Uno

Il postino nuovo conosceva già la segretaria nuova perché avevano lavorato insieme in un’altra ditta che poi era fallita.
Come io l’abbia capito non so, visto che faccio di tutto per non sentire i discorsi dei miei colleghi.
I primi tempi li ascoltavo ancora, ma poi ho capito che i miei colleghi non avevano nulla da dire, mai, e ciò che fanno in ogni momento è solo deviare le molte energie in eccesso verso telefonate ai parenti o chiacchiere prive di utilità.
Spesso parlano di malattie, molto spesso delle loro feci. Adorano parlare di escrementi. E quasi continuamente si lamentano.
Parlano, i miei colleghi, apparentemente tra di loro, ma in verità parlano solo ed esclusivamente a loro stessi. Per non sembrare degli stupidi fanno il gesto di rivolgersi a un’altra persona, a chiunque gli si ponga davanti. Prima si rivolgevano anche a me, ma adesso hanno smesso perché io non do segni di vita. Sono come una pietra e indosso un auricolare che trasmette musica elettronica.
I miei capi lo sanno che ascolto la musica durante l’orario di lavoro, ma gli sta bene perché sono comunque più produttivo degli altri e rompo anche meno le palle.
Il postino nuovo non so come si chiama.
La segretaria nuova invece si chiama Maria Laura, il che crea scompiglio tra i colleghi perché non sanno come chiamarla, se Maria o Laura, o con tutti e due i nomi insieme. Già riuscire a vedere qualcosa che non siano loro stessi è difficilissimo.
Anche io del resto faccio fatica a ricordare i nomi dei miei colleghi. La nuova la chiamo Laura. Non Maria Laura né Maria. Solo Laura.
Ciao Laura, le dico quando arriva a dieci alle due.
Mi hanno affiancato Laura nel mio momento preferito della giornata cioè quando sono da solo in ufficio. Non stava bene che io fossi solo: non tanto ai capi che non gliene frega niente, quanto ai colleghi perché non accettano che uno possa essere felice.
Così mi hanno affiancato Laura, con cui tuttavia non comunico. Non che lei abbia colpa di niente, ma è pur sempre l’unico momento di pace che ho in ufficio, e lei sembra aver capito di essere la responsabile del mio disagio.
Così con Laura ci salutiamo civilmente, ci chiediamo come va, qualche notazione sul tempo e poi lei comincia a fare le sue cose e io torno alle mie attività.
Poi arriva il postino nuovo. Ogni giorno alla stessa ora, in quel lasso di tempo in cui siamo soli io e Laura. Il postino passa a lasciare i ritiri o le lettere che non ha consegnato, che piova o che ci sia il sole, e ci saluta entrambi, ma con Laura si ferma a parlare ben oltre i convenevoli. È normale, loro due si conoscevano da prima. Così che io mi sento come l’ultimo arrivato che non conosce nessuno, e mi va bene così.
Il postino nuovo ha fatto vedere a Laura le foto di un cucciolo di cane che ha comprato, anzi che ha intenzione di comprare tra qualche giorno. Andrà a prenderlo in un allevamento a duecento o trecento chilometri da qui. Laura guarda le foto del cane e dice: Uuuuhhh. Come è bellino! Come è bello! Tutto così, per minuti che mi sembrano interminabili.
Il postino nuovo ha fatto vedere anche a me le foto del cane, perché è nuovo. Io che gli dovevo dire? Uuhh, ho provato a dire. Era bellino, in effetti, era un cucciolo di cane su di un prato.
Ma che cazzo gli dovevo dire?
Ho sorriso e ho detto: sì.
Lui non sa che io quel cane, lui, Maria Laura e gli altri colleghi dell’ufficio li ammazzerei tutti.
Ho ricominciato a fare le mie cose, non ho commentato ulteriormente la foto, avevo da fare, mentre Laura e il postino sono andati avanti a parlare di cani e dei bei tempi andati nella ditta fallita.

