Ciak. Campo di battaglia. Garibaldi ferito. Garibaldi ucciso. Stop.

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Il burocrate del Regno delle Due Sicilie Ferdinando Ragozzino perde il proprio incarico a causa della spedizione dei Mille (1860). Privato così del piccolo potere che deteneva e di cui andava – come ogni burocrate che si rispetti – più che geloso, dopo aver scartato il suicidio, decide di vendicarsi e d’impedire l’unificazione irretendo – con i metodi obliqui caratteristici dell’italico costume – briganti truci e senza troppi scrupoli, sprovveduti garibaldini e lo stesso Eroe dei due mondi. L’ardito – o meglio titanico – proposito di sabotaggio del funzionario borbonico si tradurrà in un’impresa difficile e spigolosa, ma dagli esiti nient’affatto scontati: trabocchetti, battaglie e sotterfugi; eventi rapidissimi che condurranno la novel fino alle porte dello Stato Pontificio, dove – passando per una scaltra sposa di Cristo e un algido cardinale – si decideranno le sorti del Paese con un epilogo carico di humour nero e ucronia risorgimentale.

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Stefano Cardoselli riesce nell’impresa di rendere l‘underground americano mainstream europeo e l’autorialità maleducata del mondo Frigidaire strumento per arrivare sino nel cuore pulsante della storia, definendone con pochi, fermi e ben assestati tagli di montaggio suggestioni, forza e aspirazioni. Domina la tavola «nero di china» e il tratto non deterso, imperfetto, irrifinito. A momenti uno schizzo di sangue degno del Dylan Dog dei bei tempi andati. Ultraviolenza e pulp d’epoca insomma.
L’autore arriva a Il grande sgarbo corazzato d’esperienze maturate nei ranghi del fumetto americano, la sua estetica indie è satura di splatter divertito e nulla è calmante come l’iperbole da squartamento in epoca di ansie sociali ed esistenziali.

Ne Il grande sgarbo una serie di «sfortunati eventi» trascina alla ribalta gli ultimi, le figure di scarto del mito nostrano. Ferdinando è un miserabile, dai modi spicci e di parca loquela, insonne bilioso che soffre per la mansione perduta, con al posto del Super-Io una pecora, la quale non gli risparmia, come eco al suo «come soffro», un sonoro «taci cretino». Molto marcata anche la caratterizzazione degli altri personaggi: il brigante Mannaja, nano dall’eloquio dannunziano; il cardinale Giaggelli – alias Scudiscio di Dio – afflitto da anestesia morale, lussuria rimossa e rancore apertamente aggressivo. Infine il Re, che vuol scrivere la Storia, ma è distratto dalle donne. L’occhio abbraccia l’allegra brigata: un drappello sgangherato manovrato dall’ingegno finissimo di una sola «capobastone»: Marcella, suora diabolica, bitorzoluta, arcigna, dalla grammatica discutibile, e al contempo fonte negli altri di nostalgie, rimembranze erotiche e venerazioni sapiosessuali.

Cosa ne sarebbe stato dell’italica stirpe se per le velleità di un travet di provincia l’Unità della penisola non si fosse compiuta? Se Garibaldi fosse stato ferito, derubato e subito ucciso da un manipolo di briganti? Se il Papa Re avesse eretto una grande muraglia, alta cinque metri, per non permettere che il mondo del fuori s’ingerisse negli affari della Chiesa?

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Perché dovremmo leggere Il grande sgarbo? Per il semplice fatto che nei suoi anfratti limacciosi cross horror-pulp e punk il gran censore va a farsi un giro e il godimento per gli estimatori del genere è garantito. Perché superbo è l’impianto grafico – influenzato da Simon Bisley e Geoff Darrow – che si esprime in forme sghembe, come nell’estetica del cinema espressionista tedesco degli anni Venti, in particolare Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920) di Robert Wiene. Un tale grado di disinvoltura è possibile solo avendo metabolizzato valanghe di cinema di genere e infiniti fumetti di tutte le scuole, dalla linea chiara, alla macchia e così via.

Apprendiamo due cose fondamentali da Il grande sgarbo, che peraltro segna l’ingresso della casa editrice Effequ nel mondo delle narrazioni fumettistiche: l’Italia non è mai stata unita, ma gli italiani se la cavano da sballo nelle graphic novel.

Stefano Cardoselli
Il grande sgarbo. L’Italia non è mai stata unita
Effequ, collana Illustri, 2017
pp. 208