Hanno cambiato la responsabile del servizio mensa in una delle scuole dove lavoro. Sono venuto a sapere di questa novità quando questa donna sulla cinquantina (53) è venuta a salutarmi e a presentarsi. Il nome, a dire il vero, non lo ricordo, ma non credo avrò mai nessun problema nell’identificarla in sede giudiziaria: mentre la precedente impiegata era la classica signora grassa e chiacchierona che ci si potrebbe aspettare a fare un lavoro del genere (46), questa nuova leva sembrerebbe, almeno a una prima impressione, più adatta a prendersi cura dei gabinetti del dottor Caligari. Con lo strabismo clinicamente marziano che l’accompagna e la secchiata di denti torti che le hanno dato in bocca, la nostra freschissima ha tutte le carte in regola per guadagnarsi un ruolo di comparsa in una delle produzioni di punta del cinema grottesco continentale. Dal punto di vista strettamente quantitativo si inserisce poi a pieno titolo nel piano di invecchiamento fisico e spirituale intrapreso dal reparto risorse umane di S……i, stilato quest’anno in sede amministrativa al fine di garantire con certezza e nel brevissimo termine l’estinzione definitiva del personale di questa scuola di montagna, dunque la tanto agognata diminuzione del monte ingaggi comunale.
Qui in Giappone con l’invecchiamento non si scherza, e l’età media del personale si è alzata in una stagione di una quindicina di anni buoni. Ciò grazie alla sostituzione della giovane segretaria vanitosa (23) con una affidabilissima sciura giapponese levata direttamente dall’archivio di Stockphotos (47); a quella dell’insegnante per le classi speciali, un giovane di matrice filiniana (29) iscritto sin dalla minore età al Partito Umanistico, con la riproduzione cartonata (52) di un androide giapponese inizialmente destinata al museo della televisione nazionale; fino a quella dell’insegnante tappabuchi, mansione egregiamente svolta in precedenza da una semi-chiavabile madre di famiglia sposata a un ricco di provincia (36) e oggi messa in scena senza pregio né prestigio alcuno da un anziano ex-proprietario di scuola guida (73), armato di grande esperienza in Pande 4×4 e segnato in maniera indelebile da un claustrofobico timore di fronte al comparire della minaccia bianca. Valga notare che la profondità di questi timori è tale e tanta da spingerlo a salutarmi soltanto sottovoce e con lo sguardo a terra, con quel fare da shoegazer un po’ passivo e un po’ aggressivo che va tanto di moda tra i foltissimi ranghi della seconda e della terza età nipponiche.

Questa manovra di ridimensionamento dell’età media del personale non nasce tuttavia da un capriccio del tesoriere comunale, che nella mia esperienza italiana avrebbe avuto grandissima premura di tagliare il budget dedicato alla sanità e all’istruzione per andare a pagare dei gran travoni con il cazzo lungo: è piuttosto il prodotto inevitabile di una situazione d’emergenza ignorata troppo a lungo e colpevolmente, e che oggi è finalmente giunta al limite. Stando infatti alla tabella esposta sulla lavagna generale, alla sinistra della vicedirettrice, il numero complessivo degli alunni non supera quest’anno la trentina (28), mostrando picchi negativi a) nella quinta classe, che raccoglie due bambini normali più due a marce ridotte importati dalle classi speciali per fare massa b) nella prima, che quest’anno conta un solo alunno (1): Hayato Matsumoto. Questi, nonostante la solitudine, riesce a riempire senza difficoltà di sorta il vuoto spirituale lasciato dai suoi compagni virtuali, oggi tutti iscritti a scuole di caratura superiore, e ciò grazie a una presenza d’animo e a una voglia di fare apparentemente irriducibili, tali addirittura da creare giustificatissime preoccupazioni nell’animo del corpo insegnanti che, contro tutte le indicazioni del ministero per l’educazione giapponese, potrebbe trovarsi a dover fare diplomare un ragazzo simpatico e un po’ testa di minchia.
Chiaro è che del Matsumoto ci sarebbe molto da raccontare. Tuttavia, dovendo attenermi ai più moderni criteri di tutela della privacy e della tutela dei dati personali (tema qui in Giappone caldissimo), mi vedo costretto a tagliare da questo resoconto molti dei pure brillantissimi aneddoti che l’osservazione quotidiana del medesimo mi permetterebbe altrimenti di riportare.
A dire il vero, già soltanto aver riportato il nome del nostro grandissimo potrebbe avere riflessi terribili sul mio status di impiegato parastatale: ma come diceva Carlo Mars la legge morale dentro di me il cielo stellato eccetera. Non posso pertanto esimermi dal menzionare la performance del nostro Massimoto (il cui vero nome di qui innanzi avremo la premura di censurare) in occasione della cerimonia d’ingresso nel sistema della scuola primaria giapponese, performance tra l’altro in sé e per sé pubblica e ufficiale, quindi libera da ogni vincolo legale in termini di riproduzione e divulgazione, e che vado a riportare di seguito.