Due

Il postino nuovo è passato anche oggi e ha fatto vedere un’altra foto a Laura. Laura invece mi ha fatto vedere una parte delle sue tette di mamma, non so se volutamente o no, e del resto anche il postino nuovo voleva davvero far vedere la foto del cane?
Poteva fare altrimenti?
Aveva scelta?
E io?
Laura si è chinata a raccogliere delle scatole di buste e mi ha fatto vedere le sue grandi tettone. Io le ho guardate bene. Erano un po’ flaccide, ma erano comunque una cosa bella, una delle cose più belle presenti dentro quell’ufficio, una delle cose migliori mi potessero capitare in quella giornata e settimana in ufficio.
Lei poi ha come sentito il mio sguardo e ha messo una mano a coprirsi. Io non ho detto niente, né sorriso, niente: e che dovevo dire?
Il postino nuovo è entrato in ufficio interrompendo quella scenetta, che era comunque una cosa estemporanea nel corso della settimana, e ha fatto vedere di nuovo altre foto del cucciolo di cane, da diverse angolature. Poi è andato via.

Tre

Oggi il postino nuovo è passato più tardi rispetto al solito e c’erano anche le altre colleghe, che erano tornate dalla pausa pranzo. Invece di riprendere a lavorare erano tutte là a parlare di menopausa. È passato lui e le colleghe hanno smesso con quei discorsi e poi lui ha mostrato le foto del cane. Loro conoscevano già quelle foto perché lui le aveva messe su una chat di cui io non faccio parte, comunque hanno voluto rivederle una per una e commentarle: Uhhh, bellino, ma ti rendi conto com’è? Ma com’è?
E com’è? pensavo io. È un cane. Un cucciolo di cane.
Io comunque avevo da fare un sacco di cose e mi sono alienato con una cuffia nelle orecchie, poi ho messo anche l’altra cuffia, completo muro, per non sentire i loro discorsi, ma a volume medio basso, perché se poi arrivano i miei capi è bene che senta per lo meno se mi chiamano. Non che abbiano qualcosa di importante da dire neanche loro, ma almeno li agevolo nei loro sforzi patetici di sentirsi adeguati nel loro ruolo di capi.

Quattro

Anche oggi è arrivata Laura che io stavo quasi bene nel completo silenzio dell’ufficio. Si è messa a fare le sue cose e non aveva scolli né nulla. Chissà che pensava stamani, pensavo io. Stamani al momento di scegliere la maglietta da mettere. Se c’era una percentuale di pensieri rivolti agli sguardi e a quel mio sguardo in particolare oppure per nulla.
Chissà, mi sono chiesto, se quel pensiero esiste.
Comunque poi è arrivato il postino nuovo e ha detto: Laura domani è il gran giorno, Ci siamo! E io ho pensato che la sua fidanzata dovesse partorire, ma solo perché lo confondevo con un altro postino, uno dei molti postini che passano per l’ufficio e tutti ingravidano di continuo le loro fidanzate. Così che io ero distratto e pensavo parlasse di un figlio, invece il postino parlava del cane. E mi sono ricordato di tutta quella storia che andava avanti da giorni.
Questa cosa del cane al posto del figlio me lo rende perfino simpatico, almeno diverso dagli altri postini; invece che i soliti figli da mettere al mondo, un bel cagnolino. Non che ci sia tutta questa differenza, io credo, almeno all’inizio, comunque per lo meno un po’ più di originalità. Un po’ meno pressione sociale per me che non avrò né figli né cani.
Era euforico, il postino nuovo, quasi troppo pensavo distrattamente. In quel momento ho provato per lui una simpatia che non sentivo per nessuno dentro quell’ufficio, la simpatia che si proverebbe per un bambino con una malattia alla testa, con una tara.
Domani, domani, domani è il gran giorno, ripeteva lui, e anche Maria Laura era tutta contenta.
Lei continuava a ripetergli: mi raccomando, mandami le foto, mandami le foto del cucciolo, nemmeno parlasse delle foto del cazzo del postino, di lui che si faceva una sega e lei là già a pensare a come si sarebbe sditalinata nel bagno di casa per settimane.
Lei lo diceva con quell’entusiasmo là.

