Questa conversazione è avvenuta per davvero. Il rispetto per la scienza mi ha spinto a non modificare i nomi degli scienziati coinvolti nella vicenda. Per il resto si tratta del sogno guidato, in forma di reportage saggistico, di un parvenu delle scienze naturali.
***
Ci sono tre libri che mi sento di consigliare sulla meccanica quantistica ai profani della scienza come me – siamo tantissimi, fratelli: prendiamoci per mano. I Sei pezzi facili di Richard P. Feynman (Adelphi, 2000) , Prima del Big Bang di Martin Bojowald (Bompiani, 2011) e La realtà non è come ci appare di Carlo Rovelli (Raffaello Cortina Editore, 2014). Gli autori degli ultimi due, qui pedinati dal sottoscritto nella sua migliore versione stalker, sono tra i più importanti esponenti della gravitazione quantistica a loop, una teoria ancora in fase test che si propone di coniugare la meccanica quantistica con la relatività generale – cioè di sciogliere i nodi lasciati aperti dalla teoria di Einstein applicando le leggi microscopiche della meccanica quantistica al campo gravitazionale. Come ha scritto Rovelli nel libro citato, nonostante la gravitazione quantistica a loop attenda ancora fondamentali verifiche sperimentali, la natura oggi sembra sorridere ai loopisti e irridire invece gli stringhisti (i fautori della teoria delle stringhe, che si propone di operare lo stesso connubio, seppure con un approccio teorico differente). La natura però, è risaputo, ama nascondersi. Si naviga dunque al buio.
Quattro sono i principi fondamentali nella meccanica dei quanti:
– la granularità (in inglese: discreteness), ovvero la natura non continua, “a pacchetti separati” dei suoi elementi minimi, i quanti (caveat: nella gravitazione quantistica a loop si arriva a dire: c’è un limite all’infinitamente piccolo; c’è una soglia oltre la quale non si dà superficie, così come, nella relatività generale, c’è un limite massimo rispetto al moto di un corpo nello spaziotempo: la velocità della luce. Chiedere anche a Democrito per ulteriori informazioni).
– l’indeterminismo, ovvero l’impossibilità di operare misurazioni esatte. Esiste la probabilità, non la verità.
– la relazionalità, ovvero un evento non accade in assoluto, accade quando due sistemi vengono in relazione reciproca. Questo principio ha un effetto catastrofico sulla nostra tradizionale idea di tempo – il tempo diventa calore, tempo termico, e viene a legarsi alla formulazione statistica del secondo principio della termodinamica (entropia) e alla teoria dell’informazione. Se anche davvero esiste, il tempo, la sua irreversibilità non è una proprietà del sistema osservato, ma dell’osservatore che lo misura. Se ipotizziamo l’esistenza di un individuo che la sa davvero lunga (il demone di Maxwell, ad esempio, o Lorne Malvo in Fargo 1), questi potrebbe disporre le particelle calde e quelle fredde in un sistema chiuso in modo tale da evitare l’inevitabile. Dice James Clerk Maxwell in persona: «Se concepiamo un essere con una vista così acuta da poter seguire ogni molecola nel suo movimento, tale essere, i cui attributi sono essenzialmente finiti quanto i nostri, potrebbe fare ciò che è impossibile per noi».
– la soglia di grandezza: i tre principi di cui sopra si applicano al di qua della scala di Plank, al di sotto dei 100 nanometri. Oltre questa soglia – che possiamo chiamare il microscopico, e con questo ci accorgiamo di operare una separazione ontologica tra micro e macro – questi principi divengono irrilevanti.
Applicare i principi di cui sopra al campo gravitazionale significa ripensare in profondità la nostra idea dello spazio – già stuprata da Einstein quando ha detto: spaziotempo! La gravitazione quantistica a loop ipotizza la granularizzazione dello spazio. Esistono, voglio dire, i quanti di spazio, secondo la struttura esemplificata nell’immagine qui sotto
I quanti di spazio sono i nodi tra i vari link – sono lo spazio stesso. I link sono le linee di forza del campo di Faraday – le linee che portano in giro l’elettricità – applicate al campo gravitazionale. I link sono i fili con cui è tessuto lo spazio (Rovelli, p. 141). La materia, letteralmente, poggia sui nodi.
Non entrerò qui nei dettagli di come il carattere granulare e non continuo dello spazio risolva la singolarità einsteiniana – mi limito a dire che, al momento del big bang, la relatività generale prevede l’addensarsi della materia in un unico punto, una densità infinita: ma la materia non può esistere a densità infinita. Il carattere discreto e granulare dello spazio fa emergere una forza repulsiva: tra un pacchetto e l’altro di spazio, parte dell’energia si disperde, la densità non è più infinita – l’universo è salvo e può esistere daccapo (caveat: la gravitazione quantistica a loop non si figura il big bang come l’origine dell’universo, ma come il rivoltarsi come un calzino dell’universo, dopo essersi contratto nel minimo volume possibile).
Il mio personale problema invece è il vuoto. Cosa c’è tra i nodi e i link? Ha senso usare ancora l’immagine del vuoto, o è forse solo un’altra figura superata e inservibile, come l’etere, come l’anima, come (si spera quanto prima: neuroscienze veniteci incontro!) la coscienza e la ragione?
