Che cosa ti è successo? Perché piangi e che cosa c’è lì nel bosco? Cos’è quella cosa che ci insegue? Per favore, smettila di piangere, parlami!
«Vuole ucciderci. Vuole mangiarci.»
Che cosa? Perché?
«Non lo so perché! Ha fame.»
Il tuo vestitino… Perché è tutto così rosso?
Non risponde. Dove l’ho vista prima d’ora? Possibile che anche lei fosse nella caverna insieme a tutti gli altri? La caverna delle ombre.
Le ombre sono tornate.
Non ricordo con precisione il giorno in cui le ho viste per la prima volta. La mia stanza è senza tempo, il mio spazio è il mio confine: come potrei sapere di preciso quando sono arrivate? No, non posso. Ma ci sono. Non sempre, a volte. A volte ci sono le ombre, e oggi le ombre sono tornate.
Hai paura?
Paura? Sì, paura. Paura di loro, del loro silenzio confuso, dei loro contorni sfocati. Ho provato a nascondermi, ma riesco a malapena a muovermi da qui. Come ci sono finito? Domande su domande. Nessuna risposta. I colori delle pareti della mia stanza cambiano in continuazione: sono chiari e caldi quando mi sveglio, si accendono sempre di più fino a quando non iniziano a svanire. Svaniscono nel grigio, il nero li inghiotte. E nel nero arriva la fine.
Ho l’impressione di essere qui da più di quanto non creda. Voglio dire, mi sono svegliato qui dentro, in un giorno senza tempo, ed ero già qui. Da quanto tempo? Chi mi ha portato qui? Questa domanda, chi, è arrivata insieme a loro. Quando ho visto le ombre, lontane, riflesse sul muro di fronte al mio letto, mi sono chiesto se. Sì, se loro. Mi hanno portato qui?
Che cosa senti?
Rumori di macchine che non si spengono mai. Se solo riuscissi a ricordare come ci sono finito, oh Dio, se solo potessi sapere dove mi trovo e perché. Ho pensato a diverse possibilità. Tutte plausibili. Nessuna vera.
Rapimento.
Ci ho pensato, sì. Se devo essere sincero, è quella che mi convince di più. Sono stato rapito mentre dormivo.
Chi ti ha rapito?
A occhio e croce, direi che sono state le ombre. Il che dice tutto e non dice nulla.
Che cosa vogliono da te?
Questo è quello che vorrei sapere. Vorrei sapere cosa devo fare per poter andar via da qui, per essere di nuovo libero. Credo che c’entrino i macchinari in funzione intorno a me. Non proprio intorno a me, non sono nella mia stanza. Devono esserci molte altre stanze in questo posto, di questo sono ormai certo.
Ci sono altre persone qui dentro?
Non lo so. Maledizione, non so nulla! Perché la mia memoria è stata azzerata, me l’hanno rubata! Sono stati loro. Che mi hanno fatto?
Stai piangendo?
Non lo so. Forse. Vorrei soltanto capire.
Capire o sapere?
Non sono forse la stessa cosa?
Come possono essere la stessa cosa?
Credevo che lo fossero. Ma potrebbe non essere così. Capire, sapere. Conoscere. No, non sono la stessa cosa. So che sono rinchiuso in questa stanza, che non posso muovermi dal letto. So che ci sono altre stanze piene di macchine rumorose. So che ci sono le ombre. Non so di preciso se sono dentro o fuori, ma le vedo. Eppure non ci capisco niente.
Pensi che vogliano farti del male?
Del male. Del tipo, ferirmi? Farmi soffrire? Non lo so. Qualcosa mi dice che si prendono cura di me. Mi nutrono. Mi tengono a una temperatura confortevole. Non provo dolore, non sempre almeno. Ogni tanto mi sembra che questa stanza sia troppo stretta per me, mi manca l’aria. Ma poi tutto ritorna come prima.
Vorrei alzarmi. Peccato che non ci sia neanche una finestra qui dentro. Chissà che ore sono, la luce mi sembra piuttosto spenta. Forse il giorno sta per finire.
Stai pensando a lei?
Ne abbiamo già parlato. Non so chi sia lei. Non me lo ricordo. Sono solo delle immagini confuse. Ricordi? Non ci riesco a chiamarli ricordi. Anche se probabilmente lo sono, ma non hanno alcun senso. Ma qualcosa di orribile è accaduto. Nel bosco, sì. Di questo sono sicuro.
Potrebbe essere stato un sogno. Come si fa a capire se qualcosa lo hai vissuto o soltanto sognato? Penso a lei, mi chiedo chi sia. Non so neanche come si chiama. La ragazza nel bosco.
