Impara l’arte e mettila da parte.

(Detto popolare)

 

 

Tancredi della Pesa si sistema gli occhiali su per il naso e poi si rimette le mani in tasca, scrutando di sottecchi Anselmo Giorgi per monitorarne le reazioni.
«Ommioddio»
Tancredi trattiene un sorriso.
«Gliel’avevo detto che si trattava di un esperimento audace. Lei è il primo a cui lo mostro, Giorgi»
E Giorgi deglutisce.
«Quello è Nino…»
«Sì»
«E lo abbiamo seppellito ieri l’altro»
«Una prova in più che il vero talento artistico va oltre la mortalità»
Giorgi non dice nulla, e si gira verso Tancredi, che sospira.
«Immagino che lei non abbia mai sentito parlare di mesmerismo. Vuole che le faccia portare da bere?»
Giorgi scuote la testa e, forse per deformazione professionale, osserva il blocco di marmo che Nino Giannesi, o quel che resta di lui, sta sbozzando.
«Come siete riusciti a…»
«Chimica»
«Chimica?»
«Chimica»
Lo sguardo di Giorgi resta interrogativo, e allora Tancredi sospira di nuovo, si aggiusta la cravatta e modula la sua voce nella sfumatura più compassata e autorevole, quella che usa in Fondazione, quella che serve a chiudere i contratti e le commissioni; stavolta però vi aggiunge quel particolare senso di fastidio di chi non si ritiene in dovere di dare spiegazioni.
«Per farla breve e semplice, si tratta di fornire al soggetto un’elettrostimolazione nervosa sufficiente a smuovere determinati fluidi, e a risvegliare delle azioni che per lui erano automatiche. Il caso di Nino, tengo a precisarlo, è ancora eccezionale, anzi, è il primo con cui abbiamo avuto un qualche risultato degno di nota»»
«Degno di nota?»
«Nino è stato il salto quantico, il completo cambiamento di paradigma, e già un altro soggetto sembra aver preso una direzione interessante. Ovviamente il nostro non riesce a lavorare come quando era in vita, ma ci stiamo adoperando per un risultato il più, come dire, vivace possibile, e i risultati stanno cominciando a essere davvero affascinanti. E incoraggianti, naturalmente»
«Oh»
«Vede, noi pensiamo sia un peccato che del capitale umano come Nino vada perso per stupidissime cause naturali come lo scorrere del tempo, soprattutto se il corpo è ancora integro e passabilmente robusto. Certo, anche adesso il buon Giannesi ha vita breve, se mi permette la boutade, ed è ovvio che le mesmerizzazioni non sono fatte per durare in eterno»
Anselmo aggrotta le sopracciglia, e prende tempo. Sa di non essere un uomo d’affari del calibro e del talento di Tancredi, ma sa anche di essere molto recettivo, ed è abituato a trattare con artisti e clienti dalle pretese più assurde; gli viene pertanto spontaneo adeguarsi al pragmatismo del suo più importante committente.
E allora annuisce.
«Capisco. Ma, aldilà della questione morale, in che modo…»
Tancredi si rende conto che il primo shock è superato, pertanto decide di buttarsi.
«L’idea mi è venuta in mente parlando con il Danti, Gaspare, ha presente?, quello della fonderia. Ecco, Gaspare si lamentava del fatto che ora, a causa dell’istruzione obbligatoria fino ai sedici anni, la formazione dell’artigiano specializzato è diventata dispendiosa e complicata. Nel suo campo, mi ha detto, un operaio comincia a diventare autonomo dopo sei anni di lavoro, per poi diventare effettivamente produttivo dopo altri due. Insomma, adesso entrano in laboratorio a vent’anni e cominciano a essere utili a trenta, quando la mano è più meccanica che creativa, lei mi capisce, e può essere migliorata fino a un certo punto, e sviluppano l’intelligenza del mestiere, se va bene, al momento di andare in pensione. E invece lui, Gaspare, mi ha detto di aver cominciato a lavorare che aveva dodici anni per un piatto di minestra, per poi specializzarsi nella colatura a diciassette e cominciare a gestire squadre per la realizzazione dei bozzetti verso i venti-venticinque. Se non erro ora è intorno ai sessant’anni, e rappresenta l’eccellenza della scultura in bronzo»
Giorgi sospira sovrappensiero, con un sorrisino nostalgico.
«Tutta la nostra generazione ha una storia simile, Tancredi»
«Lo so. E tutti, non me ne voglia se sono brutale, siete mortali»
Giorgi annuisce meditabondo.
«Credo di capire dove voglia andare a parare, Tancredi. Capisco che le intenzioni sono buone, e sono d’accordo che preservare l’esperienza artigiana è fondamentale, però…»
