua insegnante di liceo, che dopo la lettura di Altri libertini era rimasta turbata e preoccupata per l’avvenire dell’ancora ragazzo scrittore:
“Cara Wanda, ho fatto del bene agli emarginati, ho portato loro la forza di cercare un riscatto umano, la volontà di essere sé stessi al di là dei giudizi della gente. Alcune persone hanno trovato nelle pagine di Altri libertini, una ragione per andare avanti e dare un senso alla propria vita”.
Il libro fu, dunque, non solo una svolta di linguaggio e contenuti che attirò molta attenzione su di sé, ma anche un approdo per qualcuno che si vide in esso finalmente considerato.
Parallelamente divenne cult di quella generazione che vedeva in Bologna, Firenze, Milano e Berlino le grandi città culturali; quella generazione dei movimenti universitari presa e raccontata da Tondelli attraverso amori, passioni, abissi e disperazioni viste dall’interno. Intervistato nel 1980 da Guido Davico Bonino, Tondelli spiega come in Altri libertini utilizza l’irruenza del “materiale selvaggio” e della cosiddetta “letteratura emarginata”, introducendo elementi nuovi nel discorso letterario dell’epoca. L’autore, infatti, osservatore attento e perspicace quale era, ascolta costantemente i discorsi sugli autobus, nei locali e nei bar e, con irriverenza e coraggio, introduce nelle sue storie il vissuto e il parlato della strada di quegli anni, irrompendo, così, nel circuito ufficiale.
Si tratta di una scrittura coerente e fedele alla terra che la genera; una scrittura che ferisce, appassiona, commuove; una scrittura che pungola, che esorta a sentirsi vivi e, indubbiamente, provoca.
A 20 giorni dalla sua pubblicazione, Altri libertini sarà sequestrato dal tribunale dell’Aquila, che lo definirà “opera luridamente blasfema”, ma la condanna sarà annullata nel 1981; questo fatto contribuì ad accrescere il successo del libro, che diviene un simbolo e un passaggio, se non obbligato, fondamentale per ciascuno di noi che ama la letteratura come forma artistica d’espressione e salvezza.
Lungo gli anni ’80 Tondelli scriverà altri libri, tutti molto diversi da Altri libertini; ricordiamo Pao Pao (1982), romanzo che racconta la esperienza militare obbligatoria di quegli anni che, dunque, colpisce anche lo scrittore, il quale la definirà come “un anno di svacco, trasandatezza e noia”.
A questo punto Tondelli è già considerato una voce di spicco della letteratura italiana, nel 1985 passerà a Bompiani e pubblicherà un altro successo importante, Rimini.
Nel 1986 pubblica Biglietti agli amici, mentre avvia il progetto Under 25, dedicato alla scrittura delle nuove generazioni; si tratta di testi di giovani scrittori, che lo stesso Tondelli correggerà e curerà per inserirli in tre antologie come: Giovani Blues (1986), Belli e Perversi(1987), e Papergang (1990). Se con la scrittura di Altri libertini, da voce, come nessuno prima, ai più emarginati, con questo progetto Tondelli si fa ancora una volta “guida”, “fratello maggiore” per gli aspiranti scrittori del suo tempo, che volevano raccontare e raccontarsi. Si definisce nuovamente per la sua generosità e disponibilità, caratteristiche che rappresenteranno la sua forza e, allo stesso tempo, la sua profonda debolezza. L’ultimo romanzo, Camere separate, sarà pubblicato nel 1989. Lavora e produce ininterrottamente, dunque, e sembra distaccarsi da quell’opera prima che suscitò un clamore unico all’inizio degli anni’80, ma, negli ultimi momenti della sua vita, colpito dalla malattia più spietata che si aggirava in quegli anni, Tondelli dichiarerà di riconoscersi, in quegli ultimi istanti come non mai, proprio nel dolore e, allo stesso tempo, nella grande voglia di vita dei personaggi di Altri libertini.
Quasi un ritorno alle origini e alla verità del pensiero tondelliano, che io ritrovo pienamente svelato in una semplice e grande frase tra le pagine di Altri libertini:
“Sulla mia terra semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere”.