La donna era metodica ma non aveva disciplina.
Creava piani ingegnosi per cambiare la propria vita, ma ricadeva nelle proprie abitudini dopo due giorni. Seguire una nuova dieta, praticare uno sport, anche solo mettere la crema tutte le mattine, per lei diventavano propositi impossibili da realizzare.
Per di più, era terrorizzata dal giudizio degli altri. Se avessero visto il suo cambiamento, avrebbero intuito che anche lei non era contenta di come era prima, esattamente come loro[1]. Cambiare implicava ammettere di essere sbagliata.
Il bisogno di dimostrarsi perfetta le impediva di diventarlo davvero, o anche solo di tentare – cosa che le avrebbe concesso di provare qualcosa di positivo nei propri confronti[2]. Voleva, ma non poteva, non solo perché tentando avrebbe ammesso di non essere già perfetta ai suoi stessi occhi (e, se non lo era ai suoi stessi occhi, come poteva sperare di esserlo in quelli degli altri?), ma anche perché, appunto, essendo metodica ma incostante, la sua imperfezione si palesava tutta in quei radi tentativi di cambiamento che non portava mai a termine e dimostravano la sua imperfezione ancor più del proposito stesso di cambiare che già da solo, si è detto, era un’ammissione di imperfezione.
Qualunque cosa facesse partiva già sconfitta. Restare esattamente com’era, fingere che i suoi tentativi di cambiamento non esistessero (sia per l’implicita ammissione che non ci fosse niente da cambiare sia per il fatto che fallissero costantemente, dimostrandosi l’unica vera costante e l’unico vero fallimento della sua vita), era l’unica cosa che poteva fare.
Visse come aveva sempre fatto finché non scoprì di essere considerata una persona rigida. Non essendoci perfezione nell’immobilità decise di correre ai ripari: creò un piano che l’avrebbe aiutata a cambiare senza ammettere di averlo fatto, lasciando che fossero gli altri a pensare di averla giudicata male.
Il nuovo progetto di flessibilità fallì dopo due giorni.
Lo ricreò uguale, perché cambiarlo implicava un fallimento delle sue doti di creatrice di piani, e fallì anche quello.
Al terzo tentativo, che corredò di sigle e acronimi per dargli un’aria più ufficiale, passò due giorni di rinnovata e rigida flessibilità e trascorse il terzo in maniera quasi perfetta, pur sentendosi cedere verso sera, mentre andava eccezionalmente in palestra[3].
Durante il tragitto, giunta al punto di chiedersi se fosse più flessibile cedere alle vecchie abitudini o attenersi al Piano per Diventare Davvero Flessibile (da qui PDDF), fu approcciata da un bell’uomo in una macchina nera che le offrì un passaggio. Essendo sia “Fare Cose Nuove” e “Trovare Un Fidanzato” (da qui FCN e TUF) parte del PDDF, accettò di buon grado.
Il FCN e TUF del PDDF fecero di lei la VNQ3 (Vittima Numero Quindici[4]) dell’uomo in macchina nera che sì, era davvero molto bello, e questo lo aveva aiutato ad attirare le ragazze che lo interessavano, ma si era rivelato poco efficace in cose più pratiche come lo smaltimento dei cadaveri o l’occultamento delle prove.
L’uomo in macchina nera aveva disciplina ma non era abbastanza metodico, e non seppe mai che VNQ3 sarebbe stata la complice perfetta per fare di lui un serial killer imprendibile, cosa che fu solo fino alla VQS3, Vittima Numero Sedici, e né lui né la donna seppero mai che sarebbero stati una coppia invincibile, se solo lei fosse stata abbastanza flessibile da non accettare il passaggio in macchina e farsi offrire prima da bere al bar a pochi passi da loro, dandogli la possibilità di vedere il suo meraviglioso potenziale organizzativo, e/o se lui fosse stato abbastanza sadico da parlare un po’ con la sua vittima prima di ucciderla[5].
Un peccato, davvero.
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[1] Dava per scontato che i suoi conoscenti la considerassero insopportabile e piena di difetti, ma evitassero di elencarglieli per pietà mista a opportunismo: se lei fosse rimasta nel limbo dell’imperfezione, loro non avrebbero dovuto mettersi in competizione con lei.
[2] Se ci avesse provato avrebbe potuto dirsi che almeno lei lo voleva davvero, il che era già qualcosa rispetto a quelli che infestavano il mondo con la propria pochezza senza avere nemmeno il buon gusto di rendersene conto.
[3] Pagare regolarmente la palestra pur frequentandola di rado faceva parte del suo Piano per Non Esplicitare la Mia Pigrizia (da qui PNEMP) che, fra i suoi Piani, era quello più dispendioso e frustrante ma anche, e aveva qualche difficoltà ad ammetterlo con se stessa, quello che finora era durato più a lungo, visto che molti le avevano dato della persona rigida ma nessuno le aveva mai detto in faccia di trovarla pigra.
[4] VNQ, vittima numero quattro, e VNQ2, vittima numero quattordici, misero l’assassino davanti all’annosa questione che usare le lettere per indicare i numeri non era poi un’idea così scaltra; ma essendo lui, proprio come VNQ3, un uomo incline a non ammettere i propri errori neanche a se stesso, continuò a numerare le sigle dalle lettere uguali, e non gli venne mai in mente di usare solo i numeri, cosa che gli avrebbe facilitato il lavoro ma che lo avrebbe obbligato a riordinare l’archivio e gli avrebbe fatto capire che tenere un archivio delle vittime era un cliché, e la consapevolezza lo avrebbe obbligato a disfarsene, cosa che davvero non voleva fare.
[5] La donna avrebbe accettato di buon grado di diventare complice di un serial killer poco metodico, cosa che non solo l’avrebbe catapultata direttamente nell’olimpo delle Persone Davvero Flessibili (cosa c’è di più flessibile di un omicidio?) e l’avrebbe fatta sentire anche incredibilmente utile. Senza contare che, essendo pigra con se stessa ma esigente col prossimo, lo avrebbe obbligato a seguire il Sistema finché non sarebbe diventato indipendente e avrebbe potuto continuare da solo e, colmo di gratitudine, non avrebbe deciso di sposarla per completare anche la parte TUF del PDDF, diventando così una coppia di persone equilibrate e felici che avevano portato a compimento i propri piani di perfezione senza dover ammettere di fronte al mondo di non essere nati già perfetti.
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Immagine di copertina: Roy Lichtenstein, In The Car, 1963.