[Praga, 13 luglio 1920]
Martedì, un po’ più tardi
Come sei stanca[1], nella lettera di sabato sera. Avrei tanto da dire a proposito della lettera, ma alla tua stanchezza oggi non dico niente, sono stanco anche io, per la prima volta dal mio arrivo a Vienna ho davvero la testa torturata dal dolore per non aver assolutamente dormito. Non ti dico niente, ti metto a sedere sulla sdraio (tu dici di non aver compiuto abbastanza gesti d’amore nei miei confronti ma c’è più amore e più onore di farmi sedere lì, davanti a te, di essere con me?[2]), dicevo, dunque adesso ti metto sulla sdraio e non so come afferrare la felicità con parole occhi mani e il povero cuore, la felicità che tu sei lì e anche che mi appartieni. E con questo io non amo assolutamente te, piuttosto la mia esistenza donatami da te.
Oggi non racconto niente di Laurin, neanche della ragazza, tutto questo andrà per la sua strada, tanto mi sembra lontano.
F
Quello che dici su Il povero suonatore[3] è tutto vero. Se ti dicevo che per me non significa nulla, era solo per cautela, perché non sapevo come te la saresti cavata, e poi anche perché mi vergogno della storia come se l’avessi scritta io, e di fatto comincia in modo sbagliato e ha un sacco di inesattezze, ridicolaggini, roba da dilettanti, imbellettato da morire (lo si nota soprattutto nella lettura ad alta voce, potrei indicarti i passi) e, soprattutto, questa specie di esercitazione musicale è un’invenzione miseramente ridicola, adatta a irritare la ragazza, a farle lanciare contro la storia tutto quello che ha in negozio con somma rabbia a cui parteciperà il mondo intero, io prima di tutti, finché la storia così, che non ne guadagna nulla di buono, non va in rovina coi suoi propri elementi. Peraltro non c’è destino migliore per una storia di sparire in questo modo. Anche il narratore, questo psicologo comico, ne converrà, perché probabilmente è lui il vero povero suonatore, che suona questa storia nel modo meno musicale possibile, ricompensato in modo esageratamente stupendo dalle lacrime dei tuoi occhi.
(In copertina: R. Crumb, Kafka)