Kurt Vonnegut non è un autore, ma una boccata di ossigeno. In tempi in cui la condivisione si è trasformata in valore e la questione centrale dell’esistenza (trovare il nostro posto e il nostro senso nel mondo) è schiava dell’irrefrenabile impulso a marcare la nostra presenza come fa un gatto in calore urinando sul divano, le opere dello scrittore di Indianapolis sono una gioia liberatoria, perché ci incitano con vigorosa dolcezza a osservare in modo benevolo ciò che ci circonda, affrontando senza paura i momenti in cui le cose si rivelano in tutta la loro mancanza di senso.
Gli umanisti cercano di comportarsi decorosamente e onorevolmente senza attendersi premi o punizioni nell’aldilà. Sinora il creatore dell’Universo ci è rimasto inconoscibile. E noi serviamo meglio possibile la più alta astrazione di cui abbiamo conoscenza, cioè la nostra comunità.
Cronosisma sta all’intera opera vonneguttiana come 8½ sta a quella di Fellini: è un romanzo al contempo sovrabbondante (di idee, di sentimenti, di letteratura, di affettuosa e disperata rassegnazione, di punti esclamativi) ed essenziale, permeato di quel catastrofismo apocalittico e ottimista che è una costante dello scrittore americano.
Il perché noi siamo destinati a risorgere costantemente dalle ceneri della nostra stupidità è forse il più grande mistero dell’universo; e se, come accade nel romanzo, un singhiozzo del sistema spazio-temporale ci obbliga a rivivere gli ultimi dieci anni della nostra vita senza poter fare il minimo intervento su di essi, questa si tramuta in occasione per venire a contatto con la nostra inadeguatezza e poi, una volta riacquistato l’illusorio controllo di ciò che siamo, provare a vivere in maniera più intima, più vera, e quindi più bella; e il fatto di essere congenitamente incapaci anche solo a orientarci nelle circostanze non ci esime dal mettere nell’impresa tutto il nostro impegno.
Quando la replica ebbe fine, tuttavia, e il libero arbitrio tornò in sella, tutti e tutto erano esattamente dove si trovavano quando il cronosisma aveva colpito. Sicché Zoltan era nuovamente paraplegico in una sedia a rotelle, e di nuovo stava suonando quel campanello. Non si rese conto che d’un colpo toccava a lui decidere cosa dovesse fare da lì in poi il suo dito. Il quale, per mancanza di istruzioni, rimase lì a premere il campanello.
Era questo che Zoltan stava facendo quando venne arrotato da un camion dei pompieri. Il guidatore non si era ancora reso conto che toccava a lui guidare quell’arnese.
Per la sua lucidità intrisa di compassione, l’ultimo capolavoro di Vonnegut è un meraviglioso messaggio d’amore e di speranza per l’umanità, il testamento di un grande intellettuale, onesto e passionale, che non crede nell’idea di progresso ma confida nel tentativo di gioioso miglioramento di ogni essere umano. Non possiamo comprendere l’assurdità della vita, men che meno renderla conoscibile mediante le nostre astrazioni, ma possiamo sempre fare del nostro meglio e goderci il viaggio, coltivando le nostre capacità, i nostri sentimenti e gettando uno sguardo il più pulito e gentile possibile.
Kurt Vonnegut
Cronosisma (1997)
Trad. it. di Sergio Claudio Perroni
Roma, Minimum fax, 2016
pp. 262