La voce di Tancredi sale improvvisamente di tono, sfoderando una passione che Giorgi non gli aveva mai sospettato.
«Il fatto è che una volta, in una convention a cui ho partecipato per la Fondazione, ho visto una macchina giapponese per le sbozzature e le prerifiniture, e…»
Giorgi rotea gli occhi e lo interrompe sbuffando; e Tancredi sorride, caloroso e complice.
«Concordo. Quelle macchine sono una barbarie, buone appena per gli oggetti in serie ma assolutamente incompatibili con una qualsivoglia visione artistica»
«Con una qualsivoglia decenza, in verità»
Tancredi ride, e sente che l’atmosfera è diventata quella giusta.
«Assolutamente. Il fatto è che, come può vedere, Nino Giannesi, seppur lavorando per stimoli automatici, ottiene un risultato molto più incisivo di quello raggiunto da quelle macchinette del cavolo. Voglio dire, guardi»
E Giorgi allora si rende conto che sì, effettivamente sulla sezione A del blocco è stato fatto un lavoro discreto, addirittura buono, e che la parte B promette pure meglio.
«Sarebbe possibile farlo diventare più…»
Tancredi fa spallucce, un po’ mortificato.
«L’aspetto può essere migliorato, ma fino a un certo punto. Siamo pur sempre davanti a una salma»
«No, no, mi ha frainteso. Volevo dire più… fluido»
«Ah, ho capito. Posso solo ribadire che questo è il nostro obbiettivo, ma che Nino non potrà lavorare troppo a lungo»
«Ah»
«Il corpo si decompone, purtroppo, e sostituire le parti che man mano perdono di vigore finisce per irrigidire ancora di più tutto l’insieme»
«Peccato»
«Niente è fatto per durare in eterno, Giorgi, eccetto la buona arte, naturalmente. L’utilità pratica dei nostri studi, quella che vorrei illustrarle più nel dettaglio, sta nella possibilità di affiancare a questi… veterani… i giovani apprendisti, magari mentre ancora frequentano le scuole, in modo da risparmiare sia sulle tempistiche della lavorazione sia sui costi di formazione. Dato che gli istituti d’arte si stanno trasformando in licei, il più delle volte vi ritrovate a dover gestire dei giovani uomini che, non per colpa loro, a stento sanno tenere in mano una subbia…»
Giorgi annuisce, assorto.
«Lo sa che io a vent’anni già lavoravo sui bozzetti di Henry Moore?»
«Infatti l’idea è di non perdere il ritmo lavorativo né la qualità finale, e al contempo fornire all’apprendista la migliore formazione possibile nel modo più diretto e professionale immaginabile, senza distrarre l’artigiano attivo dalle sue mansioni, che il cielo sa se abbondano. Senza contare il fatto che anche gli artisti sono diventati quello che sono diventati»
Giorgi annuisce di nuovo, un po’ triste, e ricorda Nino, e pensa che questi era stato certamente uno sbozzatore di qualità sublime, ma che, ovviamente, come uomo aveva i suoi difetti: mal sopportava gli apprendisti, non voleva che lo guardassero lavorare, e con l’età, e il prestigio, era anche diventato suscettibile.
Adesso, riflette ancora Giorgi, di gente veramente in gamba c’è giusto la Francesca Palfitti, che però ha già cinquant’anni, e comincia a dare segni d’insofferenza perché Artemisia, la scultrice di cui lei realizza le opere, neanche manda più i bozzetti, ma si limita a dare indicazioni per telefono; e, ancora, Anselmo riflette che cambiano i ritmi, cambiano i tempi, cambiano gli artisti, e mantenere un legame con una tradizione di qualità è complicato, richiede una cura che un tempo c’era, ma che adesso è fuori discussione.
E a Giorgi, che continua a riflettere, vengono in mente quei due o tre ragazzi che si avvicinano a Nino, in quanto a verve e personalità creativa, ragazzi che il buonanima non aveva mai potuto sopportare, fin dal loro ingresso in studio. Specialmente Michele, che, quando ancora andava al liceo, si adoperava per la scuola il giusto per non avere debiti, e poi si precipitava in laboratorio, dove sfortunatamente poteva guardare e basta. E Nino non gli permetteva neanche quello, e non rispondeva alle sue domande, perché aveva da fare.
Tancredi, dal canto suo, osserva Giorgi, avverte il flusso dei suoi pensieri e non si azzarda a interromperlo, perché sa che con gli artigiani di razza funziona così; e solo quando Anselmo gli rivolge un’occhiata acuta e curiosa si concede, con la massima discrezione, un accenno di ammicco.
E Giorgi ricambia.