“Scrivo per farmi perdonare il rancore che ho avuto per lui e per riconciliarmi con la sua figura, che ancora si torce dentro di me, e non per esprimere dei giudizi o indicare dei modelli.”
E continua Valerio Lupi, figlio e padre poi, uno dei protagonisti de La Rancura, ultimo romanzo di Romano Luperini:
“Cerco di immaginarmi i suoi stati d’animo e le sue letture, le sue ansie, i progetti, il paesaggio in cui si muoveva, le persone che incontrava; ma qualcosa mi sfugge.”
Tre atti, tre ambiti temporali, tre tempi del racconto e tre protagonisti. Abbiamo tre uomini, ognuno con le proprie ambizioni, glorie e miserie morali. Se fossero estranei, così come lo è il lettore, se ci fosse distacco, questi tre uomini si perdonerebbero, la comprensione sarebbe possibile. Così non è, nonostante l’intenzione. I protagonisti sono infatti tre generazioni di padri e figli. E qualcosa degli altri sfuggirà a ciascuno, impossibile da comprendere davvero.
Si inizia dalla provincia toscana per poi, a chiusura del romanzo, tornarci. Povertà e poesia accompagnano le descrizioni della natura e della dura vita in una campagna bellissima ed essenziale per il maestro di scuola che è Luigi Lupi. Il figlio Valerio ne cerca tra carte e ricordi una chiara rappresentazione e così fa il lettore. Ed entrambi si chiedono, da subito: da dove viene il rancore irrisolvibile di un figlio verso il padre?
Nel Memoriale del padre troviamo Luigi e la sua crescita negli anni del Fascismo. Egli si troverà nel difficilissimo teatro di guerra jugoslavo. Al momento dell’armistizio e da quel terribile 8 settembre 1943, mentre i Savoia sono in fuga, il maestro di scuola Luigi Lupi, lì come soldato del Regio Esercito e certo della bontà del socialismo, organizza la truppa allo sbando e decide “per l’onore dell’esercito e della nazione” di combattere a fianco dei partigiani. Tornato dalla guerra, Luigi, — nei ricordi di Valerio —, appare strano: di quel giovane comprensivo e “liberale”, eroe della guerra partigiana, sembra non ci sia più traccia. Nessuna esagerazione nel descrivere il padre: la scrittura è cruda, diretta. Certo è che il sospetto, il rancore che il padre mostra nei confronti della madre e della sorella aumenta. Valerio ricorda una certa attenzione morbosa del padre per i comportamenti della sorella sedicenne. Prima dell’eroe della Resistenza c’era un giovane colto che decise di sposare una donna che aveva già una figlia. Valerio biasima il padre senza saperne identificare e cogliere i motivi.
In terza persona Valerio Lupi scrive di quegli anni, i suoi, che sfociano nella stagione del terrorismo e delle stragi. Professore universitario alla fine, è un personaggio che già conosciamo nell’altro romanzo di Luperini, L’età estrema. Qui lo troviamo giovane, membro a tutti gli effetti di quella generazione per cui il cambiamento era ancora possibile. Il protagonista che descrive gli eventi, i mutamenti del dibattito culturale e i cambi di fronte nella lotta politica crea pagine poco interessanti. È chiara una perdita della forza di Valerio che pian piano accetta che il dibattito culturale e la cronaca nera producano la fine dei sogni rivoluzionari, la riduzione dell’aspettative. È con la maturità, oramai ritiratosi nella natura — in campagna, lontano dal chiasso della vita attiva in comune —, che Valerio serve al lettore le più belle pagine, intime e insieme compromettenti per stavolta il suo di figlio, Marcello.
Marcello legge — è giunto il suo turno generazionale — pagine di un padre fedifrago trascinato da donne che stanno sullo sfondo,. Ricorda e scopre Marcello di un uomo che, anche da anziano e affermato, ha nascosto una passione minuta e un segreto che sta in America.
La rancura è ineliminabile e si trasmette con il sangue. Compreso questo, prova a chiudere il cerchio Marcello. Lo fa tornando nella casa toscana di campagna, il figlio del figlio, Marcello Lupi. Ha scritto un romanzo e i tempi e modi della letteratura sono cambiati.
Sono tre vincenti i protagonisti. Ognuno a suo modo è un narratore parziale e insieme affidabile. Il GenerationKonflikt Roman è solo espediente di genere.. Leggono e scrivono Valerio, Marcello e Luigi, c’è un dialogo, ma come il Dr. Algernon Edwards, co-protagonista della serie The Knick, non può capire il padre, così non possono i giovani figli comprendere i genitori. Manca un Terzo Osservatore e questo limite ermeneutico, questa impossibilità di comprendere l’altro, l’interpretazione con i mezzi della propria vita, crea la rancura.
Non c’è da aspettarsi il dialogo “riuscito”, la battuta memorabile, la metafora semplice e accattivante ne la Rancura. Ci sono invece tre piccole narrazioni che impattano meccaniche sulla grande storia. In questo esercizio triplice Luperini ci mostra una traditio lampadis con una fiamma che va spegnendosi, forse per banalità dei tempi. È l’ultimo grande tòpos della Letteratura: la Fine della Storia.
“Vicino a piazza del Duomo vede sfilare un corteo disordinato di uomini di colore, tutti con una tuta fosforescente, scortati da carabinieri armati… C’è una coda davanti alla porta dell’albergo, gente che ingombra il marciapiedi in attesa di entrare, tutti giovani, molti con tatuaggi.”
Gli uomini di colore protestano, altri ingombrano il passaggio per il provino del Grande Fratello, Marcello osserva e riporta, testimone disincantato.
Allontanandosi la grande e cruenta Storia dagli uomini occidentali, anche i personaggi che la abitano, consapevolmente pian piano rimpiccioliscono. Chi nella malattia, chi nell’infedeltà. Protagonisti che sono circondati da donne, che passano e si ripresentano, Le donne sono il cercato motore di ogni mossa che i protagonisti hanno fatto nella loro vita oltre la grande Storia.
La rancura è un romanzo ambizioso, insieme di facile lettura e di complessa struttura. Un romanzo sulle narrazioni che possono prodursi nella vita, un’opera che è di un tardo postmoderno, che usa trick consueti in Pynchon e Coupland.
L’autore mantiene le promesse sussurrate: siamo accecati come i protagonisti quando tentiamo di leggere l’altro, ma Luperini ci fa comprendere l’immanenza ineliminabile della ‘rancura’, la sua necessità.
“Come se ci fossero dei cicli naturali obbligati che si ripetono
eguali attraverso i secoli, di generazione in generazione, dall’Edipo
dei greci alla “rancura” di Montale contro il mare-padre… Ma ora
basta, per me questa storia è finita qui, io non avrò figli, non voglio
averli. I Lupi spariranno con me, e non se ne accorgerà nessuno.”