“Se non sei addentrato in almeno un’altra lingua non puoi addentrarti nemmeno nella tua propria”
George Steiner, da qualche parte.
Arrampicatevi pure sugli specchi dell’esattezza, state per cadere. Non che qua si ammirino oltremodo critici come il citato Steiner, ma qualcosa dell’esperienza che lui riporta è eloquente.
Qua a Crapula ci è cara, molto cara, quell’esperienza della letteratura italiana che viene appena prima della sistemazione della lingua letteraria italiana operata a inizio 500, tra le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo ed Il cortegiano di Baldassar Castiglione, quella sistemazione che ha in pratica cancellato la poesia regionale – poesia regionale facente capo a quello che oggi si dice, impropriamente, dialetto. Tra queste tradizioni di poesia (e lingua) regionale, c’è quella Toscana. Come – il toscano, un dialetto?
Forse in tutto questo – in questa animosità contro la sistemazione centralistica e unitaria della lingua – parla, per noi, una tara tradizionale e ereditaria: la tara meridionale brigantistica. Degli amici, sfottendo, mi hanno ricordato poco fa un episodio vecchio di qualche anno, in cui, la pancia piena di alcolici vari, avrei detto: “bisogna tornare qualcuno in taxi”. Questo sarebbe, a detta loro (settentrionali italici sedicenti senza dialetto) un’emergenza del mio dialetto. “Ma come”, io dico (o ho detto o forse ho solo pensato) “giocate a fare i crucchi della Crusca e poi non sapete riconoscere la variante causativa di un verbo?”
Ecco, senza nulla togliere alla normalizzazione della lingua italiana letteraria (l’unico grande frutto “politico” di secoli di abitazione nello stivale) noi rivendichiamo quello stato plurale della lingua, quello in cui coesistono lingue morte e lingue volgari, registri altissimi e bassissimi. Quello stato liquido della lingua, in cui la modifica, il cambio, l’eccezione, non sono solo possibili, ma proprio la regola.
Ciao Alfarhidi, l’avrai già capito, ogni tanto mi va di scherzare. E’ vero o no che la lingua italiana, ossia l’italiano puro, è nato dalla cocciutaggine degli Etruschi che rigorosamente si sposavano soltanto tra di loro, conservando in tal modo la, diciamo così, purezza della lingua medesima?
Io sono nato a Milano, dove vivo, con radici nell’Oltrepò Pavese (che centra, dirai tu) e ti pongo una domanda: può un’opera letteraria essere letta sia filologicamente sia “senza guide alla lettura…magari anche in bagno” ( citazione da Martina Testa, di Minimum Fax)? Naturalmente mi sto riferendo a DFW, e al suo ‘Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso’ . Che insistenza, la mia, a proposito di Wallace!
Non è il caso che tu mi risponda subito, un giorno o l’altro scriverete anche di questo Autore che per me non è un tormento ma, paradossalmente, un inno alla vita. Tra esseri umani.
Saluti.
Ciao Enrico, mi fa piacere il tuo scherzare qui. Accolgo pure l’invito e a domanda, ci penserò. Intanto io stesso t’invito: se ti va di scrivere qualcosa su DFW, sentiamoci per mail e andiamo!. Nessuno ci impone niente, noi saremmo contenti di un intervento esterno. Saluti
Ciao Alfahridi, rileggendo per caso il mio suddetto commento mi accorgo di aver scritto un imperdonabile “sfondone”, cioè: “che centra” anziché “che c’entra”. Colpa di una certa fretta nel cliccare. Sono incidenti che mi fanno un po’ incazzare. Ma talvolta capita. Questa (forse inutile) precisazione l’ho fatta solo per rispetto del livello culturale del vostro blog.
Ci sentiremo presto. Saluti.
Ciao Enrico,
refusi o “sfondoni” (non l’avevo mai sentita questa parola, è molto divertente) possono capitare. Apprezzo molto la considerazione che hai di Crapula Club.
A presto.