D: …
R: Sì, senz’altro, va benissimo.
D: …
R: Come le avevo già detto al telefono, per me non ci sono problemi. Possiamo parlare di tutto.
D: …
R: Sì, penso di capire il senso di questo progetto. Per questo ho accettato di partecipare. Ho visto anche gli altri suoi due documentari, quelli su *** e ***. Li ho molto apprezzati, davvero. Mi scusi se non ricordo i titoli, ma alla mia età…
D: …
R: Su episodi come questi è facile fare giornalismo scadente, sensazionalistico. Lo detestavo già quando lavoravo in televisione, si figuri ora. Lei invece mi sembra intenzionata a capire, ad andare oltre le ovvietà, per quanto inquietanti. Mi sembra più empatica, per usare una parola che va sempre più di moda. Ovviamente, questo caso è enormemente più grave di quelli che ha già trattato, se possibile.
D: …
R: Senz’altro. Bisogna essere ambiziosi, nel suo mestiere.
D: …
R: Lo sa che è la prima intervista che concedo su questo argomento? All’inizio, quando è scoppiato lo scandalo, ho ricevuto la mia buona dose di telefonate, ma mi sono sempre rifiutato… Ero in pensione, e non avevo niente da dire. Ho sempre risposto alla polizia, non ho mai omesso nulla, non sentivo la ragione di fare mea culpa davanti a quegli sciacalli… E per cosa, poi? D’altra parte, dopo quei primi rifiuti, hanno smesso di cercarmi. Si vede che non ero un pezzo così grosso come credevo, né nel mio mestiere, né soprattutto nella vita di ___.
D: …
R: Certo, cominciamo a registrare. Forse…
D: …
R: Posso avere un bicchiere d’acqua prima?
D: …
R: Grazie mille. [Beve] Perfetto. Cominciamo pure.
D: …
R: Ho conosciuto ___ nel 1962. Io mi ero appena laureato in lingua e letteratura a ***, e, senza particolare entusiasmo, stavo cominciando a lavorare come autore in televisione. Doveva essere un lavoro provvisorio, giusto il tempo di preparare la domanda di dottorato in università: e invece ci sono rimasto quarant’anni. È chiaro, è difficile fare un paragone con il presente, allora era un mestiere quasi pioneristico, c’era una sola emittente, un solo canale… Può immaginare, insomma. C’era un relativo bisogno di figure come la mia, e, anche se non era il lavoro che avevo in mente quando mi ero iscritto all’università, pagavano bene, e si rivelò ben presto molto più stimolante del previsto.
D: …
R: Sì, ci stavo arrivando. Allora, non ricordo l’occasione precisa in cui ho conosciuto ___. Negli studi c’era sempre una confusione tremenda, un esercito di persone che si vedevano una volta e poi sparivano per sempre. Se è andata come con altre persone di mia conoscenza, io e ___ ci saremo presentati almeno dieci volte prima di rivolgerci effettivamente la parola. Deve capire che io e lui, all’epoca, eravamo due nessuno: io scrivevo le battute di qualche presentatore da prima serata, correggevo la grammatica di qualche sketch, e mettevo insieme qualche testo per i programmi culturali… Insomma, bassissima manovalanza… Mentre ___ faceva ora la comparsa, ora aveva qualche minima parte in questa o quella scenetta. Però, devo dire, non so se è il fatto che ___ è poi diventato chi è diventato a farmi parlare, ma dei suoi inizi ho comunque un ricordo sfavillante: anche se stava sullo sfondo, lo si notava sempre lo stesso. Aveva un talento naturale per la buffoneria, e dei lineamenti così peculiari che gli bastava inarcare un sopracciglio per rubare la scena al resto della compagnia.
D: …
R: Sì, è esatto. Quella è stata la prima volta che abbiamo lavorato insieme. ***, che allora era regista di uno dei programmi per cui scrivevo, aveva notato ___, e aveva deciso di dargli più spazio, usandolo come caratterista in uno sketch abbastanza lungo. Non ricordo esattamente cosa scrissi, doveva avere qualcosa a che fare con un ufficio: lui si nascondeva da qualche parte per non lavorare, e mentre il capufficio gli dava le spalle faceva ogni sorta di facce buffe… Se cerca negli archivi dell’emittente non avrà difficoltà a trovarlo, credo. Adesso è ridicolo da raccontare, ovviamente, ma questo era quello che faceva ridere, allora.