L’ho chiesto a Carlo Rovelli. Il suo indirizzo mail è facilmente rintracciabile sul web (a dire il vero l’avevo già: un anno fa gli ho mandato l’hyperlink di una pubblicazione di CrapulaClub a tema scienza e letteratura). Gli ho scritto una notte, la settimana scorsa:
“Se i quanti di spazio sono lo spazio stesso, e sono granulari, come si definisce (si concepisce e s’immagina) il vuoto nella gravità quantistica a loop – il vuoto ovvero quegli interstizi tra i nodi e i link?”
Al mattino ho trovato questa risposta nella mia casella:
“Non ci sono interstizi tra i quanti di spazio!”
In calce alla sua mail c’era un numero di telefono. In un raptus di curiosità, l’ho chiamato. Era un numero francese. La segreteria diceva: “Sono in Italia, chiamatemi qui”. Ho chiamato qui, nessuna risposta. La segreteria del cellulare italiano diceva: “Non ascolto i messaggi in segreteria”. Sono stato tentato di scrivergli un SMS, ho optato per una seconda mail, più chiara, meno stupidamente naïve. Ho atteso qualche giorno – nessuna risposta – e ho deciso di virare altrove.
Martin Bojowald è un uomo di grande generosità. Quando l’ho contattato tre anni fa per proporgli un’intervista a tema scienza e letteratura, mi ha risposto dopo due ore, chiedendomi di chiamarlo l’indomani. Quando gli ho mandato le domande, le sue risposte sono arrivate il 31 dicembre alle 23:51 ora locale. Gli ho posto all’incirca la stessa domanda con cui ho interrogato Rovelli. La risposta è arrivata sette giorni dopo, con tanto di scuse per il ritardo. Per rispettare un minimo di confidenzialità, traduco solo i passaggi più rilevanti. Ho chiesto:
“Quando si parla di quanti di spazio, c’è qualcosa tra i nodi e i link? In altre parole, la figura del vuoto ha ancora un senso, data la natura granulare dei quanti?”
Bojowald ci fa per prima cosa notare come la questione sia bipartita. C’è il problema degli interstizi tra i quanti di spazio, e c’è il concetto del vuoto. Dice:
“È una questione importante e, in un certo senso aperta. Quando immaginiamo una struttura granulare (discrete, in inglese), c’è sempre qualcosa tra i nodi e i link. Tuttavia, se la granularità è fondamentale, nessun tipo di misurazione può dirci qualcosa su questi interstizi (gaps). Per questo, dal punto di vista della fisica, non c’è niente tra i nodi e i links.
L’immagine di una struttura granulare (vedi sopra) ci mostra uno spazio tra i nodi e link, ma questo spazio esiste soltanto dal punto di vista matematico, non da quello fisico. Dal punto di vista matematico, possiamo espandere una data superficie in modo continuo, ma secondo le regole della gravitazione quantistica a loop, la sua area, cioè la sua superficie misurabile, cambia solo e soltanto quando un nuovo link viene in contatto con la detta superficie (l’area della superficie aumenta), o quando un link viene meno dal contatto (drops out of contact), cosicché l’area della superficie diminuisce. In questo senso, solo i link sono misurabili e non lo spazio continuo tra loro – solo i link esistono dal punto di vista fisico.”
La seconda parte della spiegazione è più complessa e devo riassumerla invece che limitarmi a tradurla. Partiamo con la chiusa: il concetto di vuoto resta importante per mettere in relazione l’insieme delle osservazioni che provengono dalla fisica delle particelle elementari.
C’è poi un ma e un se.
Il se riguarda la natura relazionale di cui abbiamo discusso sopra, qui applicata non solo alla meccanica quantistica, ma ai fondamenti epistemologici della scienza in generale. Gli eventi emergono da relazioni tra sistemi; le osservazioni empiriche, le prove e controprove obbediscono allo stesso principio. Per testare il concetto di vuoto bisogna fare un passo dalla quantizzazione dello spazio alla quantizzazione della materia. Ad esempio: noi sappiamo, in generale, come funziona un campo elettrico. Se mettiamo un campo elettrico sulla struttura granulare, quantizzata dello spazio di cui abbiamo discusso, cosa accade?
Qui viene il ma. Considerando lo spazio continuo, macroscopico e non quantistico, un campo elettrico si comporta in un certo modo. Quando applichiamo i principi granulari della quantizzazione dello spazio, il campo elettrico mostra comportamenti leggermente incongrui: questi comportamenti incongrui dipendono precisamente dalla presenza degli interstizi tra i nodi e i link – proprio questo scarto, che esiste dal punto di vista matematico ma non da quello fisico, fa saltare la distribuzione dei valori del campo elettrico. Il concetto di vuoto resta dunque fondamentale per mettere insieme, comparare e figurarci le osservazioni che derivano dalla fisica delle particelle, ma la gravitazione quantistica a loop non riesce a concettualizzarlo in maniera completa. Non ancora.
Pensate per un momento la differenza tra ciò esiste dal punto di vista matematico e ciò che esiste da quello fisico – ditevi che, per ora, il vuoto è, ma non esiste.
***
Entrambe le immagini sono tratte da La realtà non è come ci appare di Carlo Rovelli (Raffaello Cortina Editore, 2014).