Uno dei grandi piaceri della lettura sta nel domandarsi non tanto cosa succederà ai protagonisti, quanto piuttosto cosa faranno, o come reagiranno alle situazioni che si trovano ad affrontare; e davanti a creature dal carisma robusto e ben strutturato, l’autore può anche permettersi di scomparire, lasciando trasparire dalla vicenda stessa una visione filosofica che, in casi particolarmente riusciti e armoniosi come questo, diventa esistenziale, se non addirittura poetica.
I due romanzi di einzlkind[i], Harold e Billy, sono incentrati sullo sguardo dei loro protagonisti: Harold, un quarantanovenne dalla passività disarmante che viene trascinato dall’undicenne irritante genio Melvin alla ricerca del padre, e Billy, un killer attentissimo alla scelta dei suoi clienti che affronta un viaggio di lavoro a Las Vegas.
Harold non è in grado di fare magie. Non lo è mai stato. Anzi, bisognerebbe chiedersi che cosa sappia poi fare. Un po’ di cosette ci sarebbero, certo, niente di sconvolgente, ma abbastanza da buttare giù un piccolo elenco: è capace di starsene seduto in silenzio su una panchina fino a che gli uccelli non si dimenticano di lui. Riesce a gonfiare quarantuno palloncini prima di svenire. È in grado di guardare dalla finestra della sua cucina più a lungo di quanto duri un pomeriggio o una mattinata. Riesce a bere tre litri di tè senza dover andare in bagno. È in grado di occuparsi di Mrs. Cardigan quando ha l’influenza. È capace di gironzolare per ore tra i campi di mais senza incontrare nessuno. Se proprio è necessario, riesce anche a gioire per i regali ricevuti. È capace di stare in piedi su una gamba sola per oltre quattro minuti senza cadere. Riesce a immaginare di non essere sempre così spontaneo. Riesce a sognare lumache extraterrestri senza guscio che cadono dal cielo.
Riesce a dormire.
Non ci riesce.
Ci riesce.
Non ci riesce.
Ci riesce.
Non ci riesce.
Ci riesce!
(Harold, pp. 250-51)
So che magari posso dare sui nervi con questo analizzare e riflettere continuo, ma non intendo far cambiare idea o convertire nessuno, è semplicemente la mia vita, il mio modo di pensare, il mio modo di essere. Non farlo sarebbe strano, sbagliato, irreale, come se un macellaio tagliasse le dita a un chitarrista, una alla volta, informandosi di tanto in tanto se gli sta facendo male e precisando che lui in fondo voleva soltanto essere gentile in questo mondo asettico in cui non si ha più il coraggio di chiedere niente e l’empatia non è altro che una pallida idea romantica.
Ma io non busso alle porte per lamentarmi. Gli incontri comportano sempre anche dei conflitti, nella migliore delle ipotesi.
Persone. Vite.
E poi naturalmente ci sono quelli che muoiono.
Per mano mia.
(Billy, pp 137-38)
Billy e Harold, pur essendo romanzi diversissimi, sono entrambi incentrati su una ricerca il cui esito diventa presto del tutto privo d’importanza agli occhi di chi legge: l’attenzione si concentra prestissimo su questi personaggi simpatici, straniti e perplessi che si confrontano con un mondo sconcertante e bislacco senza farsi toccare da esso. Sia Harold che Billy posseggono un senso di sé talmente robusto e stratificato (per quanto opposto) da non venire mai messo in discussione, e non solo da loro stessi, ma anche dalle persone con cui vengono in contatto: la loro unicità è talmente marcata che può essere incompresa, isolata (Harold), indirizzata verso determinati scopi (Billy), ma mai contaminata dalle regole sociali.
Harold e Billy sembrano palestre per l’esercizio del distacco ironico: la ricerca del padre di Melvin si rivela del tutto priva di pathos, e lo stesso vale per la scoperta dell’attività di famiglia (una florida ed efficiente azienda che si occupa di omicidi) da parte di Billy. È innegabile che ci sia una certa comprensione, addirittura una simpatia, ma quello che einzlkind trasmette è un senso di generica accettazione sfumato da benevolenza: l’intimo sentire di Harold e di Billy ci viene negato (per quanto Billy sembri sceglierci come interlocutori privilegiati, ma è pura illusione), facendoci rientrare nel novero di quei personaggi che per puro caso vengono a contatto con loro e poi spariscono.
Un incarico costa centocinquantamila sterline. Accettiamo due incarichi all’anno. Non ci occupiamo di assassini che abbiano ucciso per motivi passionali o per sbaglio. Può capitare. Ci occupiamo solo di criminali, per lo più pluriomicidi, che uccidono con premeditazione. Non ha niente a che vedere con l’onore o la morale. Noi non siamo i buoni. Non ci verrebbe mai in mente una cosa del genere. È solo questione di logica. Ciò che conta è il guadagno. E la coerenza.
(Billy, p. 177)
C’è un senso d’imperturbabilità, in einzlkind, che resta anche a libro chiuso, la consapevolezza dell’esercizio del proprio vedere e del controllo del proprio sentire a prescindere dalle circostanze. La situazione stramba si svolge con scorrevole naturalezza, forse perché inquadrata da un punto di vista altrettanto strambo: un individualismo che non si sfoga nell’azione, ma nell’affrontare le cose con umorismo e con filosofia, forti di uno scetticismo e di un senso di provvisorietà confortante e leggero.
einzlkind
Harold (2010)
Trad. it. di Franco Filice
Roma, nottetempo, 2012
pp. 279
Billy (2015)
Trad. it. di Franco Filice
Roma, nottetempo 2017
pp. 259
[i] Per maggiori informazioni sul progetto einzlkind si può consultare il sito www.einzlkind.com, che è davvero interessante. Aldilà dei video su Billy e sul suo viaggio e sull’Elvis che campeggia nella copertina che qui viene eletto a protagonista, è proprio il concetto di identità autoriale come sguardo personale e curioso che si rivela affascinante. Sembra quasi che la perdita dell’identità sia di fatto una liberazione creativa e artistica, un atteggiamento che invita a prendersi meno sul serio e a divertirsi di più, in un arricchimento reciproco con le vicende raccontate nei due romanzi.