Non passava giorno senza che io venissi assalita da brividi che mi scuotevano da capo a piedi come una canna al vento. Originati, suppongo, da quello strano demone della nostalgia che tiene in pugno tutti i miei ricordi. Tutto il mio passato di ballerina. E che mi rendeva intollerabile la permanenza in campagna, in un ambiente totalmente all’opposto del mondo artistico da cui io provenivo.
“Il fatto è che bevi troppo, amore, e tremi perché sei un’alcolizzata”, diceva quel sempliciotto di mio marito.
La Casa del Sollievo Mentale di Francesco Permunian è un romanzo che marcia, divaga, si ramifica, e va a impantanarsi in una fanghiglia vischiosa d’incubi; un romanzo bizzarro e inquieto come una nota dissonante in un’aria d’opera, una nota che rimane in testa, martellante, e che alla fine copre tutti gli strumenti, li piega al suo disaccordo, e che stravolge, con lentezza e decisione, tutta la melodia, e si fa disturbante e disarmonica eppure a suo modo limpida.
La storia ha inizio con le strampalate vicende di un gruppo di personaggi attorno al manicomio di una città di provincia per poi stringersi in un buco strettissimo, soffocante come la stanza imbottita di un manicomio e al contempo immenso e labirintico come la più cupa, alienata e intima pazzia.
Le finestre erano chiuse da anni, il portone d’ingresso sbarrato e apribile soltanto dall’interno. Per uscire, sua moglie era costretta a sgusciare da un pertugio che dava sul retro della casa. Al rientro,doveva suonare il citofono e pronunciare, con voce chiara e squillante, la formula semantica Chi non vigila è perduto!
Ombra tra le ombre, Girolamo vagava inquieto nella sua fortezza impugnando una piccola pila che dirigeva con sospetto verso il soffitto e nei cantoni più bui. A rovistare tra sporcizia e ragnatele, titubante eppur smanioso di scoprire chissà quale minaccia, chissà quale macchia o infamia oscura.
La voce narrante è farsesca e profondamente letteraria, duttile e cavernosa, sottile, soave e truce; è una voce che trasuda un dolore vertiginoso, sensibile senza essere concepibile, o lontanamente immaginabile.
Permunian non sembra di quegli scrittori che tengono incollati alla pagina, al contrario è un autore capace di entrare sottopelle, di scartavetrare coordinate e certezze per condurre a un finale stordente, in cui tutto esplode per precipitare verso un nulla cosmico, totale.
L’erba di primavera – come un lenzuolo misericordioso – si nutrì dei morti. L’oblio fu il vero vincitore.
Eppure quando si fa sera e l’aria più fredda scende dai monti, tutti i fili d’erba ondeggiano al vento disegnando sulla pianura un unico volto. Il volto di un bambino che grida ancora nella notte, reclamando indietro la vita.
Ci troviamo davanti a una particolare forma di realismo, un realismo oleoso e appiccicaticcio, febbricitante e spaventosamente lucido, efficace nel rendere (senza descriverlo) lo stato delle cose, inquadrandole con terrifico stupore, palancando lo sguardo del lettore, stimolando in lui una visione spaventosa e assurda.
Francesco Permunian
La Casa del Sollievo Mentale
Roma, Nutrimenti, 2011
pp. 172
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In copertina: Francisco Goya, Están calientes (Hanno caldo), n. 13 dei Caprichos (Madrid, 1799), Museo del Prado.