D: …
R: La televisione invecchia male; e sono invecchiato male pure io che la scrivevo.
D: …
R: Immagino che lei voglia sapere se ___, allora o in generale mentre era vivo, dava qualche segno di… stranezza? Si può dire così? È una parola adatta per definire quello che faceva, quello che era?
D: …
R: Non è una domanda a cui è facile rispondere. Lei conosce ___; tutti lo conoscono, tutti lo hanno visto in televisione. Ho sentito bambini chiamarlo “zio” la prima volta che lo incontravano di persona. Gesù, i bambini… Insomma, tutti sanno chi era: tutti sanno com’era. Non c’è alcun dubbio che ___ fosse un eccentrico. Lo era nel suo modo di fare, di vestirsi, di parlare. Portava i capelli lunghi e ossigenati in anni in cui questo era impensabile per un presentatore di prima serata. Era eccentrico nel suo modo di tenere i rapporti, nelle attenzioni discontinue ma sorprendenti che riversava verso i suoi amici: mesi senza sentirsi, e poi ti faceva arrivare regali costosissimi senza neanche un biglietto. A ***, un nostro cameraman, ha fatto avere un fermacravatta con diamante per scusarsi di non essere riuscito ad andare al suo matrimonio: e quello gliel’ha riportata indietro credendo che si fosse sbagliato. Voglio dire, se non lo conoscevi (ma chi è che non lo conosceva?), la prima cosa che pensavi era: questo è matto completo.
D: …
R: Da un certo punto di vista, con ___ si viveva alla giornata, si improvvisava sempre. Fare programmi era impossibile, lui era come un’anguilla elettrica, non riusciva a stare fermo. Ogni cinque minuti se ne veniva fuori con una nuova idea, una nuova proposta. Di punto in bianco poteva dirti che voleva condurre il programma vestito da donna, assumere dodici stagisti, o piantare le registrazioni per andare a mangiare da ***, che era appena rientrato dalla campagna coi tartufi. E tutto questo ridendo, gongolando come un bambino. D’altra parte, anche se era imprevedibile, sapevi sempre di contare su di lui, in caso di bisogno. Sapevi che questa imprevedibilità riguardava le sue azioni, magari, ma non i suoi sentimenti, se così si può dire. Ma questa è anche la ragione per cui un Paese intero gli ha voluto bene per cinquantacinque anni come a uno di famiglia. È la ragione, mi perdoni, per cui io gli volevo bene. Quindi sì, certo che ___ era strano, ma non c’era niente di anormale nella sua stranezza.
D: …
R: La domanda che fa lei implica che noi tracciassimo un’equivalenza tra la sua eccentricità e quello che hanno rivelato le indagini. E la risposta, in questo caso, è no. Nessuno di noi ha mai sentito il bisogno di farlo. E d’altra parte, nessuno dei suoi amici e dei suoi colleghi si è stupito quando è stato scoperto quello che aveva fatto: eravamo inorriditi, ma non stupiti. In casi analoghi, è abbastanza normale che i pari dell’accusato, per così dire, si affrettino a gridare al complotto, ad affollare distinguo, ma nessuno di noi lo ha fatto. Quello che ci veniva rivelato era orribile, inedito, ma anche stranamente plausibile.
D: …
R: Mettiamola così, il modo in cui ___ si comportava non era condizione né necessaria né sufficiente per giustificare quello che ha fatto: ma quando abbiamo saputo la verità, tutto ci è sembrato coerente. Ho ripercorso nella mia testa centinaia di episodi che allora mi sembravano senza importanza e mi sono detto: ma certo, è così, non poteva essere altrimenti che così. Questo spiega tutte quelle visite in orfanatrofio e nelle cliniche pediatriche. Questo spiega il suo rapporto con la madre. Tutte cose che non ci erano sembrate preoccupanti finché era vivo assumevano un significato completamente diverso.
