Un giorno Benedetta Salviati di anni venti voleva credere che l’amore è tutto e quello stesso giorno Arrigo Monticelli di anni quaranta pensava che ci si può abituare persino alla disperazione e i due, entrambi presi dai propri pensieri e intenti a camminare nelle reciproche bolle blu piene d’ossigeno in un altro mondo in cui c’era acqua da bere ma non aria da respirare, si urtarono e caddero come si cadrebbe in bolle elastiche da chewingum a misura umana, ossia rimbalzando.
Di nuovo in piedi, i due sorridevano, Benedetta Salviati pensando che certi eventi quando si verificano significano tutto, Arrigo Monticelli pensando che al dolore oscillante talvolta si impongono pause in fondo utili a capire solo che la disperazione è quando succedono cose belle destinate a finire e mentre stai troppo bene dopo stai anche peggio, però il sorriso di Benedetta Salviati era ampio e illuminato di luce propria e Arrigo Monticelli che viveva di luce riflessa si fece contagiare e sorrise fuori sincrono.
A quel punto una lenta automobile volante da corsa originaria di un mondo in cui i mezzi sono molto più lenti del primo mondo si fermò: scese dal veicolo-velivolo una femme fatale di anni trenta, puntò verso Arrigo Monticelli un indice troppo lungo poiché l’unghia lo prolungava di metà e terminava in una punta tanto pericolosa e disse:
«Tu mi avevi promesso di morire insieme in una sola bolla blu finché morte per asfissia ci avesse separati!»
Arrigo Monticelli mentre ascoltava fissava la punta acuminata dell’unghia della punta dell’indice che se avesse toccato la sua bolla blu dopo aver trapassato la bolla della femme fatale avrebbe prodotto uno squarcio mortale, e nessuno quanto l’uomo disperato conosce il valore della morte in tutte le sue molteplici terribili sfaccettature. In quel mondo, c’è da dire, molte coppie finivano così: per suicidio-omicidio.
«Scusa, scusa…per me ci si può abituare anche alla disperazione, non occorre agire, non occorre forzare il tempo, non occorre patire una fine premeditata.»
La voce di Arrigo Monticelli era tremante, quel momento acrobatico dell’esistenza gli metteva un gelo in corpo che chi lo conosce può capire e chi non lo conosce, no.
Poi c’era Benedetta Salviati. Se ne stava silenziosa nella sua bolla blu ad assistere a una scena che non le riguardava con protagonisti due sconosciuti: una femme fatale come sono tutte le femmes fatales, cioè bellissime, feline, con lo splendore definitivo del destino tatuato in una qualche parte microscopica delle pupille; e un uomo che faceva tutto come se avesse un gufo sulla spalla.
«Io credo che l’amore sia tutto.»
Arrigo Monticelli abbassò di colpo la testa come se non ci fossero più speranze.
La femme fatale fissò lo sguardo sulla giovane donna gentile con lo stupore di chi si accorge che mentre fai e dici cose non sei sola né c’è solo il tuo interlocutore e destinatario di parole, ma c’è anche un terzo che guarda e mentre guarda pensa altre cose che chissà cosa sono, e a saperlo si scopre che non è un caso se l’altrui giudizio fa tanta paura.
«Tu credi cose che si credono quando si è giovani e infiniti, e non sai che in questo momento ci hai uccisi.»
E infatti, mentre la femme fatale lo diceva, Arrigo Monticelli faceva un balzo agile come fanno le bolle blu muovendosi in un’atmosfera che non è quella del mondo originario, ma è diversa e nessun fisico astronomico l’ha ancora spiegata in una maniera comprensibile a chiunque altro non sia un fisico astronomico. Il balzo terminava in uno scontro col dito indice lungo a punta della femme fatale che doveva essere fatale e lo fu perché trapassò la bolla blu di lei e squarciò la bolla blu di lui.
Mentre il fatto si svolgeva in un tempo troppo veloce per un mondo in cui tutto avveniva in una maniera molto più lenta rispetto all’altro mondo, Benedetta Salviati guardava e il viso si contorceva in una smorfia strana che è quella del candore bambino violato dalla visione imprevista del sesso dei genitori e lei non lo sapeva ma una ruga spuntava sotto l’occhio destro mentre l’elemento ineluttabile della natura umana che sempre si cerca di dimenticare si dipanava in una maniera violenta ma anche dolce e bella, quella di una morte che si convive appassionatamente in due.
A quel punto Benedetta Salviati, in uno scenario fattosi desolato ma non desertico, non poteva fare a meno di pensare quanto voleva credere prima di scontrarsi con Arrigo Monticelli – che l’amore è tutto – e questo pensiero le creava un bruciore proprio lì dove la pelle si era increspata nella sua prima ruga. Benedetta Salviati sarebbe invecchiata presto – di un’esclusiva consapevolezza.
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Crediti: Consapevolezza è apparso in precedenza sulla rivista digitale Extravesuviana, che ringraziamo.
L’articolo è parte di Ô Metis V, Invenzione