Unica nuova leva dell’anno 2017, il Mochimono sedeva circondato da una giuria esterna composta da sedici rappresentanti selezionati all’interno delle principali istituzioni locali: polizia, comitato genitori-insegnanti, club della poesia, club del tè, scuola di kendo, scuola di judo, comitato per il vassallaggio, unione dei valvassori et cetera. Messo in posa su una miniatura di seggiola da giardino, se ne stava solo e abbandonato di fronte al podio di un preside sdentato, balbuziente e segnato da una cornucopia di tic e disfasie di calibro prefetturale, mentre questo, nonostante le chiarissime disabilità, si mostrava ancora in grado di inalberarsi per interminabili discorsi privi di capo e coda circa l’educazione dei giovani, tutti imperniati su di un’unica idea fissa: lo shikkari sodateru, il dare una solida educazione elevato a parola chiave. Un uomo noioso, insomma, un uomo tanto ottuso quanto brutto e acciaccato (67), un elemento selezionato nella sua mansione al fine di dare continuità alla schiera infinita degli ammazzatori di passione che da tempo immemore siedono ai banchi più elevati di ogni sistema educativo che si rispetti.
Il nostro ragazzo, questo Monsummoto arditissimo, sedeva solitario e imperturbabile: ad accompagnarlo soltanto gli sguardi amorevoli della carissima famiglia, vestita direttamente dagli editori di Postalmarket in rigida conformità coi più rigidi canoni della moda catecumenale quale fu dettata dai pilastri morali della Democrazia Cristiana nel celebre concistoro Mare e morae del 1984. Ma il Mariemoto circondato, sciagurato eroe dello stare tra una roccia e un posto duro, risplendeva giovanissimo (6) della propria proiezione astrale. A starsene lì, seduto e con le mani in tasca, non era infatti il figlio intimorito di una famiglia di pescatori educati soltanto a grattar delle cozze: era al contrario il ritratto di un precocissimo meccanico romagnolo, di un conosciutissimo collezionista di calendari porno e visite ai massaggi pubici nei locali più economici del litorale, la statua brillante di un Budda di provincia, e sul bronzo levigato dei suoi lineamenti rimbalzavano impotenti i mortificanti discorsi sull’educazione pronunciati dai capitani del reparto geriatria. E mai che desse alcun cenno di cedimento; mai che lasciasse trapelare un’oncia di disinteresse; mai che l’occhio, senz’altro appesantito dalle circostanze e dalla sicura levataccia, mostrasse intenzione alcuna di chiudersi e riposare, o semplicemente di annebbiarsi. Manteneva questi un equilibrio morale liberalissimo, e ciò nonostante le bordate funestissime dei discorsi autocelebrativi e del delirio nazionalista del comitato per la salute morale: incorrotto e imperturbabile, su di lui scivolavano gli sforzi corruttori della retorica cerimoniale così come i colpi degli avversari sembrano soltanto accompagnare le finte e le schivate dell’abile karateka. Be water, Maximoto, be water.
Per farla breve: dal momento dell’ingresso in sala e fino al ritiro dell’astuccio e dei libri di testo, maneggiati dal direttore scolastico al momento della consegna ufficiale allo stesso modo in cui il padre tratta riguardoso l’ostia e il vin santo nel celebrare la cerimonia eucaristica, il mio sguardo rimase fisso sul giovane Megamoto senza far caso al ridicolo delle circostanze e alla bruttezza del personale scolastico, ed ebbi la certezza di trovarmi di fronte a un campione dello spirito, a un irriducibile autentico, della stessa schiatta di grandissimi del passato quali furono, per quanto su registri diversi, il magnifico Andrea Roncato o lo splendido Guido Nicheli.
A rinforzare questa mia prima impressione di valore assoluto circa le qualità e la tempra del giovane fu senza ombra di dubbio il portamento da autentico boss sfoggiato con nonscialanza dal Masamune nelle più banali e scontate attività quotidiane: la baldanza nel portare il passo, i cenni del capo, la brillantezza nel salutare. Sin dal nostro primissimo incontro restai inebriato dalla gaiezza dei suoi hallowwww e dallo splendore dei suoi gumoooning, tutti cantati sulle onde di un rochenrol immaginario con questa sua voce già roca nonostante l’età, come a voler profetizzare un futuro di sigarette a catena e mani unte di morchia e tortelloni. Fu insomma amore al primo incontro, e non solo: fu amore ricambiato, un incontro di destini. Le testimonianze popolari raccolte dagli studenti della seconda classe, spettatori quotidiani dei giochi miei e del Morimoto (l’aeroplano, il vola vola, il giuoco del ciuchino), riportano infatti a chiare lettere come il desiderio nascosto di quest’ultimo sia quello di diventare, un giorno, grande, grosso e ganzo, proprio come il suo maestro: di sbocciare dai suoi novanta centimetri scarsi di cilindrica giapponesità e farsi proprio come me, la persona che più di tutte ama in questa scuola, in questa città, in questa nazione, che ama al di sopra di tutto, anche di Doraemon, di Anpanman e della cara mamma.
Stappiamo dunque una bottiglia di latte della mensa scolastica e brindiamo tutti insieme al futuro del paese: evviva, evviva, evviva, evviva il Manzumoto.

Poscritto

A più di un anno dal mio incontro con il giovane M. il mio stato d’animo è sprofondato nelle tenebre più fitte. La serena epifania dell’incontro col divino ha lasciato spazio all’inarrestabile manovra del sistema educativo giapponese. Il M., che non vado a rammentare più per nome per la semplice ragione che il Motomoto che pensai di aver incontrato allora al giorno d’oggi non esiste più, è stato infatti trasformato in un ingessato guardiano della morale scolastica, severo con i deboli e servile con i forti. La sua baldanza ha lasciato strada a un passo stentato; ha messo su una certa buzzetta e spesso mi confessa di avere dolori qui e là, oppure di essere arrabbiato. Felicissimo quando fa la spia, e sempre desideroso dell’approvazione dei superiori, indossa oggi degli occhialucci irritantissimi, e il rockenrol delle sue esclamazioni si è trasformato nella marcetta stentata dell’uomo qualunque. Questo, insomma, è stato il Matsumoto.