D: …
R: Sì, certo. Per preparare quello sketch di cui le dicevo, per capire un po’ meglio il personaggio, io e ___ siamo andati a pranzo insieme – nella mensa dell’emittente, coi vassoi e il cibo di plastica, visto che lui non poteva permettersi niente di meglio. Vede, io vengo da una famiglia non molto abbiente, ma abbastanza agiata, con tutto quello che ne consegue di sovrastrutture, inibizioni, manie. Ho sempre attribuito una certa importanza alle buone maniere, anche da ragazzo, ho sempre prestato molta attenzione al protocollo. Tutta la mia educazione andava in questo senso. Ma ___, lui veniva da una famiglia di disperati, il padre era un operaio alcolizzato, la madre una donna cupa, analfabeta, che penso non gli abbia mai nemmeno fatto una carezza. Non aveva ricevuto nessuna nozione di come comportarsi, lui, e soprattutto non ne sentiva alcun bisogno: come sempre nella sua vita, andava a intuito. A tavola, quel giorno, mi ricordo che fu assolutamente incontenibile, alzava la voce, mi prendeva le cose dal piatto… Anche se era una semplice comparsa, fino ad allora, e io un autore, quindi a rigore di logica più in alto di lui in gerarchia, prese subito a darmi del tu, e non feci nemmeno in tempo a protestare, perché mi interrompeva continuamente, ora con una battuta, ora con l’imitazione di un collega, ora con un apprezzamento su una bella donna. Ma io… Mi perdoni, non gliel’ho neanche chiesto: lei ha mai conosciuto ___ di persona?
D: …
R: Allora le sarà forse difficile capire cosa intendo, anche se, in realtà, capita di incontrare persone come lui – persone a cui è semplicemente impossibile non volere bene. ___ era una forza della natura, era esuberante, divertente: e fin qui, parlando di un professionista della televisione, non c’è niente di strano. Il punto, però, è che tutto quello che ___ faceva creava un’impressione, come dire, di complicità. Se un’altra persona si fosse comportata così a tavola, non avrei avuto dubbi a interpretarlo come maleducazione, o peggio aggressività, magari per via della differenza di classe. Ma ___, col suo viso aperto, il suo sorriso larghissimo, non stava cercando né di ferirmi né di arruffianarmi: si comportava naturalmente, e cercava di coinvolgermi nella sua allegria. Alla fine del pranzo, mi ha stretto la mano tra le sue, e mi ha detto: “Sarà un piacere lavorare con te, vecchio”. Ci conoscevamo da un’ora. Non ci saremmo mollati finché è vissuto. E nemmeno dopo, come vede.
D: …
R: Capisce, ___ non sembrava essere così estroso per mettersi al centro della scena, ma per darti piacere. ___ ti divertiva, ti metteva a tuo agio, ti faceva sentire bene. Ogni volta che si esibiva, in un certo senso, si esibiva solo per te, e con te. Ci crede che per tutti gli anni che l’ho conosciuto, non gli ho mai sentito dire qualcosa di male su qualcuno?
D: …
R: [Ride] È vero! Come si dice? Avevo una cotta. Niente di erotico, si capisce: non sono mai stato di quella parrocchia. Ma chi è che non era cotto di ___?
D: …
R: Abbiamo lavorato insieme per trentasette anni. Due anni dopo quel pranzo, e dopo molti altri sketch che ho dovuto scrivere con ___ protagonista, gli fu data la conduzione di ***, uno dei primi programmi musicali della nostra televisione. Niente da dire: ___ era la persona perfetta, era al passo coi tempi in termini musicali, aveva senso del ritmo, grande capacità di improvvisazione, e bucava lo schermo. Scegliere lui per condurre quel programma era il modo che l’emittente aveva per rivolgersi direttamente ai giovani, e infatti i ragazzi lo adoravano. Quando arrivò la televisione a colori, poi, il suo gusto per i vestiti sfarzosi, per la gioielleria vistosa, non faceva che rendere ancora più surreale la sua presenza in video. Lei a quei tempi non c’era, e sarà abituata al clima da fine impero della televisione di adesso, ma allora l’aspetto di ___ era veramente inaudito tra la virilità austera che si imponevano i suoi colleghi… A quel punto, ad ogni modo, ___ mi fece chiamare lì per aiutarlo a scrivere il suo monologo iniziale, i dieci minuti di battute che precedevano ogni puntata. Naturalmente accettai. Da quel momento, ho lavorato con ___ in ogni programma che ha fatto.
