PREFAZIONE
[…] Il fatto che il libro fosse tragico non mi rendeva infelice perché ero convinto che la vita è una tragedia e sapevo che può avere soltanto una fine. Ma accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da essere contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute. Oltre a questo nulla importava. […]
E. Hemingway, Addio alle armi. (Ed. Mondadori – I meridiani, trad. di F. Pivano)
Già, ed è solo l’introduzione. Lo sviluppo dà poi la misura della grandezza di Hemingway. Questo libro l’ho letto non pochi anni fa e mi è piaciuto molto. Sebbene poi abbia dovuto confrontare il mio giudizio con quello di taluni critici letterari (magari anche la Nanda, per esempio) , che sostenevano come il nostro Autore abbia dato il meglio di sé nei racconti piuttosto che nei romanzi, ritenuti talvolta un po’ troppo “romanzati”. Che dire.
A proposito di Hemingway, c”è il caso di DFW (personaggio per voi verosimilmente problematico da trattare, sembrerebbe), che ritiene il racconto ‘In our time’ qualcosa di superlativo. Ma quel racconto non è mai stato pubblicato in italiano. Proverò allora a cercarlo qui a Milano presso l’American Book Store, in lingua originale. Voi l’avete letto? e, se sì, che ne pensate?
Grazie per l’ospitalità, e cordiali saluti.
Enrico
P.S.
Che vuol dire “Guappo ‘e cartone”? Sono curioso di saperlo.
Ciao Enrico,
grazie a te per passare così spesso a trovarci.
Penso su Hemingway che il passo dell’introduzione sia abbastanza chiaro sulle intenzioni e le scelte narrative dell’americano. Io non ho letto molti suoi racconti, eppure quei pochi sono bastati a darmi l’impressione che sul tratto breve Hemingway fosse un vero cane da presa, uno che azzannava al collo la questione, i motivi. E forse se me lo avessi chiesto qualche anno fa t’avrei risposto anche io che i racconti sono migliori o più affascinati o più diretti dei romanzi, dove l’invenzione e il tratto lungo sul lungo tempo forse tolgono efficacia… oggi, invece, mi dico che sono tutte stronzate. Voglio dire, se non è l’invenzione a creare l’affabulazione allora di che stiamo parlando? Di letteratura? D’altronde quando questi romanzi sono stati scritti – Adio alle armi, Per chi suona la campana, Fiesta – l’umanità era nel pieno delle sue avanguardie – e possono queste essere qualcosa di separato dalla pure invenzione? E, en passant, il realismo in letteratura – almeno qui in Italia – ci ha davvero ammorbato tanto che elogiano Pasolini (ultimo populista della penna) e lo innalzano a martire del foglio letterario e giornalistico… e sue conseguenze!
insomma (l’ho tirata per le lunghe): VIVA L’INVENZIONE E LA FANTASIA.
Ciao Alonso,
ho da tempo maturato la convinzione che in Italia dialogare sulle umane lettere comporta un quid di stizzita polemica (appena sottotraccia) più di quanto (addirittura!) accade nel discutere della nostra penosa politica Non ne capisco le ragioni. Pensa un po’ se dovessimo starcene a perder tempo su certe figure di merda che, dal suo basso, un certo politico ci ha fatto fare in Europa.
Amo anch’io fare uso, quando è il caso, di espressione idiomatiche…e suoi derivati. Stronzate, bidets (a questi oggetti sanitari ha fatto riferimento un curatore del sito a proposito di Cosmopolis)), e anche “ammorbare” l’environment letterario se si apprezza, come me, quella grande anima di Pasolini che assieme a Gadda e pochissimi altri ha fatto onore alla nostra arte/cultura del Novecento..ebbene, messe insieme, quelle parole lì aiutano sì e no a capire.
A proposito di Heminhway, in ‘Addio alle armi’ v’è descritta la ritirata di Caporetto in una maniera strepitosa. Però vanno letti (tutti) anche i ‘Quarantanove racconti’.
Mi fermo. E’ necessario un periodo sabbatico, prima che vi delizi con altri miei commenti.