Cinque

Io continuo con la mia vita di sempre. Le persone che mi vogliono bene mi dicono: ma non potresti cercare un nuovo lavoro se questo non ti piace? Non è che non mi piace, rispondo, è che io non vorrei lavorare in assoluto, solo che devo farlo. Allora cerco di fare in modo che finisca il più in fretta possibile, cerco solo di concentrarmi sul lavoro e di non cazzeggiare tutto il tempo dietro ai discorsi. Per me lavorare è come la fabbrica o la galera: un male necessario, qualcosa che esiste, che c’è, che è naturale. La vita si deve pagare. Io credo che odiare il lavoro sia l’unico sentimento sano. L’uomo è sbagliato, lui, la sua vita, la nostra, le scelte, non è vero nulla, ok? Quindi io ti voglio bene ma non cambierò lavoro. Finché c’è questo è ok. Che mi importa delle colleghe che parlano dei loro escrementi, dei testicoli dei figli che son come uova da cui esce l’albume, di come si farebbero scopare dal capo dei postini, di come si farebbero inculare tutto il tempo dal capo dei postini di nome Gregorio?
Io penso, quando le colleghe mi parlano di queste cose, che un tempo avevano maggior contegno nei miei confronti, e penso che ci vorrebbe un buco ulteriore, sotto le loro fiche, sotto i loro buchi di culo, ci vorrebbe un terzo foro in cui farsi scopare, un foro che gli facesse male per davvero.
Uno in cui il sangue la merda e lo sperma vivessero uniti, dei fori ripieni di questa soluzione in cui loro stesse, la versione in piccolo delle mie colleghe, vi galleggiasse dentro e i postini scopando il loro terzo foro arrivassero fino a farsi spompinare da quelle piccole cloni in miniatura di esse stesse, avvolte nel liquido composto da sangue merda e sborra.
Ecco cosa ci vorrebbe alle mie colleghe per stare un po’ zitte, e farla finita con tutti quei discorsi.
A chi mi chiede come va, cambia lavoro, io non posso spiegare tutto questo. La storia del terzo foro e delle piccole colleghe galleggianti, come si fa? Ma è così che la vedo, non c’è altro modo di dirlo.
Poi mentre immagino una piccola Maria Laura che galleggia dentro al suo terzo foro sotto l’ano, arriva il postino nuovo che è letteralmente raggiante e dice che è arrivato il cane, e dice anche un nome con cui ha scelto di chiamarlo e che io dimentico immediatamente.
Laura è felicissima, raggiante, in estasi. Immagino che il suo primo buco sia letteralmente fradicio.
Basta pensare a queste cose in ufficio, mi dico, c’è odore di morte in questi miei pensieri.
Basta. Provo a concentrarmi sulla foto del cane che il postino nuovo mi mette davanti.
È un cane.
Un cucciolo di cane, in braccio al nuovo postino che sorride su un prato.
Poi il postino e Laura parlano a voce bassa dei soldi che gli devono ancora dare quelli della vecchia ditta, ne parlano piano in modo tale che io non senta, ma comunque io mi sono già astratto dai loro discorsi perché ho da far le mie cose, e comunque li sento lo stesso.

Sei

Il postino nuovo è arrivato in ufficio e si vedeva che era preoccupato. Ha detto a Maria Laura che il cane ha preso i vermi, che era stato sverminato male. Che piscia e caca e vomita dappertutto. Che riempie le ciotole e gli angoli della casa dei suoi escrementi. Peccato, penso, non siano presenti le mie altre colleghe a sentire quella storia, avrebbero una scusa per parlare delle loro feci in libertà.
È normale che abbia i vermi, ha detto Laura, oggi che era parecchio scollata, ma io avevo deciso di non fissarla mentre si chinava, solo un attimo di sfuggita.
Comunque è normale che abbia i vermi, ripeteva lei. Normalissimo.
Laura ha iniziato a utilizzare questa espressione: è normale, l’ha imparato dalle mie colleghe.
L’aggettivo che dicono più spesso, quando parlano di menopausa o della malattie dei figli: è normale. Qualsiasi cosa esse debbano commentare, morti ammazzati, fatti autenticamente storici, sbarchi di alieni: è tutto normale in questo ufficio.
Anche Laura ha cominciato a usare questa espressione: lo vedo da come commenta il racconto del nuovo postino.
Il cane ha i vermi: è normale. E in un certo senso, mi dico, è normale che lei commenti che è normale che sia normale. Tutto così in ufficio. Tutto normale. Tutto normalissimo.
Il postino se ne è andato via quasi senza salutare, con la testa altrove.