D: …
R: Il mio stile… Ma è un po’ strano sentire parlare di stile un autore televisivo, vero? Però è così. ___ aveva talento non solo nel recitare i monologhi, ma anche nell’indicare quali soggetti risultassero più interessanti, più pungenti – sempre nei limiti, si capisce, dell’accettabile. Ma ero io a scrivere i testi! Le battute che hanno fatto ridere questo paese per decenni sono mie. L’umorismo surreale e sofisticato che i critici definivano distintivo di ___ era un mio prodotto.
D: …
R: No, mi scusi, lo dico solo per orgoglio professionale. Anche se a questa età non dovrebbe importarmene molto, a volte la contraddizione tra lavorare da invisibili a programmi visti da tutti si fa sentire. Ma ___ è sempre stato di una correttezza cristallina con me. Non c’è mai stata un’occasione in cui abbia spacciato per suo qualcosa che avevo fatto io, né in pubblico, né in privato. Voglio dire, è un aggettivo insolito da usare per una persona così fuori dal comune, ma ___ era davvero umile quando si trattava del suo lavoro. Conosceva i propri meriti ma non li faceva pesare agli altri, né tentava di appropriarsi di quelli altrui.
D: …
R: Lo so che è strano parlare in questi termini di una persona simile, ma lei deve capire una cosa: ___, finché era vivo, non è mai stato quella persona, per me. Lo è diventato dopo la sua morte, quando sono cominciate le denunce, le confessioni. Quando hanno aperto i seminterrati di casa sua. Svetonio… Mi scusi, è un vecchio retaggio dei miei studi: Svetonio, scrivendo di Caligola, a una certo punto passa dalla politica alla vita privata, e dice, fin qui si è parlato del principe, ora parliamo del mostro. Ecco: voi volete che io parli del mostro, ma io non lo conoscevo. Io conoscevo solo il collega, l’amico.
D: …
R: E questa è la cosa più tremenda, in fondo. Non in assoluto, si capisce, ma per la mia esperienza di… di questa cosa. Il fatto è che ___ era mio amico: che è ancora, in un certo senso, mio amico. È una persona che ho visto quasi tutti i giorni per quarant’anni, con la quale ho diviso ogni passaggio della carriera e della vita privata. Quando mia moglie è mancata per una malattia immonda, disumana, ventisei anni fa… Quando mia moglie si è ridotta progressivamente a un guscio vuoto accartocciato su se stesso, e poi è sparita da questa terra dopo mesi di agonia, la persona che mi è stata più vicina di tutte è stata proprio ___. Se sono vivo, se non mi sono ammazzato, allora, e sono riuscito a tirare avanti, lo devo a lui.
D: …
R: Anche se quando è morto ho capito la misura e la profondità del suo inganno, ciò non toglie che sia stato una delle persone più importanti della mia vita. Non posso sciogliere questa contraddizione, e questo mi uccide. ___ se n’è andato senza avermi mai detto la verità su niente, in retrospettiva, ma tutto quello che ho sono ricordi intensi, piacevoli. Sono i ricordi di un’amicizia di quarant’anni. Anche se sono tutti falsi, non posso impedirgli di avere un effetto su di me.
D: …
R: Ogni tanto mi scopro a parlare da solo: ma non sto parlando da solo, naturalmente, sto parlando con lui. Ridico le stesse frasi che regolavano la nostra routine negli studi, rido alle battute che immagino avrebbe potuto fare, a quelle che avrei potuto scrivergli. Ripenso a quando eravamo giovani, a come ci avventuravamo nelle feste come in giungle da esplorare, come in pianeti da colonizzare, lui lanciato in avanscoperta, io a sorvegliare le retrovie pronto a venirgli in aiuto; a quanto eravamo belli, vibranti, affamati. ___ è stato la mia vita, e non posso dimenticarlo. Poi penso anche che era un mostro, e che non l’ho mai saputo. Ma le due cose, nella mia testa, non riescono a sovrapporsi. Lo odio per questo, proprio perché non riesco a odiarlo davvero, e so che dovrei.
