I.
Cometa è un romanzo di orfani.
Raffaele ha perduto la madre da bambino, nel corso di un incidente automobilistico. Con lei ha perso anche una sorellina infante, prodotto di un secondo matrimonio, strappata alla vita mentre sonnecchiava accanto a lui sul sedile posteriore. A salvare Raffaele dalla medesima fine è la visione di una vecchia sul ciglio della strada che lo spinge ad aprire il finestrino, da cui viene sbalzato fuori prima che l’auto si accartocci.
L’intera volta celeste, come un ragno con miliardi di occhi, mi guardava scivolare sotto la sua pancia. Mentre superavo lo zenit e cominciavo a precipitare, mi passò sopra, tagliando la Via Lattea, una palla di fuoco bianco. Ricordo che feci in tempo a pensare mamma! e poi atterrai sull’asfalto.
Il padre di Raffaele è scomparso all’improvviso; di lui non si sa nulla, tranne che per qualche tempo, prima della separazione, lui e la madre erano stati “sempre insieme, sicché li consideravo virtualmente la stessa cosa”.
Anche il padre di Fabio è un uomo assente. Se dapprima lo è solo in senso largo, ben presto finisce per diventare assente veramente, in seguito a un ictus che lo rende poco più di un vegetale e che comporta il suo ritiro in una casa di cura.
Tra Raffaele e Fabio vi è un rapporto di compenetrazione quasi totale, tanto che potrebbero essere l’uno il prodotto della coscienza dell’altro. Come in Mulholland Drive, il film tanto amato da Fabio, che lo fa sentire “a casa”, questi sembra vivere nel sogno di Raffaele, riflettendo in modo speculare sensi di colpa e traumi del suo sognatore. Se nell’infanzia dell’uno emerge il ricordo di una ragazzina predata, in quella dell’altro vi è una folle predatrice. Se il primo non ha più una madre, l’altro, eliminato il padre dalla scena, vive come un eterno bambino con la mamma che ancora gli serve a colazione il latte e i cereali. E se al termine del suo forsennato percorso formativo Raffaele finirà per accasarsi con una donna che, al pari della madre, si chiuderà alle spalle la porta di camera, nella vita dell’altro si materializzeranno all’improvviso due figure femminili che sembrano ricreare quelle scomparse anni addietro.
Dovevo essermi convinto che da qualche parte nella mia mente sopravvivevano intrappolate le anime di mia madre e mia sorella.
II.
Cometa è un romanzo sul senso di inadeguatezza degli uomini davanti alle donne.
Nelle sue scellerate esplorazioni sessuali Raffaele non ha mai smesso di cercare di rientrare nell’utero materno. Le donne, per lui, esistono unicamente in virtù della loro funzione materna e della loro sessualità, del loro potere di curare le ferite e di arrecarle. Le donne, nel romanzo, sono tutte madri. Madri reali o incarnazioni di archetipi, ciascuna con gli attributi peculiari di una Grande Madre, di Eva, di Lilith. Sono donne tiranniche dalle cosce forti; o severe, dalle espressioni incredule di eterne ragazzine. Donne crudeli, vendicative, che puniscono. Donne che schiacciano la sessualità maschile, il sacro impeto alla ribellione, a favore della contemplazione di una pala eolica. Donne morte misteriosamente nel baccanale di un festival, cadaveri di Veneri che infiammano la folla inerme di repulsione e di desiderio erotico. Donne che alla danza classica preferiscono le arti marziali e in cui i presunti padri non esitano a non riconoscere una sola traccia del loro DNA.
Donne che pretendono di sentirsi desiderate, e l’unico uomo in grado di appagarle, di domarle e di umiliarle, è l’artista; poco importa che sia un artista vero e non un delirante ciarlatano, quel che conta è che loro lo ritengano tale. Un uomo in grado di concepire un’arte che consenta loro di vedere loro stesse, che rappresenti loro stesse, per il puro piacere dell’autocontemplazione. Perché al mondo non vi è altro che sia degno di suscitare interesse, men che meno se collegato alla sessualità maschile: motivo per cui la grottesca installazione fallica di Raffaele è destinata all’insuccesso.
Una luce che illuminava solo se stessa e pareva sorpresa di ricevere finalmente l’attenzione che il genere umano le aveva a lungo negato.
Sono donne che cercano disperatamente attenzioni mentre i loro uomini annaspano appresso ai fantasmi, vivendo e galleggiando in superficie.
Quello che Fabio apprezza di Mulholland Drive sono i chiaroscuri sui volti delle attrici. Quando è costretto a rendere ragione del suo amore per Gloria riesce solo a pensare al suo ombelico, porta d’accesso e legame segreto con l’universo fetale, ma subito dopo impazzisce d’orrore all’idea di guardare che cosa c’è dietro. Lo stesso orrore lo coglie davanti alla visione della ragazza che cerca di “farsi mettere incinta dal mare”, un mare che sa solo partorire mostri, così come nel liquido amniotico si sviluppano quei feti destinati a diventare nuovi figli, pronti a prendere il posto dei padri. Perfino il suo gatto è una femmina, ed è una bestia incontrollabile e selvatica.
