Oggi, a Crapula, qualche altro verso omerico. Com’era già accaduto tempo fa – e anche stavolta parla lui, Odisseo. Non a caso – o forse si, ma che importa! – i due passi parlano di cibo, ma in questo al cibo rinfrancante per il guerriero s’aggiunge il canto – la cosa più bella!
Per chi non ne fosse a conoscenza o l’avesse dimenticato, il non libro dell’Odissea è quello del flashback – il libro in cui, per la prima, è il protagonista dell’opera stessa (con tutti i limiti e le sfasature che la definizione di opera si può applicare all’Odissea) a narrare, cantare, versando lacrime. Insomma, come vedete dopo tutti questi secoli non è cambiato ancora molto, anzi una cosa è cambiata: oggi l’Io s’è preso tutto, anche il vuoto.
Al di là di ciò che può essere una polemica o una opposta visione delle cose, questo vuole essere un invito – così come tutti gli altri post presenti nella rubrica Filologicon Crapula – a leggere uno dei libri che hanno maggiormente impattato con lo spirito* di tutti i tempi, che dal primo al cinquecentosessantaseesimo verso trasuda emozione, bellezza, tragedia, intelligenza. Qualcosa che i Greci chiamavano molto più brevemente: metis.
Ora, però, vi lascio alla lettura.
(Il testo greco potete leggerlo qui)
Prendendo la parola gli disse Odisseo molto astuto:
“Alcinoo potente, illustre tra tutti gli uomini,
è senza dubbio bello ascoltare un poeta
tale, com’è questo, simile nella voce agli dei.
Infatti anch’io dico che non c’è un fine più gradito
di quando la gioia si trovi tra tutto il popolo,
gli invitati in casa ascoltano il poeta
seduti con ordine, e accanto le tavole sono piene
di pane e carni, mentre attingendo vino dal cratere
il coppiere lo porti e versi nei calici.
Questa mi sembra essere, nel cuore, la cosa più bella.”
*Per spirito si legga “quella cosa là”