D: …
R: Ma è naturale che ci siano stati degli episodi più o meno sospetti, però… Come posso dire? Erano tempi diversi. Capitava di vedere ___ allungare le mani su qualche ragazza, o più raramente su qualche ragazzo, un po’ troppo giovane: negli studi, nei camerini. Una mano tenuta su certe parti del corpo troppo a lungo, il leggero senso di disagio dell’interessato: certo che mi è capitato di vedere cose del genere, con ___, ma siamo onesti, mi saprebbe indicare una persona che lavorasse in televisione e non indulgesse in comportamenti del genere, ogni tanto?
D: …
R: No, non li sto assolutamente giustificando. Voglio solo dire che una volta nei nostri ambienti di lavoro c’era un diverso senso di libertà da parte degli uomini verso le donne. Adesso la sensibilità è cambiata, ma allora tutti si comportavano in quel modo, e anzi, a confronto di altri, ___ era particolarmente morigerato.
D: …
R: Non risponderò a questa domanda. Non c’entra nulla con lo scopo della nostra conversazione.
D: …
R: Quello che intendo è che c’erano molti nostri colleghi che avevano comportamenti ben più sospetti, come dice lei, di quelli di ___. Non so se si ricorda ***, un uomo schifoso, è morto parecchi decenni fa… Quello è uno che è stato sposato quattro volte, e tutte le volte è finita con la moglie in prognosi riservata, mezza ammazzata di botte. Un candidato più probabile ad avere delle segrete sotto casa dove… dove… E invece era ___ che ce le aveva.
D: …
R: Forse doveva essere questo il campanello d’allarme, per me: che ___ non abbia mai avuto una storia con nessuna donna. Da quel punto di vista era come un bambino, lo dicevamo spesso: gli interessava solo giocare e divertirsi, per lui le donne, a parte qualche occhiata, qualche contatto sporadico, sembravano invisibili. Pensare che usavamo quell’espressione mi fa venire i brividi, adesso. Io ho sempre pensato che ___ fosse omosessuale, ma che non volesse uscire dall’armadio, come si dice; o che semplicemente non gli interessasse il sesso, ci sono anche persone così, specie tra gli artisti… Ma la verità è che non parlavamo di queste cose.
D: …
R: L’unica volta che sono stato sinceramente preoccupato dal comportamento di ___ è stato quando… Ma capisce che un dubbio, l’ombra di un dubbio in quarant’anni di amicizia, in quarant’anni di stima per la statura professionale e umana di una persona, non conta nulla? Ad ogni modo, saremo stati agli inizi degli anni Ottanta, e stavamo facendo una puntata di *** con questa specie di bambina prodigio, una cantante dodicenne di cui non ricordo il nome, che morì di overdose qualche anno dopo ma che all’epoca aveva inciso un singolo da centinaia di migliaia di copie…
D: …
R: Lei, esattamente. C’era da registrare questa puntata, e ricordo che la ragazzina era nervosissima, prima della registrazione, ed evitava deliberatamente di incrociare ___. Insomma, era preoccupata, e continuava a ritardare il momento dell’intervista, e il regista mi ha chiesto di andarci a parlare, perché la ragazzina diceva che con ___ non voleva avere niente a che fare. La cosa per me era inconcepibile, perché, come le dicevo, i ragazzi adoravano ___, ogni volta che uscivamo eravamo presi d’assalto. Sicché sono andato dalla ragazza, nel suo camerino, e ho chiesto che ci lasciassero soli: e la ragazzina, che fino a quel momento non aveva detto una parola, è scoppiata in un pianto dirotto, isterico. Ho provato a chiederle cosa avesse che non andava, cosa ci fosse di strano: aveva già fatto interviste, dopo tutto, e questa poteva essere una grande occasione, in un programma col nostro share… Ma la ragazzina non voleva saperne, continuava a piangere e a singhiozzare, finché non abbiamo dovuto chiamare la madre e farla venire ad aiutarci a tranquillizzarla, e la donna è arrivata e le ha dato dei calmanti. Era un po’ imbarazzata, sua madre, e mi ha detto che sperava che sua figlia non la prendesse così. Prendesse cosa?, le ho chiesto: al che mi ha spiegato che ___ la sera prima era andato a trovarle in albergo, e che lui e la figlia avevano discusso. Ecco, a quel punto ho pensato che qualcosa non tornasse, perché ___ era una persona affabile, cordiale, disponibile, e non discuteva mai, e la ragazzina era completamente terrorizzata.
