Nella collana Edizioni Critiche Crapula (ECC da qui in poi) presentiamo un testo il cui ritovamento ai piedi di un sentiero senza sbocco ha fatto la felicità dei nostri filologi qui in Crapula. Dal manoscritto L’arme de lo core ecco dunque Ancor ch’Amor s’appressasse
Ancor ch’Amor s’appressasse,
lo poeta fiorentino[1], arma bianca
fra le cosce e varicata,
mostròssi a la musa ignuda,
mentr’ella s’inventava a gaudio
lo novo stile del sonetto:
la man destra azzuppava
ad abbeverarsi nel culetto[2].
O sogni di schizzi, spiritelli,
onorate le labia
de l’hom che non v’ha leccato!
Crudele la linguetta e tesa,
lo foco stringe e più vi si rapprende:
Lamella! Glandula!
Chè ardi, come spiritella
e nulla del liquor si puote
fuori. Nulla! Nemmanco
la gentile manella,
madonna di cotanto ardore
causa[3], nemmanco ella
puote alliviar[4] con la cascata.
E gira e gira e invano
affanna lo polso delicato
e la mammella[5].
Chè come foco resta
la lamella – e rossa d’ardore,
e secca, spiritella. La morte
de lo cazzo vi consuma.
O sogni di schizzi, spiritelli,
onorate eppur l’onore
di quel che v’ha sognato.
A che t’affanni, spirto infocato?
Ne le fiamme de lo ‘Nferno
o per la piaggia diserta
meni ora i tuoi sogni innanzi
e piagni ché da la musa non è ratto
il tuo cazzetto stanco.
Eppur d’altra mensura ella
è alletta! Ben più che remo di nave
o albero frondoso ella vuole
a soddisfar della sua brama
la fame e la sete.
O sospiri! O spiritelli e schizzi!
Non t’ammalar de la ria sorte,
che non vuolsi per te
la scopata, ma impugnar lo cazzo
con le dita storte.
Non piagnere poeta, invero esulta
se la tua destra è fatta
arme insieme del core
e de lo cazzo. E invero imago
del mismo Deo sei fatto,
che savio como è savio
con una il core con l’altra
il cazzo allatta[6].
O sogni di schizzi, spiritelli,
onorate ‘e sospiri a frotte
di quel che v’ha cantato.
[1] Si tratta di un poeta stilnovista, come attestato dalla dicitura nella parte alta del manoscritto L’arme de lo core. Tale dicitura risulta ai nostri filologi aggiunta posteriore alla copia, forse apportata da qualcuno vicino al copista: si pensa ad un suo allievo il cui compito potrebbe essere stato quello di ricopiare il testo dall’originale, sul frontespizio del quale per ipotesi poteva esserci la catalogazione come “poesia stilnovista” – fatto che non potendo essere smentito, va ritenuto vero. È difficile, tuttavia, anche solo congetturare quale sia il vero nome che si cela dietro il generico poeta fiorentino, e per quanti nomi siano stati fatti, tanto che alcuni hanno addirittura ipotizzato che si trattasse di un falso o che la piccola scritta al margine “poesia stilnovista” fosse errata, non si è ancora giunti ad una conclusione. L’ipotesi che noi qui proponiamo è che la scritta che si legge in margine sia giusta e che il tempo renderà grazie alla filologia.
[2] Chiasmo.
[3] Enjambement.
[4] Prestito dalla Scuola siciliana.
[5] La stanza è caratterizzata dall’allitterazione continua di l e n e dal ritmo spezzato. Come ritengono alcuni esperti dell’allitterazione, la sequenza l e n creerebbe fluidità, contra il ritmo spezzato (si noti l’uso frequente dell’enjambement) ha la funzione di far vacillare quella fluidità e permette al poeta di esprimere, per antitesi, il suo tormento.
[6] Nell’ultima stanza e nella chiusa è evidente il cambio di registro. L’occhio del poeta si sposta dalla donna, che non può alleviare alcuna sofferenza, al poeta stesso: ciò avviene con l’uso della seconda persona singolare. Non c’è, dunque, inversione rispetto al canone stilnovista. Noi riteniamo che questo sia l’acme tragico par exellance.
A questo punto, però, cale far notare che esiste anche chi fa ironia – anche se questa non è la sede adatta per rispondere all’ironia, prima di una consulta con il Gran Consiglio dell’Ultima Lettera – e ritiene che si possa parlare di “poeta angelicato”. Eppure, si ripete, questi ironici – che cosa sono: un’accademia? – possono anche evitare di volere alleviare il nostro umore filologico con queste sciocchezze, che di certo non fanno bene al giusto procedere della conoscenza. De profundis clamavi!