Le connu
I.
La biondissima ostinazione recalcitrante
di una bambina che gira in tondo –
alle statue prescrive un cerchio.
Io scrivo invece sempre peggio,
senza badare al cartello dell’uscita.
Nessuno può sentire il lamento delle piastrelle,
mentre al filosofo che vende libri sul lungofiume
gli occhi galleggiano sul volto
come la luce bollente che sfrigola sulla Senna.
È ora di smascherare la tua passione segreta per il formaggio,
quali altri insondabili voglie di imparare il rumeno
attraversano il campo visivo e irrompono
senza lasciapassare in una nuvola di cordoglio.
Al netto della disperazione di ogni uccello
che sorvola le case antiche –
risparmiate dalla guerra e dall’instabilità –,
nel suo ventre l’Europa pulsa per la separazione.
Se solo questa fosse la Grecia antica
la mia testa mozzata nel piatto
varrebbe di certo un buon desinare.
II.
La devozione per la conservazione del Bene
nonostante il torreggiante grumo di foglie
e la liberazione dei passi e delle mani dei moderni.
Il faut! Il faut! La natura si presenta una volta sola,
ha i baffi e guarda l’orologio con la circospezione
tipica di chi è prossimo a un salto nel vuoto.
È il verde che campeggia, strillante come un simbolo,
hervorgehoben, un qualsiasi scalciare commiatoso
da cantante con la barba lustra e appiccicaticcia.
Vorrei potermi difendere dal dire,
ma l’esenzione dalla parola sembrerebbe ridondante.
III.
L’ignobile geometria del luogo,
il pietriccio e le fronde oscillanti –
ciascuno a suo modo, senza interruzioni –,
le grate e le punte delle grazie
d’intorno al passo canzonato del piccione,
le cicche di sigaretta che avresti odiato,
ogni infattibile colore della pelle
che vedo depennarsi dalla lista –
la volontà scarseggia da queste parti –;
se tutto questo fosse vero oggi
e se le bocche di leone sputassero fuoco,
allora immagina l’incendio purissimo
che ci divorerebbe tutti, me
e questa gente felice nei prati
che coltiva la felicità del sangue,
il versato alla scienza meravigliosa della riproduzione,
sotto ogni condizione del casco*,
un enigma respiratorio dissolventesi
per l’incandescenza del cuore che brucia
persino la linguetta delle scarpe
nell’elegia trionfante del ginnasio.
Se tutto questo fosse vero oggi,
se la bocca dei leoni fosse serrata dal tasso,
al cospetto di un processo termico di congelamento
nella cui direzione ci si ostina all’ibernazione, me
e questa gente che corre nei prati
via via più lenta e smunta ai miei occhi,
che finalmente mi conducono da mio padre –
uno scarto nell’enorme successo della decomposizione –,
sotto ogni condizione del caso,
la cieca domanda mai pervenuta,
la lesa indulgenza mai esibita:
dimmi cosa si prova ad ammirare
la trasmutazione epocale della storia,
la prima forma di scrittura,
e cosa hai visto quando liberato
l’uomo dalla sua teca di ghiaccio
l’hai trovato comunque carbonizzato.
*Nota del Filologo: “Caso, secondo ogni logica. Eppure l’elemento performativo del poema (il caso, appunto) ha reso questa distorsione essenziale.