Il sacerdote gli fa la domanda cruciale e lui non risponde. Si porta allora una mano all’orecchio e si aggiusta l’impianto cocleare, l’altro ripete la vuoi tu prendere in sposa? e stavolta il bestione sorride, si appoggia il laringofono alla gola e con una voce metallica dilata all’impossibile un sì-lo-voglio.
Oggi Alexandra si sposa ma non sono io quello accanto a lei sull’altare.
Arcate prominenti, muso allungato, bombetta in testa e divisa da granatiere napoleonico, depilato fino all’osso, cafone, lui ha voluto addobbare, per lei, la chiesa di fiori di loto e riso in un becero sincretismo tra induismo e psicoanalisi.
L’umidità dà all’aria un sapore di polline e amido. Alexandra mi cerca con la coda dell’occhio: mi vedi? Sono quello dietro la signora col dodo nella borsetta di Prada, quello nel completo che non gli sta bene, che lo fa così Sapiens e ordinario.
Sono qui per te, perché ci tenevi ad avermi vicino, ce la sto mettendo tutta. È così che fanno le persone normali, gioiscono per la felicità altrui e mantengono un rapporto civile; e che sarà mai! e non fare tante scene!
Le persone normali sono flessibili, si adattano alle nuove situazioni.
Siamo qui riuniti per celebrare il transfert e il contro-transfert di questi due giovani innamorati…
Ti aspetta una vita felice, Alexandra, ti sposi e io sono contento.
Quando li ho beccati lo stavano facendo dentro lo studio di Alexandra: lei era nuda sulla chaise longue e lui la faceva venire con un canto gutturale. Teoricamente era il bestione che doveva essere sdraiato perché dei due è Alexandra la psicoanalista. Complimenti Alexandra, molto professionale.
Perché i Neanderthal scandiranno anche male le parole ma in compenso i loro mugolii arrivano alle orecchie delle Sapiens come un lento canto orgasmico che prima arrossa le guance e poi scalda il ventre, dilata le pupille e imbarazza. Quelle nenie vibrano alle stesse frequenze dei centri del piacere femminili e i baritoni, sussurrando ai loro neuroni, le incantano, titillano le loro vulve e fanno fremere i loro ippocampi.
Io ho dato di matto, ho sparato due colpi in aria e gli ho puntato la pistola contro:
No! Con un Neanderthal no! ho gridato, e così Alexandra era partita con la storia del rapporto medico-paziente, un sogno che tirava l’altro e lo sai come funzionano certe cose.
Al bestione stava venendo un attacco di snoopismo: aveva chiuso gli occhi e gli si era fissata la faccia in un sorriso esagerato, la testa rivolta verso l’alto e le gambe che erano pronte a partire in una sfrenata marcia sul posto.
Ecco! Hai rovinato anni di terapia! Aveva piagnucolato Alexandra correndo a prendere un cerotto alla scopolamina.
Eri cambiata da un po’, Alexandra.
Gli psichiatri pensano che lo snoopismo vada oltre l’isteria, una psicosi che se non trattata porta inevitabilmente all’alienazione e alla demenza. Inizia con una strana sensazione, dei pizzicori angosciosi che descrivono “come avere le ciglia dentro la nuca” o “il frizzante nella pancia” seguiti da un desiderio irrefrenabile di sbattere i piedi per terra; chiunque abbia visto un attacco dal vivo sa bene perché l’abbiano chiamata la “malattia di Snoopy”, i casi di isteria collettiva assomigliamo alle feste organizzate da Charlie Brown.
È colpa della società, dicono, che mette troppa pressione sul ruolo di genere: quando sei un maschio alfa 3.0 non sei così libero di esprimere la tua sensibilità. Per me sono tutte cazzate, è solo un modo che hanno i Neanderthal emancipati di attirare l’attenzione e sentirsi sofisticati, dire che hanno un inconscio estremamente più sviluppato serve a rimorchiare. Siamo freudiani, dicono, su di noi la psicoanalisi funziona perfettamente.
Suo nonno viveva chiuso nella gabbia di un giardino zoologico – i bambini in gita gli lanciavano noccioline e banane –, suo padre era una cavia per lassativi anti-age, sua madre affittava l’utero per parti plurigemellari. Adesso è tutto illegale, lo sono anche chiedere la specie di appartenenza a un colloquio di lavoro o utilizzare parole ritenute offensive come “Primitivo”, “Cavernicolo”, “Ritardato”, e la formula “specie estinta” è stata sostituita con la locuzione “comunità diversamente evoluta”.
Lui faceva il wrestler prima di unirsi al Sindacato, prima di infilarsi braghe e sottomarsina e diventare uno degli animatori dei Grandi Scioperi, prima del cambiamento.
Adattamento è ripulirsi nel giro di una generazione, è sposare la donna giusta, è il lavoro facoltoso e l’attico in centro, è fame, è senso di rivalsa, è un piatto freddo servito dopo centomila anni.
Il sacerdote ammicca verso la telecamera; questo è il terzo matrimonio misto che si celebra, una grossa tappa nella lotta per l’uguaglianza delle specie, il gobbo gli proietta la formula direttamente sulla fronte degli sposi così da poterli guardare negli occhi mentre recita con il potere conferitomi dallo Stato e dall’Associazione Telespettatori Cattolici…
Le luci dei fari vorticano incessantemente, colorano le facce degli invitati e si riflettono sul vestito lucido della tardona davanti a me che dà una carezza al dodo infilato nella borsetta,
…io vi dichiaro marito e moglie.
Il mostriciattolo si affaccia con il becco sul bordo della borsa e mi guarda con due occhi tondi e umidi. Traboccano di liquido.
Nel nome dell’Ego.
Mostriciattolo non vorrai metterti a piangere vero?
Dell’Es.
Non so perché ma vederlo con quegli occhietti ebeti mi fa sentire strano: piantala di guardarmi mostriciattolo, a me fai schifo, sei il volatile più stupido mai apparso sulla terra.
E del super io!
Oddio, signora! Ha un a gallina dentro la borsa!
Gli invitati, schifati, non fanno in tempo a urlare che ho già afferrato il mostriciattolo per la testolina e l’ho scaraventato contro il muro.
Uomini e donne sono saltati in piedi sulle panche, chi schiamazza, chi si guarda intorno: dove? dov’è?
La chiesa ammutolisce. Il sangue cola lungo la parete mentre per terra il pennuto sbatte le alucce agonizzante.
Tutto a posto signora, l’ho fatto fuori.
Mi guardano tutti. La donna lancia un urlo, Alexandra sviene, solo il maritino sorride, con gli occhi chiusi e i piedi che vanno per conto loro.
Forse è meglio togliere il disturbo.
Mi avvio all’uscita, parte la marcia nuziale coprendo le grida della tardona e mentre sento il riso scricchiolare sotto le suole mi chiedo cosa c’è di sbagliato in me che volevo solo amare e essere amato e impigrirmi nella mia ordinaria felicità, io che non mi adatto, io che sono per l’amore assoluto, io che tifo per la selezione naturale.