Dal terzo numero di Ô Metis Raggiro/Ritorno, una traduzione dal maestro della commedia attica (o commedia antica).

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Prassagora: E allora sedete, affinché vi chieda, ora che vi vedo riunite, se avete fatto quanto fu deciso  alle Scee.

Prima donna: Io sì. Innanzitutto ho le ascelle più folte di un bosco, come era stato stabilito. Poi, ogni volta che mio marito andava al mercato, spalmata d’olio per tutto il corpo, mi sono abbronzata durante il giorno, ferma sotto il sole.

Seconda donna: Anch’io! Prima ho gettato fuori di casa il rasoio, per diventare tutta pelosa e in niente più simile a una donna.

Prassagora: Avete anche le barbe, che avevamo concordato di mettere tutte noi, quando ci saremmo riunite in assemblea?

Prima donna: Per Ecate! La mia è veramente bella.

Seconda donna: E la mia non è di poco più bella di quella di Epicrate.

Prassagora: E voi, che cosa dite?

Prima donna: Sì, annuiscono.

Prassagora: Vedo inoltre le altre cose architettate per il raggiro. Infatti avete scarpe spartane, bastoni e mantelli maschili, come dicemmo.

Prima donna: Io ho portato via, di nascosto, questo bastone a Lamio, mentre dormiva.

Prassagora: È uno di quei bastoni su cui si scorreggia.

Seconda donna: Per Zeus Salvatore, neppure se qualcuno fosse vestito della pelle di Argo centocchi, sarebbe capace di portare al pascolo il popolo.

Prassagora: Ma vediamo come possiamo agire in questi momenti, finché le stelle sono ancora in cielo. L’assemblea, verso la quale ci apprestiamo a procedere, inizierà all’alba.

Prima donna: Per Zeus, è necessario che tu occupi un posto sotto le tribune, di fronte ai pritani.

Seconda donna: Per Zeus, mi sarei portata dietro un po’ di lana da cardare, in attesa che si riempia l’assemblea.

Prassagora: In attesa che si riempia, miserabile!

Seconda donna: Per Artemide, sì! Mentre cardo, non presterò meno attenzione per questo! E i miei figli sono nudi.

Prassagora: Ecco, tu che cardi la lana, pur non dovendo mostrare niente del tuo corpo ai presenti! E certo sarebbe bello, se l’assemblea fosse affollata, e se una di noi che scavalca un uomo, mentre si solleva la veste, mettesse in mostra la fica pelosa. Ma noi sediamoci per prime, passeremo inosservate coperte sotto i mantelli. E quando facciamo cadere sul petto le barbe che ci siamo legate, chi guardandoci non crederebbe che siamo uomini? In verità, indossando la barba di Pronomo, Agirrio è passato inosservato. Una volta costui era davvero una femmina. Ora invece, vedi, si occupa di importanti questioni di stato. E perciò, in nome di questo giorno che sopraggiunge, osiamo un’impresa grandissima: come possiamo prendere in mano il governo della città, per fare qualcosa di buono per lo stato. Perché ora non ci muoviamo né avanziamo.

Prima donna: E come un consesso molle di donne parlerà in pubblico?

Prassagora: Molto meglio di chiunque! Infatti dicono che quelli che tra i giovani più si fanno fottere, sono anche i più abili a parlare. E questa per fortuna è la nostra arte.

Prima donna: Non so. È terribile l’inesperienza.

Prassagora: Ci siamo riunite di proposito qui, per esercitarci con cura su che cosa bisogna dire. E quindi sbrigati a legare la barba tu e tutte le altre che si sono esercitate a parlare.

Seconda donna: Chi di noi, avanti, non è capace di parlare?

Prassagora: Coraggio, legatela e diventi subito un uomo. Anche io posando le corone vestirò la barba come voi, se mi sembrerà opportuno parlare.

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Aristofane, Le donne al parlamento, Rizzoli 2001

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