Nei suoi aforismi di Zurau, Franz Kafka ci suggerisce «due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio»; e, sempre nello stesso volume, un altro aforisma recita: «nella lotta fra te e il mondo vedi di secondare il mondo».
Ira Levin è uno scrittore che parla di un mondo che è mendace e infido e la cui intima cattiveria deve essere conosciuta e accettata, stando attenti però a non cedervi, a non soccombere, tenendo sempre davanti agli occhi il proprio cerchio.
Nell’opera di Ira Levin è centrale il concetto di status, inteso non solo in senso economico, ma proprio come insieme di regole (di solito rigidissime) che l’individuo deve rispettare per essere accolto in seno al suo contesto sociale. Per rispettare un dato status, l’essere umano talvolta si trova a uscire dal cerchio, a non riconoscersi, e a rinunciare alla sua identità; e lo spaventoso, in Levin, si gioca nel momento in cui l’individuo soccombe, cedendo la sua identità in cambio di una serenità posticcia, incosciente e precaria.
Che si tratti di un sistema comunitario dalle sfumature dittatoriali come in This Perfect Day e La donna perfetta, o del complotto nazista di I ragazzi venuti dal Brasile, o della setta di Rosemary’s Baby, ogni aggregato umano usa l’individuo per perpetuare se stesso; e i protagonisti di Ira Levin hanno disegnato attorno a sé cerchi talmente grandi da non rendersi conto di non avere più confini, e pertanto di non avere più identità, coordinate entro cui muoversi, finendo per annullarsi nei loro ambienti.
I personaggi raccontati da Ira Levin non hanno mai dei veri e propri percorsi di evoluzione, ma assistono piuttosto a un disvelamento della situazione in cui si trovano, molto spesso a prescindere dalla loro volontà: si limitano ad accettare o subire ruolo e circostanze perché privi della consapevolezza necessaria per uscirne.
E allora Rosemary accudisce il suo piccolo come ci si aspetta da ogni brava mamma, Bud soccombe allo stesso gioco da lui creato, le azioni di Yacov Liebermann si rivelano in fondo irrilevanti, l’annacquato femminismo di Joanna le crolla addosso.
Il senso di minaccia che pervade le storie e i paesaggi di Ira Levin nasce dal senso di manipolazione che caratterizza ogni relazione umana: colui che si pone come più cosciente dello stato delle cose, e del proprio ruolo in esse, spinge l’altro, anche con i mezzi più biechi, a conformarsi al quadro che ha intorno.
E il più delle volte il carnefice riesce nell’intento proprio perché la vittima non ha abbastanza coscienza delle cose (e di sé) per opporsi in maniera efficace; i rapporti amichevoli e sentimentali sono mascheramenti, palliativi che si concedono alla propria e altrui emotività, ma che non devono distogliere dall’obiettivo finale: il consolidamento o miglioramento dello status esistente, che è la sola cosa che conta.
E l’unico modo per non soccombere, come insegnano Yacov Liebermann (I ragazzi venuti dal Brasile) e Chip (Questo giorno perfetto), è essere coscienti del proprio cerchio, muoversi esclusivamente all’interno di esso, ben attenti a non uscirne, consapevoli che ogni influenza che abbiamo sul mondo è del tutto slegata dalla nostra volontà.
Ira Levin
Un bacio prima di morire (1952)
Trad. it. Bruno Tasso
Milano, Mondadori, 1997
pp. 268
Rosemary’s Baby (1967)
Trad. it. Attilio Veraldi
Roma, SUR, 2015
pp. 253
This Perfect Day (1970)
Pegasus Book, 2010
pp. 317
La donna perfetta (1972)
Trad. it. Mariapaola Ricci Dèttore
Milano, Beat, 2012
pp. 208
I ragazzi venuti dal Brasile (1976)
Trad. it. Adriana Dell’Orto
Roma, SUR, 2016
pp. 301
Sliver (1991)
Bantam, 1991
pp. 261