L’allarme. Mio Dio, non di nuovo, no! L’allarme! Sta per succedere, non voglio.
Che cos’è l’allarme?
Non lo so. Inizia con questo suono, questa specie di sirena. La luce se ne va all’improvviso. Si sta restringendo di nuovo. Le pareti mi vengono addosso. E non respiro più. Calma, piano. Ce la farò. Devo solo resistere. Mi sento spezzare, ho paura. La luce. La luce di nuovo addosso a me. La luce fredda. Sono loro, stanno arrivando. Arrivano sempre nella luce.
Devo opporre resistenza. Spingere con le mani contro il muro. Non mi muoveranno da qui. Non mi schiacceranno nelle loro macchine infernali.
Dove vai? Ti prego, aspetta! Non correre, non te ne andare! Voglio solo sapere dove stai andando!
Si ferma. Mi guarda da lontano, la pioggia filtra tra i rami fitti degli alberi. Indossa sempre il suo impermeabile rosso col cappuccio. Il suo viso si perde in un’espressione triste e spaventata: sta fuggendo, ma non da me. Deve esserle successo qualcosa.
Sono lacrime o pioggia? Perché stai piangendo? Che cosa hai visto?
Qualcosa si muove tra i rami. Sento dei pezzi di legno scricchiolare. Lentamente, uno dopo l’altro. Sempre più vicino. Viene verso di noi.
Aspetta!
Ha ricominciato la sua corsa. Non so perché ma devo seguirla. Voglio aiutarla, voglio… Sapere. Capire.
La cosa ha cominciato a correre. Ci sta inseguendo.
«Non fermarti!», mi urla. «Non fermarti o ci prenderà!»
Non mi fermo. I miei passi balzano su rami spezzati, la terra bagnata emana il suo profumo di fiori appassiti. È morto qualcuno, lo sento.
Che cos’è quella cosa? Perché non mi risponde? Corre troppo veloce, non la vedo più. Deve essersi nascosta dietro un albero. Non voglio restare qui da solo. Vi prego, aiutatemi! Qualcuno mi aiuti! Sta venendo a prendermi, sta venendo da me!
Di nuovo qui. Di nuovo nel buio. Nella cella.
Devo essermi addormentato. C’è qualcosa di strano, forse non sono mai stato sveglio a quest’ora. Notte fonda. La mia cella è immersa in un nero viscoso, non riesco a vedere niente. E anche i macchinari mi sembrano… più lenti. Non fanno così tanto rumore, adesso.
Cella. Perché la chiami cella adesso?
Ho fatto un sogno. Anche se non se era veramente un sogno. L’ho vista di nuovo. Ero lì con lei, ma c’era anche qualcos’altro nel bosco… Stava scappando. Mi ha parlato, mi ha detto di correre. E poi… deve essermi successo qualcosa, non ricordo. Potrebbe essere un sogno, soltanto un sogno, ma se fosse qualcosa di più? Se fosse accaduto davvero?
Mi sento molto stanco. Respiro a fatica, l’aria mi sembra calda e appiccicosa.
Pensi che fossero loro?
Nel bosco? Non penso nulla. Ma lei era terrorizzata. Se hanno preso me, forse hanno preso anche lei. Forse si trova in un’altra cella dentro a questo posto. Spero che non le stiano facendo nulla.
E a te cosa stanno facendo?
Questa è una di quelle cose che non so. Non ne ho idea. Esperimenti? Posso pensare a roba del genere, se mi hanno rapito. Mi studiano. Lo so che sono le ombre, le vedo. Non adesso, no. Adesso sono da solo qui dentro, e tutto dorme intorno a me. Ma quella cosa nel bosco… Non credo che fossero loro.
Ma non c’è altro nella mia testa!? Perché così poco, dov’è finito tutto il resto!? Deve pur esserci qualcos’altro, non posso aver dimenticato tutto. Non posso, non voglio crederci.
La conosci?
Non credo di averla mai vista. Ma la sua faccia è familiare. È come se… sì, come se ne avessi sentito parlare. Ma non so chi potrebbe averne parlato. Andiamo! Non ho mai visto nessuno qui dentro, non so neanche se c’è qualcuno. Spero di no.
Dov’è la porta?
Quale porta?
La porta. Se ti hanno portato qui dentro, devono averlo fatto attraverso una porta. Non si può portare senza una porta, si capisce, no?
Non ho visto nessuna porta. Ma non lo escluderei. Voglio dire, sono attaccato qui su questo letto senza coperte, nutrito artificialmente, incapace di muovermi. La porta potrebbe essere dietro di me. Potrebbe essere molto lontana, chissà quanto è grande questo posto!
