Oggi la Jean Paul Sarte Entertainment (JPSE) mi ha recapitato un cofanetto molto speciale. È stato un regalo inatteso, ma in qualche modo dovuto a chi come me ha dedicato almeno due anni della sua vita a cercare di capire, a sforzarsi di capire l’opera di Jean Paul Sartre – padre emerito di una serie innumerevole di idioti. Non me ne vogliano gli idioti di altra estrazione socio-politico-culturale se per me chi resta nella scia del filosofo e scrittore francese è più idiota di altri.
Questo regalo, dicevo, è composto di tre denti (due originali e un apocrifo) e tre peli pubici, tutti veri, di Sartre. Insomma è un po’ come avere a casa una reliquia di qualche santo martire medievale – e in fondo che cos’è stato Jean Paul Sartre se non uno degli ultimi martiri di una fede socio-politico-culturale oramai tramontata?
Ma divago, come il dottor Zivago per le campagne della Russia bolscevica (ci avessero mandato Jean Paul!)
L’emozione mi ha preso! Adesso devo scrivere qualcosa per questo giorno di gioia, per questa felicità inattesa, perché non si dica di me che sono un idiota.
Eppure io non posso scrivere niente su Sartre, mi viene il mal di mare sulla terra ferma. Allora, mi sono detto, sveglio il cane, e faccio scrivere a lui qualcosa. Così, non dovrò sentirmi in debito con nessuno.
E questo breve testo di seguito è quello che ha scritto di sua zampa il Cane.
La gente si premura di conoscere altra gente, poiché la gente che conosce è sempre troppo poca. L’esiguità, il numero assottigliato dei presenti, dei non-presenti, degli assenti – questo è il suo dispiacere. Ora mi chiedi di parlare di quel pensatore scemo e io ricordo solo quell’aforisma: “Gli altri sono l’inferno!”. A me lo vieni a dire! Io sono un cane, me ne fotto così tanto degli altri che non li chiamo in causa mai.
Ma interpreto ora e mai più.
Anche lui, Sartre il bello, voleva conoscere più gente ancora, ma da un lato opposto di chi ricerca la gente, voleva che la gente lo cercasse, lo desiderasse, che una groupie implorante gli chiedesse, tutta rossa d’emozione e mestruo: “Maestro, vate, mio dio, posso succhiarti il cazzo? Anche moscio, non m’importa e, se vuoi, con un dito in culo ti stimolo la prostata. Vieni, maestro, vate, mio dio, vieni dentro la mia bocca asciutta di verità!”
Allora, quando il dito nel culo, passando per lo sfintere e questo rilasciando un residuo gassoso e profumato, avesse iniziato a stimolare il nervo dall’interno – oh gli inferni sarebbero divenuti paradisi perduti e ritrovati, l’esistenza stessa avrebbe perso il suo anacronismo rivoluzionario, e infine come ogni santo sarebbe morto schizzando in faccia alla sua madonna.
Senza nient’altro aggiungere il cane è tornato ad arricciarsi su sé stesso, guardandomi di sbieco. Ti chiedo perdono, amico mio, ma io non ce l’avrei fatta a dire meglio di come hai fatto tu.
Ti ringrazio.