D: …
R: No, la donna non mi ha detto esplicitamente di averli lasciati soli, e io ho sbagliato a non chiederglielo, ma non mi sarei stupito: sa quante madri di giovani talenti lanciano le figlie nei letti di produttori? Quella donna, che mandava in giro una dodicenne vestita e truccata come una prostituta, a cantare canzoni piene di doppi sensi… No, lo ha detto dopo, quando ___ è morto e sono venute alla luce tutte le accuse, ma si era guardata bene dal farlo quando era con me. Non le conveniva. Però il sospetto che ___ avesse fatto qualcosa che, per quanto ammesso, se vuole, nell’etichetta del suo lavoro, non lo era di sicuro con una dodicenne – ecco, il pensiero in quel momento mi ha sfiorato. Alla fine l’intervista si è fatta, con questa bambina in stato semicatatonico che rispondeva alle domande di ___ senza mai usare più di tre parole. Ma in fondo, che ci si aspettava da una bambina intervistata? ___ era tranquillo, abbiamo mandato in onda il video, ed è andato tutto bene.
D: …
R: So cosa ha detto quella donna, che la figlia sarebbe diventata una tossica per dimenticare quello che ___ le aveva fatto. È una sua opinione, e non posso né confermarla né smentirla, ma di sicuro la colpa, a monte, ce l’ha lei, per avere mandato una bambina a comportarsi da adulta in un mondo che nemmeno il peggiore degli ingenui avrebbe giudicato pulito. Mi dispiace per quello che è successo, mi dispiace di non essermi fatto più domande, all’epoca: ma quella donna non ha la mia simpatia.
D: …
R: Mi rendo conto che qualcuno la chiamerebbe connivenza, ma non sono d’accordo. Non ho agito per coprire ___ o qualche accusa che gli veniva rivolta: non me ne è mai stata riferita nessuna esplicitamente. Anche in questo caso, la donna ci ha detto che la ragazzina era ansiosa, perché ___ le aveva messo pressione: e quando ne ho parlato con lui, mi ha sorriso, ha scrollato le spalle, e mi ha detto di averle solo chiesto di cantare in privato, per vedere se si poteva anche organizzare una registrazione con lo studio in sala, oltre alla messa in onda del suo video, e che lei non se l’era sentita e si era vergognata. E il fatto è che era perfettamente plausibile! ___ cercava sempre di trovare modi per valorizzare gli ospiti in studio, per far fare loro qualcosa di diverso, di originale. Lei forse si ricorda quando si è esibita da noi ***, nel 1984, la clip è piuttosto famosa: in quel caso, siccome il video musicale della sua canzone era piuttosto scadente, ___ ha avuto l’idea di farla cantare in mezzo al pubblico, che cantava il ritornello con lei. La puntata fu un successo enorme, non mi sembra di esagerare se dico che abbiamo lanciato la sua carriera.
D: …
R: Sì, ho ben presenti le accuse. Non tutte naturalmente, sono centinaia. Anche al netto dei mitomani, che sono fisiologici, in questi casi, sono troppe e troppo simili per non essere credute. Quando hanno cominciato a formularle, ero senza parole… Ricordo che ero in vacanza fuori città quando mi è caduta sotto gli occhi, durante la colazione, la prima pagina del ***, quell’orrendo foglio scandalistico, e all’inizio avevo letto l’articolo quasi tranquillamente, perché non avevo realizzato parlasse di ___.
D: …
R: Esatto, era l’articolo sui tredici bambini nell’ospedale di ***. Quello a cui ___ ha fatto beneficenza per venticinque anni.
D: …
R: Per quello che riesco a ricordare, ne era sopravvissuto soltanto uno.
