Non faccio giri di parole, ho il compito d’essere chiaro e preciso: io sto al mondo perché ho una missione. Non sto qui in attesa soltanto di invecchiare come la maggior parte degli esseri umani, derelitti che arrancano senza uno scopo o mete da raggiungere. Non è così che intendo concludere la mia esistenza. Io ho un compito e lo porterò avanti a ogni costo e con tutto me stesso. Io sono un messaggero e recapito messaggi.
Lo so che può sembrare una banalità, ma questo accade perché il punto d’osservazione da cui ci si colloca è sbagliato. Una lunga serie di congetture errate hanno posto il compito che sono chiamato ad assolvere e il ruolo che occupo in una dimensione quasi fiabesca o dai tratti romantici. Ma non è così. Anch’io, prima di diventare messaggero, credevo che consegnare messaggi fosse un compito da assegnare a persone con modeste qualità, ma con il tempo ho imparato che la mia è una missione difficile e probabilmente anche pericolosa, per questo non può essere svolta da chiunque. Correre su e giù, attraversare bui sentieri di montagna, raggiungere località impervie, isolate e sconosciute, non sono cose che possono fare tutti. In alcune situazioni ci sarebbe da rompersi l’osso del collo, ma c’è originalità in quello che faccio e questo mi gratifica. La mia missione non è paragonabile a nessun’altra.
Si diventa messaggeri perché qualcuno, considerata l’eccellenza delle tue qualità, ha deciso che tu intraprenda quel lungo apprendistato che ti consentirà di diventarlo. E se sei scelto, allora ringrazi perché quella è la migliore opportunità che ti si poteva offrire. Il più delle volte si tratta di considerare il proprio momento ed essere pronto. La cosa più stupida che si possa fare è confondere il momento con l’occasione. Distinguere le due cose è la prima regola da imparare. Nessuno viene tirato in gioco se non sa ancora distinguere il momento dall’occasione. Quando è il momento c’è qualcosa che devi fare assolutamente. Perciò la fai e basta. Non è possibile ritardare o rimandare. Il momento richiede che quella cosa vada fatta. E da quel momento tutto cambia. L’occasione non ha queste aspettative, non richiede la tempestività del momento. L’occasione è generativa, ma soltanto di sé stessa. Da un’occasione nasce sempre e soltanto un’altra occasione. Così se la prima muore o viene persa, una seconda la rimpiazza. Nessuno ci fa caso se perdi un’occasione. Se invece ti sfugge il momento tutto è perduto. Immagina, per esempio, la tua auto a folle velocità dirigersi verso il burrone. Se tu non hai ancora riconosciuto i segni distintivi del tuo momento (quelli che vorrebbero che tu aprissi la portiera per saltare giù) allora non c’è niente da fare. Il momento sarà inesorabile e ti schiaccerà. Nell’auto che corre verso il crepaccio ci saranno forse mille occasioni, ma di certo un solo, unico, imperdibile momento da riconoscere e di cui approfittare.
Recapitare messaggi richiede un lungo periodo di apprendistato durante il quale si è semplicemente un recapitatore. Un recapitatore non consegna messaggi perché è ancora nella delicata fase di formazione e non conosce a fondo tutte le regole del mestiere. Tuttavia essere un recapitatore rimane sempre un primo importante passo verso la definitiva realizzazione professionale che arriva soltanto con il titolo di messaggero.
La parte essenziale nella formazione del recapitatore è che si impara osservando. Si osserva perché non è consentito fare domande. Anzi, imparare a non fare domande è la regola aurea che il recapitatore deve mettere in pratica. Un recapitatore non deve mai fare domande anche perché farne sarebbe inutile, nessuno gli risponderebbe. Neanche al messaggero è consentito fare domande, anche se per un messaggero questa non è proprio una regola come è invece per un recapitatore. Diciamo che assomiglia più a un consiglio, a un codice di comportamento, a una sorta di bon ton di chi intende praticare questa missione. All’osservanza delle regole è chiamato soltanto il recapitatore, non il messaggero. E questo non certo perché il messaggero non ne abbia da rispettare, ma il fatto è che egli stesso rappresenta l’insieme delle regole.
