Scrittori che parlano di attualità. (1) Attualità è per loro ciò che accade hic et nunc (IDEALISMO – POLITICA DI MATRICE HEGELIANA – MARX E LE DESTRE – COMUNISMO vs FASCISMI). Ma se chiedi loro che cos’è l’attualità, ecco che ti cacciano fuori la parolina magica: l’universale.
Eppure mi sembra (santo santo santo santo è Ser Maclavello) che l’attuale sia concernente solo il momento – his quod carpendum est – mentre l’universale valga per sempre, sia unità di misura, piuttosto che risultato. L’attuale, poi, ha un legame indissolubile con l’oggi (coro di stadio con tamburo africano suonato col batacchio: HIC ET NUNC, stronzo!), sebbene anche in questo caso mi sembra che si faccia confusione. Che cos’è l’oggi? È davvero presente? O è un prima appena trascorso? (Capisco che la questione così posta, il problema, può essere fraintesa o scartata). Eppure, agli scrittori che sentenziano sull’attualità (previo pagamento, ecco l’IBAN) se qualcuno fa notare questa leggerissima sfumatura percettiva, crepa semantica, tra l’oggi accaduto poco prima e l’oggi che sta per accadere (perché un minimo di previsione sugli eventi si può fare) e che ponendosi in quello squarcio (Carpe diem: tutto da reinterpretare) non ci si pone nell’hic et nunc (santificato e politicizzato e pubblicizzato), ma ci si immerge in un territorio più ostile in cui il tempo (che gli scrittori di attualità benedicono quasi come la sordida moneta o la più strisciante idolatria, loro che vogliono, che esigono hic et nunc e se non lo trovano, lo implorano) non sarebbe più una favola, una superstizione, allora si potranno sentire le loro strilla e gli slogan e le rivendicazioni da lavoratori della penna.
E poi c’è la fine della storia:
se qualcuno fa notare tutto questo a uno scrittore di attualità, ecco che questo si trasforma, diventa una furia dell’Io (e perché non considerare l’Io un’indefettibile superstizione?) e lo scrittore di attualità (poiché l’oggi, come insegnano i padri modernisti, è figlio del Diabolus – di chi?) tira fuori un’altra parolina magica: la morale. E mi chiedo: l’oggi sarebbe immorale? E se l’oggi è immorale, lo scrittore di attualità sarebbe immorale, non più morale quindi? Se è diabolico, poiché figlio di padre modernista, non dovrebbe essere immorale e non tacciare altri di morale? Non è questa la lezione? Non è questa l’abluzione, la purificazione e l’apertura alla Storia? (Coro da stadio, tamburi e trombe, festa carioca dell’oggi: HIC ET NUNC, coglionazo!).
E infine i piagnistei, invece di accettare e proseguire, sobbarcandosi le proprie scelte traverse. Ma qui lo scrittore di attualità si è perso, e mi ritrovo a parlare al vuoto.
Il tempo. (Da una discussione notturna con Alfredo). Il tempo come unità di calore, calore come trattenimento e consunzione di energia. Un corpo caldo tende a espandersi, per cui espansione è uguale a vita. Quando, invece o al contrario, si contrae, poiché consumato, contrazione uguale a morte. Il tempo al di là di queste due dinamiche non esiste?
In letteratura, che cos’è vita e che cos’è morte? Chi disgrega (e contrae) contro chi amplifica (e squarcia). Il punto, mi pare, è il senso (la direzione, il fatto propriamente fisico elementare, il vettore) che conduce verso lo scontro tra contraenti e squarcianti.
Se penso al tempo vedo due corpi che si frizionano, energia cinetica, di nuovo calore, vita. E un feto nel ventre della madre. Immerso nel liquido e avvolto nella placenta. La temperatura è alta, il calore permette la vita e insieme contribuisce a disgregarla e in questa dinamica si può comprendere il prima e il dopo, l’istante e la durata.
E se guardassimo ancora più sotto, nel più minuscolo, nel più “invisibile, nel microbiotico? Anche la vita di questi “esseri” (filosoficamente un batterio è?) dipende dal calore, sia la loro diffusione quanto la morte?
Scrittori che parlano di attualità. (2) Vedono la traccia, ma non la ammettono. L’originalità per loro è essere ex novo, ingenerati, puri. L’originalità è per loro la presenza di un qualche dio caduto, poiché la creazione può essere soltanto opera di chi ritiene la creazione immagine riflessa, trapassata nello specchio chiamato metafora.
Ego scriptor (solo se in elenco). In questo sogno chiamato letteratura, troppe voci oggi che pretendono ascolto, troppe mistificazioni e piaggerie. Il senso, il valore, lo specchio, la protuberanza ascetica, la solitudine, l’abuso e il riuso. Elenchi: certamente la cosa più auspicabile è che qualcuno venga a dirci che cosa si può, poiché è in elenco, e che cosa no. Eppure per contraddizione soltanto chi è in elenco può disimpegnarsi da qualsiasi novità e scriversi addosso. Eppure anche la novità non è più nuova o validante, poiché in fondo all’elenco c’è proprio lei, la novità – ultima della fila, in attesa che qualcuno (forse chi legge gli elenchi o addirittura chi li compila) si accorga della sua presenza. Intanto sono trascorsi fiumi di inchiostro nei quali ci si può bagnare anche per centinaia di volte senza che nulla sia cambiato. E lo stesso accade per l’originalità, che sta in elenco subito prima della novità.
Eppure tutti sono originali, ognuno è un caso, ognuno un esperimento, sebbene non ci sia l’occhio che riesca a vederlo, poiché nell’oggi non si vede niente, è tutto così minuscolo e impreciso e istantaneo, che soltanto nella modularità, nella linea continua, nell’abitudine si può riscontrare qualcosa. Perché ciò che è originale sta dovunque, ma è celato, non per volontà o necessità (l’originale è quasi puro come la novità), ma perché non può mostrarsi, non è in grado di venire fuori, di essere evidente se non c’è una disfunzione che lo faccia risaltare nel brulicare di casi, di esperimenti, di elenchi.
E c’è chi accoglie questo fermento ribollente con placida accettazione, con un “deve essere così” o “potrebbe essere diversamente, ma non è” o “tempo e costanza, spazio e merito”.
Poi, però, c’è la metonimia, nella quale è bello perdersi.