Ma dici che a volte è stretto.
A volte. Quando suonano l’allarme. Di solito è allora che vedo le ombre attorno a me. Le vedo nella loro luce forte, non è la luce colorata di sempre. È una luce che producono loro. Per farsi vedere. Vengono a controllarmi, lo so. Perché devo essere io a fare scattare l’allarme, in qualche modo. Non saprei neanche come. È allora che le pareti si restringono e succede qualcosa.
Ho fame. Non era mai accaduto prima. Di solito sto bene. Adesso ho fame. Fame. Ti mangio in un boccone!
Che cos’è?
Ecco una risposta diversa dalle altre: non lo so. Una frase che ho sentito da qualche parte. Sono preoccupato. Non dovrei avere fame, non è mai successo. E se avessero deciso di non nutrirmi più? Se avessero finito con me?
E perché sei ancora qui?
Qui dove, maledizione!? Dove!? La cella? Potrebbe essere la mia tomba, per quanto ne so! Hanno finito e mi lasciano morire di fame. Oh mio Dio, non voglio morire. Ti prego, non voglio!
È solo la notte. Cerca di calmarti.
La notte. Sì, solo la notte. Basta che è notte e ti metti a letto, e pensi alla morte. È il momento migliore della giornata per farlo. Certo, ogni momento è buono per pensare a quando moriremo, però se sei sotto il sole su una spiaggia e parli con i tuoi amici, sono sicuro che dirai che non ti importa, che potresti morire in qualunque istante, che non hai paura. Ma di notte hai paura. Non voglio morire.
Perché ti spaventa così tanto?
Non è solo il dolore. È triste. È disperato. Sì, mentre muori non c’è più speranza che le cose possano andar bene. Non hai più la speranza che un giorno sarai felice. E forse sto delirando dalla fame, non lo so. Forse dovrei cercare di dormire ancora, di non pensarci più. Domani le luci torneranno, non avrò più fame. Andrà tutto bene. Devo dormire.
Perché siamo legati qui?
Siamo nati legati. Rilassati e non ti preoccupare.
Vorrei girare la testa. C’è qualcosa dietro di noi.
Dietro? No, non c’è niente lì dietro. Per questo non puoi girare la testa. È tutto qui davanti a noi, non lo vedi?
Cosa sono?
Le ombre. Il mondo.
Dove vanno?
Non lo so. Gliel’ho chiesto diverse volte, credimi, ma nessuna mi ha voluto rispondere. Forse non parlano. Forse non sanno neppure che siamo qui.
Mi fanno male i polsi. Voglio liberarmi da queste catene.
Certo che sei proprio strano, tu! Dico, che cosa ti passa per la testa? Liberarsi. Ma perché parli di libertà, dove sta il problema? Resta insieme a noi, guarderemo le ombre camminare sulla roccia della caverna.
Io non sono nato qui! Mi hanno portato qui! Aiutatemi, vi prego!
Sono nella caverna.
Oh, questa è nuova. Me la spieghi?
Un sogno. Solo un altro sogno. O un altro ricordo. A questo punto non fa più differenza per me. Però comincia ad avere un senso. C’è una direzione in tutto questo, anche se ancora non capisco bene quale. Tutto comincia nel bosco, credo di sì. Perché è da lì che comincia tutto. Ero fuori. Lei era lì.
Perché rosso?
È successo qualcosa. Non a lei. È morto qualcuno. L’ha mangiato. Sta scappando da quella cosa, ha paura che mangerà anche lei. E me. Mi dice di scappare. Altrimenti mi mangerà.
E poi c’è la caverna. Non so come, non so quando. Non sono da solo lì. Ci sono un sacco di persone come me, più di quante ne abbia mai viste prima. Incatenati di fronte alla roccia. È lì che ho visto le ombre per la prima volta. Questo non è un sogno. Ne sono sicuro. È successo veramente, c’erano le ombre. E le luci. È stato prima che mi portassero qui.
Non mi sento bene. La luce è tornata, dovrebbe essere tutto a posto. Ma ho ancora fame. E nausea. Come se mi avessero dato una bella strizzata, come se… Un momento. Che diavolo è successo qui?
Cosa?
Questa parete qui di fronte a me. Avrei giurato che. Non era. Non così. Qualcuno è stato qui dentro. Deve essere così. Mio Dio, sarà stato uno di loro? Che cosa mi hanno fatto? Perché mi sento la testa così pesante?
Cosa è successo nella caverna?
Non me lo ricordo. Ma loro erano lì. Sono stati loro, ormai credo di aver capito. Mi hanno preso nel bosco, devono avermi trascinato fin lì. Non sono solo, lo capisci? C’erano altri insieme a me, altri come me!