D: …
R: A quella prima denuncia per me incredibile, fantascientifica, ne seguirono altre… Notizie di un’assurdità completa, aliena, che non solo non aveva nulla a che fare con la persona che conoscevo, ma che non credevo potessero riguardare un essere umano. Voglio dire, chi potrebbe mai provare il desiderio di molestare un bambino paraplegico? Un bambino con le gambe secche come ramoscelli? Perché? E poi…
D: …
R: Le indagini, sì. Ci stavo arrivando. Non saprei neanche dirle cosa ho provato quando suoi giornali ho cominciato a leggere di “strumenti di tortura”. Capisce che non aveva alcun senso, per me? Un conto erano le molestie… Anzi, in quel momento, erano ancora solo accuse, per cui… Erano più gestibili, per la nostra coscienza, ma “strumenti di tortura”? Dove ha mai letto queste parole, riferite alla vita reale? Nella visita a qualche castello medievale, o in un libro di storia: riferite al seminterrato della casa di campagna del mio migliore amico, dove ero stato decine di volte, non avevano alcun senso. E invece.
D: …
R: Sa cosa mi sono scoperto a pensare, a un certo punto? Un pensiero ridicolo, ignobile, ma – ho pensato: dove trovava il tempo?
D: …
R: No, mi ascolti. La domanda è solo apparentemente faceta. Io e ___ eravamo sempre insieme, ___ lavorava a ritmi disumani… Aggettivo quanto mai appropriato… Non riesco a immaginare quando potesse trovare il tempo di organizzare rapimenti senza sollevare sospetti, di gestire prigionie, di disfarsi dei… Non riesco a inserire tutto questo nel ricordo della vita che abbiamo passato vicini.
D: …
R: Sì, riemergono dei ricordi, a tratti, come lampi: quella volta che sono andato da lui in campagna per fargli una sorpresa, e l’ho trovato allegro ma un po’ trafelato, che cos’erano quelle macchie sui pantaloni, quello sporco sotto le unghie? Frattaglie? Materia grigia?
D: …
R: Io sono stato sposato sedici anni, prima che mia moglie morisse. Sa che è stato ___ a presentarci? Lei lavorava come assistente per una collega di ___, ***, e inizialmente si era invaghita di lui, cercava ogni occasione per venire nel nostro studio e parlargli, e fu così che ci conoscemmo, una volta che li raggiunsi mentre chiacchieravano nei camerini. Me lo ricordo bene: mia moglie, la mia ***, era lì, timida, raccolta e trepidante, con la sua montagna di ricci neri, mentre ___ emanava tutto il suo calore e la sua luminosità. E però non c’era alcuna tensione in lui, alcuna aggressività, cercava semplicemente di mettere una ragazza a suo agio. E quando ci ebbe presentati e fummo rimasti soli io e lui, ricordo che mi mise la mano sulla spalla, mi fece l’occhiolino, e mi disse: “Vecchio, quella, se non l’hai ancora capito, è la donna della tua vita”. Ora so perché lo disse: ora so che altro c’era, nella sua vita. Ma ciò non toglie che avesse ragione.
D: …
R: Questo è un problema, capisce. Io gli devo la mia felicità. Cosa devo pensare? Che mi mentisse, che mi appioppasse una seccatrice solo per freddo calcolo, per crearsi, non lo so, un alibi? Non credo sia vero. Io penso che ___ mi volesse bene sinceramente. Ma non so questo cosa possa significare, alla luce di quello che sappiamo ora.
D: …
R: Forse ha ragione. Forse avremmo dovuto vigilare di più, prestare maggiore attenzione a certi comportamenti, ma come si fa a vigilare su qualcosa di cui non si sospetta nemmeno l’esistenza? Sì, senza ombra di dubbio il sistema in cui vivevamo lo ha aiutato a far passare molte cose inosservate. Ma non è solo questo.
D: …
R: No, non ho mai incontrato nessuna vittima. Non vedo cosa potrebbero volere da me, e io da loro. Ma è vero, mi sento in colpa. Non so cosa avrei potuto capire, o fare, ma chiunque mi voglia accusare di non avere prestato abbastanza attenzione ha ragione: non so come avrei potuto comportarmi diversamente, ma è fuori di dubbio che da qualche parte ho sbagliato. La verità è che ho fallito una sfida a cui non sapevo nemmeno di essere stato chiamato. Almeno ___ è morto in pace.