Cordiali saluti.
Emrico
Enrico,
ti dico subito che stronzate per me vale opinioni, che sono altra cosa da un giudizio. Certo, il secondo potrebbe essere più cieco, in qualche modo, e anche più naturale, in altro modo.
Per Hemingway mi riferivo al fatto che sottovalutavo l’invezione, la capacità di uno scrittore di creare una storia all’interno di ciò che è già accaduto, lasciando che sia il suo genio – la sua arte – a parlare e non la cruda realtà. Forse sarà per un’avversione ormai radicata e profonda verso il tratto realistico, perché ci ho sempre trovato troppa finzione là dove invece si predicava l’esatteza del presente. Noi in Italia abbiamo avuto una proficua scuola realistica o neorealistica, fino a Pasolini, e non dico che non sia stata buona – mentirei in proposito – dico invece che mi ha stancato, che ora non ci sono più le condizioni e che, per sorte, ci è toccato la corte (o corteo) di chi ancora predica la stessa arte. A volte mi sembra che tutto ciò, che viene da fuori ed è di buona qualità, in Italia si fa di tutto perché non attechisca, mentre proliferano i giornalisti-scrittori forgiati sull’esempio martirizzante di Pasolini, che tutto sapeva e niente sapeva e dunque tutto fingeva di sapere (dimostrando proprio il contrario della predica. Trooppo umano, ancora!). C’è un gusto speciale nel volere essere insieme l’ultimo e il primo didue cose che diventano una. Duemila anni di Cristo avrebbero dovuto far capire qualcosa all’uomo, eppure… ora però mi discosto troppo dall’argomento.
Seguirò il tuo consiglio e leggerò i “Quarantanove racconti.”
Io, invece, ti consiglio su Pasolini di leggere alcune belle pagine che trovi in Antonio Moresco “Lettere a nessuno” e Massimiliano Parante “Contronatura”.
torna presto a trovarci
AQ
Crazie AQ, grazie davvero.
Su Hemingway torneremo a parlarci. Moresco è il primo autore nella lista (lunga) delle mie prossime letture. Parante non lo conosco, sentirò anche cosa mi dice il mio libraio di riferimento: è un simpatico signore, figlio di uno dei fondatori della Cortina editori.
Due altre questioni: 1) perché DFW è così marginale, se non persino trascurato, nel vostro sito? – 2) C’è un tuo collega di sito che mio deve, se lo vuole, una risposta sul significato di “Guappo ‘e cartone”. Se ti legge in copia, sperò mi farà sapere qualcosa. Non si finisce mai d’imparare.
Da ultimo: sto finendo di leggere ‘Mason&Dixon”, di quel “mostro” letterario che è Pynchon. Sarà che l’Autore mi piace anche per ragioni anagrafiche, ma, cazzo, che fior di letteratura!
Certo che ci risentiremo. Saluti.
Enrico
Guappo ‘e cartone: espressione napoletana con la quale si indica una persona vanitosa e piena di sè e minacciosa. Penso, però, che non sia il tuo caso, sebbene le presentazioni qui a Crapula hanno sempre il colore di una promessa di commedia – è più forte di noi o è la forza che vogliamo gettare fuori. O l’uno o l’altro o le due cose insieme oppure…
DFW è un nostro cruccio. Io non ho ancora finito Oblio, non che mi annoiasse piuttosto mi procurava una trsitezza che quasi mi ha spinto ad avere compassione per il Suicida. Ritengo che la compassione distorca il giudizio sull’opera di un uomo, qualunque morte abbia scelto o gli sia toccata. Ne faccio una questione di letteratura, perciò rimando continuamente la fine, potrei per compassione dire cose che in realtà non penso.
A presto
Scusa Alonso, il mio commento a quanto sopra è finito erroneamente sotto il tuo articolo ‘La camera degli ospiti’, me ne sono accorto solo ora. Che vuoi, il mio rapporto col PC è di pressoché totale incomprensione.
Buon fine settimana, esteso ad Alfharaidi.
Enrico