Mi è successa una cosa strana. Lavoro da un mese all’ultimo capitolo del progetto di romanzo che ha cominciato a farsi strada circa quattro anni fa. Il riposo di agosto e l’approssimarsi del traguardo mi hanno messo addosso un bella tensione performativa, un’ingordigia di finire. Guardandomi indietro, pare che le prime pagine di questo capitolo si siano scritte da sole – tanta era la voglia di arrivare là.
Poi mi è successo di mischiare la scrittura con delle letture – guardando all’indietro, è troppo facile concludere che non avrei dovuto, perché il succo è molto più denso di questo. Come che sia, l’ho fatto. Ho iniziato L’inumano di Parente e Le cerveau intime di Jeannerod.
Non è che io legga “per piacere”, non so più esattamente cosa significhi il dualismo piacere-dovere rispetto alla letteratura – “per piacere” al massimo guardo i video del Black Mamba Bryant, cui un giorno, a fine carriera, l’industria del porno dedicherà almeno due categorie tra cui nasty jaws e no mercy.
Comincio L’inumano con in testa un progetto che abbiamo per l’anno prossimo a Crapula – eppure questo libro interferisce fortemente con quanto sto scrivendo. Ne ero del tutto cosciente prima di aprirlo eppure non ho resistito. L’unico modo per evitare questa interferenza è digerirla, quindi mi sono succhiato il libro in due giorni. Dopo un paio di sessioni di scrittura, ho sentito Parente sotto di me, schiacciato sulla suola, ed ho respirato.
Poi ho aperto (si fa per dire, in Kindle, aperto; al massimo ho chiuso un circuito per far circolare corrente) Le cerveau intime di Jeannerod. Il secondo capitolo del libro dello scienziato francese ha un interesse particolare, al di là dell’interesse generale del libro. Ho preso a evidenziare tutto l’evidenziabile – ancora, in Kindle: la morte dell’appunto e dello scoliasta; causa digitale non ci saranno più filologi. Questo capitolo riguarda il modo in cui gruppi di neuroni si organizzano tra loro come su una scala e trattano e trasferiscono informazioni; di come nell’uomo gruppi di neuroni iperspecializzati – tanto più sofisticati quanto distanti dalla sorgente dell’informazione – siano decisamente più importanti che in altri mammiferi.
La mattina dopo, mi trovo davanti a un passaggio chiave di quest’ultimo capitolo. La corrispondenza tra l’organizzazione neuronale descritta nel libro di Jeannerod e il pensiero simbolico-rappresentativo mi sbatte in faccia e si rivela essere il nodo che stavo aspettando di sciogliere. Sono contento – cioè entusiasta con leggero tremolio. Di sera ci ripenso. Un passaggio centrale dell’ultimo capitolo di un progetto di romanzo che ho cominciato 4 anni fa e che mi ha ossessionato ovunque – 3 anni fa, la prima notte in ospedale quando è nata mia figlia l’ho passata pensando, sfiorando senza mai afferrarlo, un nodo di questo romanzo-fantasma che non riuscivo a sciogliere – questo passaggio fondamentale l’ho appena letto ieri sera. Non può essere. Ci sono piani che si arrotolano su se stessi, qua dentro.
Qualche sera dopo, però, invece di chiudere ogni altro libro come mi ero proposto, rileggo il Pensiero dominante di Leopardi. Un mio amico ne parla, io lo rileggo e lo trovo bellissimo. Lo fraintendo del tutto. Mi emoziono pensando che l’oggetto della canzone non è l’amore ma il pensiero stesso – quella costante ossessiva, il maestro del dubbio e della meraviglia, la voce.
Dolcissimo potente
Dominator di mia profonda mente
Se il punto è il pensiero stesso – l’oggetto e il soggetto dell’avventura – allora quella fame di Caso, quell’andare a sbattere da qualche parte senza volerlo, senza sapere come uscirne, è proprio il succo. Sono diventato amico col Caso. Ci scriviamo e chattiamo. Quando si manifesta in situazioni inopportune, dopo le 10:30 di mattina o mentre lavoro per piccioli, mi viene ancora voglia di spaccargli la faccia – la sua o la mia.