Sette

Anche oggi è arrivato il postino nuovo con la faccia preoccupata. Un altro giorno di vomito e diarrea per il cane. Sì, peggiora. Ha portato il cucciolo dal veterinario, ma non si riesce a capire cosa abbia. Il cane continua a stare male. È interessante osservare come le colleghe seguano la malattia del cane come quella dei figli delle altre colleghe, con un’aria finta preoccupata. Con un mezzo sorriso ai lati delle loro bocche a uncino. Ascoltano il postino nuovo e le sue storie di veterinari, ma io capisco che le mie colleghe in realtà stanno tutte pensando a altro: valutano se si farebbero scopare o meno dal postino nuovo.
Non il loro terzo foro, ma il primo, o al massimo il secondo.
Mentre il cucciolo di cane sta in un angolo e guarda la scenetta.
E la risposta che le mie colleghe danno a questa domanda è sempre e solo una ovvero: sì. Si farebbero scopare dal postino nuovo.
Ma lui adesso è preoccupatissimo, non ha occhi per notare i messaggi di seduzione che le mie colleghe gli lanciano, è là tutto contrito che non sa come fare. Dici che è normale?, mi chiede anche a me.
Eh? Normalissimo. Rispondo io preso alla sprovvista. La cosa più normale del mondo.
Il viso del postino normalmente così rilassato, come quello di un bambino senza pensieri, è attraversato adesso da rughe orizzontali che gli solcano la fronte. Gli occhiali dalla montatura bianca modello Carrera, servono a incorniciarle. Soffre molto, come se fosse la prima volta. Si vede. Lo vedo.
Maria Laura è diversa. Ascolta il postino e non sembra godere delle sventure del piccolo cane come le mie colleghe. Come è possibile questo? Quello che vedo in lei è autentica empatia, e di riflesso, quasi, per un attimo, provo empatia per lei. Sono meravigliato di me stesso.
Poi smetto di occuparmi di quelle cazzate e torno alla mia musica elettronica.

Otto

È arrivata Laura oggi a dieci alle due di pomeriggio come ogni giorno della settimana ed era sconvolta: mi ha detto piano e con foga al contempo: hai saputo la notizia terribile?
Laura, Laura ma che vuoi che ne sappia io?, pensavo, qui nessuno mi parla. Fai per caso riferimento a quella strage nel locale gay in America?
No, no, è morto, è morto, è morto.
Chi è morto? Tuo figlio? Tuo marito?
No, è morto il cane di … e io ho capito che si riferiva al postino nuovo, di cui ho di nuovo scordato il nome, e ha cominciato a piangere come se il mondo dovesse finire domani.
Maria Laura, la segretaria nuova.
Piangeva alla scrivania dell’ufficio, in quell’angolo arredato malamente, e non erano ancora le due di pomeriggio.
Mi sono alzato e ho fatto un passo verso di lei.
Non facevo un passo dalla mia scrivania che saranno stati otto mesi.
Le sono andato vicino giusto a distanza di un braccio, lei singhiozzava piano e ripeteva quel nome di cane che io ho scordato, piangeva singhiozzando sommessamente, non era molto bella Laura, con l’eyeliner tutto sbavato, non era bella né brutta, con quella sua fronte un po’ ampia, le ho detto soltanto: dai Laura, dai, dai, non fare così, ti prego, Laura, non piangere, e lei mi ha guardato con occhi di cucciolo pure lei, e non ha detto niente, si è soffiata il naso.
Mi ha guardato e sorriso Laura in un modo che era strano, mezzo umano, mezzo no.

Poi erano passate le due e sono tornate le colleghe con il loro solito ritardo di venti minuti abbondanti dalla pausa pranzo. Sapevano già tutta la storia del cane, l’avevano letta sulla chat. Laura allora si è fatta forza e si è messa a fare tutte le cose che le altre non hanno voglia di fare e che toccano a lei in quanto ultima arrivata.
Io sono tornato rapidamente a sedere alla mia scrivania e ho pensato che in fondo era una cosa normale.