E se Raffaele si percepisce in grado di trasformarsi a piacimento in una donna, tutto ciò che riesce a fare nella sua immaginazione è uno stereotipo: truccarsi, sculettare, fare shopping. Qui si ferma la sua comprensione del mondo femminile. Nelle sue scorribande sessuali compaiono anche i nomi di alcuni uomini, i cui caratteri sono muti e i destini sono tristi.
III.
Cometa è un romanzo che indaga la natura dell’amore.
Amore che sembra possibile provare solo per l’idea stessa dell’amore, o sotto gli effetti di una droga psichedelica. Amore che è una fusione totale con l’altro, tanto da rovesciarsi e assumere la forma di un amore per se stessi.
Quando si rese conto che Fabio era lui, Raffaele si era alzato e armeggiava con lo stereo. Ho provato il sentimento di qualcun altro come se fosse mio, questo è l’amore.
A far collassare il rapporto tra i due protagonisti è proprio una ferita sentimentale. Entrambi entrano in crisi in seguito a una delusione e questo scatena un corto circuito. Raffaele recupera l’antica ossessione che lo spinge a guardare al cielo, elemento che, insieme all’idea del sesso, costituisce uno dei primi ricordi della sua infanzia, e aprendosi ai misteri dell’esistenza si apre al mondo, al sentimento della compassione: in quest’ottica comincia a rivedere la sua vita.
Fabio, precipitato dentro una spirale complottista e sempre più nonsense, la cui figura in giro per il mondo alla ricerca di acquirenti per Comeetr ricorda vagamente quella di Tyler Durden in Fight Club, cerca di darsi una spiegazione più scientifica dell’amore che prova, aprendo così una frattura, nel libro, tra la visione spirituale e quella materiale sull’origine di tutte le cose.
Ma la sua interpretazione della cosa fu più singolare, e fu che l’amore spingeva la sua mente a cercare di imitare quella di Carla, non solo nel tentativo di assecondarne gli esiti, l’output, cioè di fare gli stessi pensieri, ma più radicalmente, di assumere la stessa forma.
Un attimo prima del crollo, della non-risoluzione, riappare la vecchia, quella figura simbolica coi capelli sulla faccia che ha salvato Raffaele durante l’incidente. A vederla questa volta, in mezzo al traffico e alla pioggia, è Fabio, quando il suo mondo si spacca sotto il peso della rivelazione come nel lynchiano club del Silencio. Un’apparizione che apre la strada al delirio finale, a un nuovo abbaglio della “palla di fuoco bianca”, lasciandoci nel dubbio che Raffaele, l’uomo capace di “suicidarsi con la sola forza del pensiero”, sia ancora chiuso altrove: in un’auto, in un bislacco (a)social network, sul fondo della propria coscienza. Di certo resta solo la conferma a quanto detto da James Hillman nella sua opera Il suicidio e l’anima, ovvero che “noi soffriamo quando mischiamo la realtà psichica con persone ed eventi concreti, riducendo così la vita a simbolo e distorcendone la realtà.”
IV.
Cometa è un romanzo che interpone il caleidoscopio della mitomania tra se stesso e la contemporaneità, di cui restituisce una deliberata mistificazione. Dall’edonismo dei primi anni Ottanta all’ipnosi dei social network, i suoi protagonisti si muovono all’interno di una società psicotica da cui non si capisce se siano modellati, o se siano essi stessi a modellarla.
Se l’incipit sembra quasi anticipare la vicenda di una formazione erotica, alla stregua di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli (Feltrinelli, 2015), subito dopo il romanzo prende una piega diversa. Il quadro desolante che traccia dell’infanzia sembra rifarsi più alla coraggiosa operazione di Simona Vinci, che con il suo Dei bambini non si sa nulla (Einaudi Stile Libero) già nel 1997 aveva gettato una luce sinistra sulla sessualità infantile. Solo alcuni anni più tardi l’inglese Nick Hornby avrebbe rilasciato un’antologia-manifesto contenente dodici racconti a opera di giovani scrittori anglofoni (Le parole per dirlo, Guanda, 2001) il cui stile grottesco, accattivante, esasperato, avrebbe ispirato un’intera generazione di blogger e il cui pezzo di apertura, interamente incentrato su un pomeriggio di sesso tra due adolescenti borderline, sembra a tratti riecheggiare in questo libro.
Più provocatorio che sorprendente, insomma, lo stile narrativo inserisce il romanzo a conclusione di un filone apertosi nel corso degli anni Novanta con le opere dello scozzese Irvine Welsh (per taluni, il Balzac dei giorni nostri), autore di romanzi cosiddetti “generazionali” quali Trainspotting e Colla – In particolar modo, l’intero episodio del G8 ricorda quello del picchetto dei minatori a cui Mark Renton prende parte col padre all’inizio di Skagboys. Benché la definizione di romanzo generazionale sia forse azzardata, chi ha alle spalle lo stesso background di Magini (la Firenze dei primi anni Zero, i collettivi studenteschi, gli appartamenti in condivisione) non stenterà a riconoscere atmosfere e situazioni del proprio passato – esperienze che si presentavano coperte da un manto alienante già allora, mentre erano vissute.
Gregorio Magini
Cometa
Neo Edizioni, 2018
pp. 243