Kafka e Borges sono oggetto costante di studio e discussione da parte nostra – non si contano gli articoli dedicati a loro su Crapula. Inoltre, di recente abbiamo inaugurato una collaborazione con Cattedrale, dove io e Luca abbiamo avuto modo di allargare e approfondire il discorso tanto su Borges come su Kafka.
Ieri, a infiocchettare questo processo, è apparso su El País un articolo in cui sono trascritte osservazioni orali di Borges su Kafka – una primizia. Ve ne proponiamo alcuni estratti, tradotti da Ylenia D’Alessio, che ringraziamo.
Il mio primo ricordo di Kafka è del 1916, quando decisi di imparare il tedesco. […]Fu allora che lessi il primo libro di Kafka che, anche se non ricordo esattamente, credo si chiamasse “Undici racconti”.
Mi colpì di Kafka che scriveva in maniera semplice, tanto che anche io potevo capirlo, nonostante il movimento impressionista, che era importante a quell’epoca, fu in generale un movimento barocco che giocava con le infinite possibilità dell’idioma tedesco. Dopo, ebbi la possibilità di leggere “Il Processo” e, a partire da questo momento, l’ho letto continuamente.
Kafka, invece, ha i testi, soprattuto nei racconti, in cui si stabilisce qualcosa di eterno. Possiamo leggere Kafka e pensare che le sue favole sono tanto antiche quando la storia, che questi sogni furono sognati da uomini di un’altra epoca senza necessità di vincolarli alla Germania o all’Arabia. […]
Io tradussi un libro di racconti il cui primo titolo è “La trasformazione” e non ho mai saputo perché tutti lo chiamarono “La metamorfosi”. È un colpo, non so chi abbia deciso di tradurre così questa così semplice parola tedesca. Quando lavorai all’opera, l’editore insistè nel lasciarla così perché già era diventata famosa ed era ormai vincolata a Kafka. Credo che i racconti siano superiori ai suoi romanzi. I romanzi, d’altra parte, non finiscono mai. Hanno un numero infinito di capitoli, perché il loro tema è di un numero infinito di postulazioni.
[…] Scrissi dei racconti in cui provai ambiziosamente e inutilmente a essere Kafka. Questi racconti erano interessanti ma mi resi conto che non avevo realizzato il mio proposito e che dovevo cercare un altro cammino. Kafka fu tranquillo, quasi un po’ segreto, io scelsi di essere scandaloso.
[…] Kafka è stato uno dei grandi autori di tutta la letteratura. Per me è il primo di questo secolo. Ero presente agli atti della conferenza sul centenario di Joyce e quando qualcuno lo paragonò a Kafka, dissi che si trattava di una blasfemia. È che Joyce è importante nella letteratura inglese e nelle sue infinite possibilità, ma è intraducibile. Invece Kafka scriveva in un tedesco molto semplice e delicato. A lui importava l’opera non la fama, questo è evidente.
Grazie delle trascrizioni, per quanto mi riguarda utilissime. Mi è piaciuta in particolare questa: “Scrissi dei racconti in cui provai ambiziosamente e inutilmente a essere Kafka. Questi racconti erano interessanti ma mi resi conto che non avevo realizzato il mio proposito e che dovevo cercare un altro cammino. Kafka fu tranquillo, quasi un po’ segreto, io scelsi di essere scandaloso.”
E’ una lezione di come uno scrittore lavori al fine di formare il proprio stile. Borges ci insegna che ha proceduto come un maestro di composizione musicale: si è impadronito dell’altrui stile, si è fatto falsario e solo alla fine ha trovato la musica adatta al timbro della sua voce.
In effetti questo modo di scrivere impossessandosi della scrittura di un altro, non dei suoi soggetti, è fondamentalmente l’opposto del realismo, da qui anche la nota piuttosto forte nei confronti di Joyce, come riporta anche Alfredo nel suo articolo “Lo scrittore microscopico”.
Grazie del commento Dario. In effetti la trascrizione è illuminante proprio per il motivo che dici. C’è un altro bel testo di Borges su Kafka in altre inquisizioni dove questo processo di appropriazione viene descritto in modo esemplare (dove lo scrittore che viene dopo, influenzato da quello che viene prima, finisce per influenzare il passato a sua volta). Mi viene in mente un corso di qualche anno fa, con un critico letterario spagnolo (Javier Aparicio) a tema “l’influenza di Borges sui poeti del ‘secolo d’oro’ (Quevedo, il mitico Gongora).
“Credo che i racconti siano superiori ai suoi romanzi”. Mah. È risaputo che Borges non amava i romanzi in generale, ma almeno in questo caso avrebbe dovuto fare un’eccezione. America inferiore alla Metamorfosi? Il processo inferiore a Nella colonia penale? Il castello inferiore a Davanti alla legge? Non scherziamo… (Grazie comunque per il post!)
Certo non si possono sottovalutare i romanzi, anzi non si devono, ma vista la passione di Borges per la forma breve è quasi ovvio un simile giudizio. Io penso che Borges, come tutti i lettori di Kafka, avesse preferito che quei romanzi giungessero alla fine, dicessero più di quanto già così non dicano (ed è tantissimo). E poi se stiamo ancora a credere che Borges non abbia letto mai un romanzo in vita sua (o quei pochi che di solito si citano), come avrebbe potuto esprimere un simile giudizio? Borges è maestro della finzione.
Grazie a te per essere passato da queste parti.
Grazie del commento Raul. Francamente non saprei dare un giudizio definitivo sulla cosa. La lettura e rilettura di questi ultimi mesi della raccolta “Un medico di campagna” mi farebbe dire, con Borges “i racconti”.
Poi però mi viene in mente che Il Castello mi ha aperto la testa. Ci sarebbe, piuttosto, da fare un discorso (applicabile forse anche a Bolano allo stesso modo) di come i due generi comunichino in Kafka.
Io trovo comprensibile e più che legittimo che si possano preferire i racconti piuttosto che i romanzi (di qualunque scrittore, peraltro), a disturbarmi un po’ sono i termini “inferiore” e “superiore”. A proposito di Bolaño, lui respingeva “questa specie di falsa dicotomia fra il Cortazar autore di racconti e il romanziere”, io tendo a fare lo stesso con Kafka e mi godo sia i frammenti di poche righe sia America, il mio romanzo preferito…
Capisco e penso tu faccia bene. Se uno guarda alla questione non tanto dal punto di vista del lettore, quanto da quello, diciamo, della scrittura, la questione si pone eccome. è lo stesso Cortazar a indicare una grossa tensione tra forma breve e forma estesa (lett a Jean Barnabé, giugno 59 mi pare, in Carta Carbone) – tensione che in Bolaño prende tutt’altra piega. (bella la discussione!)
Mi fai anche venire in mente che America è il testo di Kafka che conosco meno