Poiché parlare non è consentito, l’orecchio è inutile. Ciò significa che in un recapitatore soltanto l’occhio e la memoria devono essere sviluppati più di ogni altro senso. Un recapitatore deve avere una memoria infallibile: deve ricordare indirizzi, strade, luoghi, nomi, facce e possedere un acuto e attento senso dell’osservazione. Se realmente desidera diventare recapitatore e poi messaggero, neppure un dettaglio deve sfuggire a un aspirante in fase di formazione.
La seconda regola che un recapitatore è tenuto a rispettare è quella dell’amore. Egli deve fare in modo che la missione non sia trascurata da altri impegni e non passi in secondo piano rispetto ad altre attività. L’amore non fabbrica solo sogni ma è disciplina del rispetto, questo deve imparare un recapitatore durante il suo lungo apprendistato. Allo stesso tempo deve sapere che quando è il momento di allontanarsene per sempre, ossia quando la missione è giunta al termine, deve farlo senza troppi traumi e lacerazioni, senza lacrime e pentimenti.
Ma la regola più importante di tutte è quella di saper distinguere un messaggio da una semplice notizia. Poiché un messaggero non recapita notizie, è bene che un recapitatore impari presto a riconoscere e ad accorgersi con precisione quando si trova dinanzi a un vero e proprio messaggio o a un’indistinta e generica accozzaglia di notizie. Solo i messaggi vanno trattati con l’eccezionalità della cura e quindi recapitati, le notizie invece si comunicano e questo, sia detto per inciso, può farlo chiunque abbia un minimo di esperienza. Essere informato di un fatto non significa ricevere un messaggio, e poiché un messaggero non fa domande, da solo deve essere in grado di capire la natura di ciò che è da recapitare o da trascurare. Soprattutto questa è la particolare qualità che distingue un messaggero da un recapitatore. Soltanto quando un recapitatore riuscirà a capire da solo se quello che si trova di fronte è una notizia oppure un messaggio e, in ultimo, se questo debba essere o no consegnato, potrà sperare di ottenere l’ambito titolo di messaggero.
Me ne rendo conto, l’argomento è alquanto delicato. Quindi voglio fare qualche precisazione.
- Dal punto di vista del messaggio, autore e mittente non sono la stessa cosa. Colui che invia il messaggio non necessariamente è anche il suo autore. Nulla garantisce o conferma che lo sia. Perciò il mittente è soltanto colui che si prende l’incarico di far partire un messaggio, ovvero si assume il compito di affidarlo a un messaggero.
- Un confuso uso dei due termini – autore e mittente – ha generato pasticci pratici e teorici che hanno impedito a lungo la comprensione della missione di un messaggero e la definizione del suo importante ruolo. L’autore può anche essere sottinteso. La sua presenza non è necessaria all’esistenza del messaggio. Diciamo che egli è insito al messaggio stesso.
- Il messaggero non esiste soltanto quale latore di un messaggio, quanto piuttosto in funzione di un destinatario. Senza destinatario non vi sarebbe alcun messaggero e probabilmente neanche un messaggio. A differenza dell’autore, il destinatario non può essere supposto o sottinteso. È l’esistenza anche ipotetica di un destinatario che rende reale e allo stesso tempo misterioso un messaggio e, per le stesse ragioni, fa sì che la missione di un messaggero risulti felice e appagante.
- Un messaggero non può in nessun modo essere paragonato o assimilato a un portalettere. Quale umiliante offesa sarebbe azzardare un simile paragone. Un portalettere è soltanto l’ingranaggio intermedio di un complesso e arrugginito congegno di smistamento postale. Il portalettere non conosce affatto il mittente del messaggio e ancor meno il suo autore. Anzi per un portalettere mittente e autore del messaggio possono anche essere la stessa persona. Per lui non fa alcuna differenza. Allo stesso tempo, sebbene egli sia in possesso di qualche dato o dettaglio che legge direttamente sul retro o a margine del messaggio, quasi mai conosce personalmente il destinatario (per non parlare del contenuto stesso del messaggio).
