[Merano, aprile 1920]
I polmoni, dunque[1]. Mi è girato per la testa durante tutto il giorno, non sono riuscito a pensare ad altro. Non che la malattia mi abbia particolarmente spaventato: probabilmente, si spera (ma i suoi[2] accenni sembrano lasciar intendere così), essa le si presenta in forma lieve, e persino la vera malattia ai polmoni che conosco su di me già da tre anni (più o meno mezza Europa orientale ha polmoni difettosi) mi ha portato più bene che male. Per me cominciò circa tre anni fa, nel cuore della notte, con uno sbocco di sangue. Mi sono alzato, agitato come sempre si è quando ci si trova in una situazione nuova (invece di restare sdraiato, come mi fu prescritto dopo), ovviamente anche un poco spaventato, sono andato alla finestra, mi sono sporto fuori, ho raggiunto il lavabo, ho fatto avanti e indietro per la stanza e mi sono seduto sul letto – ancora sangue. Eppure non mi sentivo affatto infelice perché ero sempre più convinto, per una ragione indefinita, che, ammesso che l’emorragia cessasse, avrei finalmente dormito per la prima volta dopo tre, quattro anni quasi insonni. Cessò (e da allora non si ripresentò più) e io dormii per il resto della notte. Al mattino venne la cameriera (all’epoca avevo un appartamento nel palazzo di Schönborn), una ragazza buona, con spirito di sacrificio, ma estremamente obiettiva; vide il sangue e disse: «Pane doktore, s Vámi to dlouho nepotrvá[3]». Ma io stavo meglio del solito, sono andato in ufficio e solo a mezzogiorno dal medico. Il resto della storia qui è irrilevante. Volevo solo dire: non è la sua malattia ciò che mi ha spaventato (soprattutto perché mi rivolgo sempre obiezioni, rielaboro il mio ricordo, in tutta la delicatezza riconosco il tratto fresco e quasi campagnolo e constato: no, lei non è malata, un avvertimento ma non una malattia dei polmoni), dunque non è questo che mi ha spaventato bensì il pensiero di ciò che avrà preceduto questo disturbo. E allora, innanzitutto, non tengo conto di quel che già si trova nella sua lettera: neanche un centesimo per tè e mele, ogni giorno dalle 2 alle 8 – queste son cose che non riesco a capire, è evidente che si possano spiegare solo a voce. Dunque prescindo da questo (peraltro solo nella lettera, ché tanto non lo si può dimenticare) e penso soltanto alla spiegazione che io al tempo mi preparai per il mio caso di malattia e che va bene per molti casi. Era così: il cervello non poteva più sopportare le preoccupazioni e i dolori impostigli. E diceva: «Mi arrendo; se qui c’è qualcun altro a cui importa la conservazione del tutto, mi alleggerisca del mio peso, così andremo avanti ancora un pochino». E allora i polmoni risposero, non avevano molto da perdere. Queste trattative tra cervello e polmoni, che procedevano a mia insaputa, possono essere state spaventose.
E adesso cosa farà? Probabilmente non è nulla, se la si cura. Ma che la si debba curare lo deve capire chiunque la abbia a cuore, tutto il resto deve tacere. C’è una liberazione anche qui? Io ho detto di sì, e no, non voglio fare battute, non sono affatto allegro e non lo diventerò prima che lei mi abbia scritto di come avrà assunto uno stile di vita nuovo e più salubre. Dopo la sua ultima lettera non le chiedo più perché non va via da Vienna per un po’, adesso lo capisco, ma anche nelle vicinanze di Vienna ci sono bei luoghi di soggiorno e alcune possibilità alla sua portata. Oggi non scrivo d’altro, non ho nulla di più importante da dire. Tutto il resto, domani, anche il ringraziamento per il quaderno che mi commuove e mi fa vergognare, mi rende triste e gioioso. No, un’altra cosa, oggi: se lei impiega anche solo un minuto del suo sonno per il lavoro di traduzione[4], sarà come se mi maledicesse. Perché, se mai si arriverà in tribunale, non si perderà tempo in ulteriori indagini, ma si stabilirà semplicemente: le ha sottratto il sonno. Così sarò giudicato, e a ragione. Dunque io lotto in mio favore quando le chiedo di non farlo più.
Suo Frank.
[1] Tradotto da F. Kafka, Briefe an Milena, erweiterte und neu geordnete Ausgabe, herausgegeben von Jürgen Born und Michael Müller, Frankfurt am Main: Fischer Taschenbuch Verlag, 2015¹⁵.
[2] Di Milena [ndr]
[3] Signor dottore, lei non durerà a lungo.
[4] Milena tradurrà in ceco alcuni racconti di Kafka, tra i quali “Il fuochista” e “La metamorfosi”