- Soltanto il messaggero s’innamora e darebbe la vita per difendere ciò che egli ha volontariamente scelto di recapitare, ossia quello che chiama il suo messaggio. Inoltre soltanto il messaggero sa quando la missione è compiuta ed è il momento di separarsi serenamente da ciò che per un tempo gli è appartenuto.
Ma c’è ancora qualcosa di molto importante che tiene impegnato un messaggero. Tra le centinaia di migliaia di messaggi, il messaggero ha un numero quasi infinito di possibilità di scelta. Ciò significa che un messaggero è costantemente impegnato in un’attenta verifica delle concrete potenzialità di un messaggio e nell’analisi della sua effettiva capacità di raggiungere e far breccia nel suo destinatario.
Nel compito che il messaggero si assume, vi è certamente la volontà che il messaggio giunga a destinazione, e perché ciò accada sa che si devono fatalmente compiere alcune condizioni che egli chiama di felicità. E una è proprio quella della scelta del messaggio giusto. Un messaggero deve fare in modo che il destino di chi riceve il messaggio si compia. Sì, perché a ogni destinazione è commisurato un destino e del destino di chi riceve il messaggio io, il messaggero, sono l’unico responsabile. Tuttavia l’elevato margine di errore insito nella scelta del messaggio possibile crea una tale ansia da mettere il messaggero in un perpetuo stato di agitazione non misurabile secondo nessuna scala di valori. Questa agitazione, soltanto i messaggeri con maggiore esperienza riescono a domarla e a sconfiggerla.
Un tempo, quando vi era confusione su questo argomento, non si dava molta importanza alle facoltà interpretative né alle attitudini critiche e di discernimento del messaggero. Chiunque era mandato allo sbando senza alcun preliminare addestramento o una particolare preparazione. Non sapendo cosa portare a destinazione, qualsiasi messaggio era trattato con la stessa considerazione. Recapitatori non addestrati che si confondevano a messaggeri non ancora completamente esperti, creavano una tale confusione di ruoli, da far desiderare a tutti il ritorno a quella originaria situazione in cui ogni evento era disciplinato dal caso o all’estemporaneità della circostanza.
Ma oggi, grazie alla strutturazione di poche e significative regole nonché alla qualità della nostra formazione, le cose stanno rapidamente cambiando. Non deve più accadere, come è successo in passato, che un tale venuto da lontano, senza aver selezionato attentamente il messaggio possibile tra gli infiniti messaggi possibili, abbia consegnato soltanto quello che credeva potesse insegnare qualcosa al prossimo; oppure, che non avendo compreso che la sua missione era ormai alla fine e senza nessun’altra destinazione, abbia testardamente perseverato recapitando a tutti il suo portentoso messaggio. Egli sottovalutò la situazione e confuse il momento con l’occasione, la solenne perfezione di un messaggio con la vibrante pericolosità di un insegnamento; si dimenò tra gli stretti legacci della trappola che il suo stesso messaggio costituiva e vi rimase impigliato.
La conseguenza di tutto questo fu che dopo dolorosissime e umilianti torture, tra lacrime, sudore e sangue, trascinandolo con funi e catene, gli stessi numerosi destinatari del suo messaggio lo portarono in montagna per inchiodarlo a una croce di legno duro finché non sputò l’anima.
Ancora oggi, durante le nostre lunghe sedute di formazione, quel macabro episodio ci viene rammentato come esempio. E noi, messaggeri che ne siamo rimasti colpiti e fortemente sconvolti, ci guardiamo bene dal finire allo stesso modo e dal subire lo stesso destino.
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In copertina: Mustaki, “Knowledge”.