Proprio come te?
Erano… diversi, in qualche modo. Non lo so, ricordo di aver parlato soltanto con un tizio lì dentro, ma lui non era come me. Non aveva paura.
Che cos’è questo? No, non di nuovo. È l’allarme, l’allarme! Ma non ho fatto nulla! I macchinari aumentano il loro frastuono, vanno più veloci, sempre più veloci. Calma, niente panico. Non accadrà nulla, come sempre. Non devo avere paura, è soltanto un controllo. Le luci si accendono di nuovo. Devo chiudere gli occhi, non vedo più nulla. Mi fa male la testa, questa maledetta luce…
Sono qui. Le vedo. Attorno a me. Lo sanno che ho fatto scattare l’allarme, sono venuti a vedere che cosa ho combinato. Ma non volevo, vi giuro che non volevo! Perché si avvicinano? Andate via da qui, lasciatemi in pace, lasciatemi solo!
Da solo?
Sì, ho deciso di partire. Non puoi fermarmi.
Non voglio fermarti, ma ti prego, resta ancora qui per qualche minuto, parliamone insieme. Perché vuoi andartene così?
C’è qualcosa lì fuori.
Qualcosa? Fuori? Fuori da dove?
Dalla caverna.
Ma non siamo in una caverna!
Sì invece! Solo perché tu ci sei nato, non significa che questo posto è tutto! Ascolta… Io sono riuscito a girarmi. Lo capisci?
No, non lo capisco. Girarti come?
Ho girato la testa! Non vedi l’uscita se non cambi posizione, capito? È tutto dietro di te, dietro di noi.
Tutto è qui.
Perché ci muoviamo così? Trema tutto, le pareti, il pavimento. La mia cella, sta succedendo qualcosa alla mia cella! Che diavolo avete da guardare!? Aiutatemi, vi scongiuro!
Il rombo dei macchinari. Ecco che cos’è che scatena questo terremoto.
«Devi collaborare adesso.»
Chi è? Chi ha parlato? Sono loro? Che cosa volete da me!? Oh mio Dio, no. Sta succedendo di nuovo. La cella mi vuole schiacciare, mi sta spingendo via. Fatelo smettere! Vi prego, fate smettere questo coso! Non voglio morire, non voglio! Ho paura, non fatemi del male, no!
Non sei sempre stata in questo bosco. E non sei mai stata nella caverna. Perché piangi, allora?
«Ha ucciso…»
Chi ha ucciso chi? Cosa è successo?
«Non c’è tempo adesso, dobbiamo scappare via da qui o ci troverà!»
Come siamo finiti in questo bosco? Perché non smette mai di piovere?
Lo sento arrivare. Fiuta l’aria, cerca il nostro odore. Ci sta cacciando. Siamo la sua preda, siamo il suo bottino.
«Non trattenere il respiro!»
Non voglio trattenerlo. Ma non respiro bene, non ci riesco. Le pareti mi vengono addosso, mi stritoleranno.
È come la caverna. Ma questa non è la caverna. Però adesso ho capito, nessuno è entrato qui dentro, nessuno! Ci sono stato sempre e solo io. Ho semplicemente girato la testa. Ma perché non vedo la maledetta porta!?
«Respira profondamente. Inspira col naso, espira con la bocca. Resta concentrata.»
Parlate con me? Perché parlate con me? Perché restate lì fuori a guardare mentre la pressione mi fa scoppiare la testa!?
Non c’è un’uscita. Perché continui a dire che c’è?
Non capisci. Non puoi vederla se resti così, devi voltarti!
Non posso voltarmi! Sei tu che non capisci, brutto idiota! Questo è il mondo, questa è la vita! Guarderemo le ombre nella luce, sono l’unica cosa che c’è!
Ha smesso. Respira, respira. Ecco, così. La pressione diminuisce, forse sono salvo. Per adesso, almeno. Non riesco a crederci, è stato orribile. Non ce la faccio a respirare bene, l’aria è come bloccata. Deve essersi rotto qualcosa, deve esserci un problema. Perché la mia cella rimane così stretta, perché non ritorna com’era prima?
Non mi credeva. Non credeva a una parola di quello che gli dicevo, che c’era un’uscita, che bastava girarsi. Adesso è tutto più chiaro, forse sono in grado di ricostruire quello che è successo.
Che cosa è successo?
Ho commesso un errore. La ragazzina nel bosco, tutta quella storia. Se non è solo un sogno, be’, allora è stato dopo. Dopo la caverna. Sono stato punito, ora lo capisco. Le ombre mi hanno punito perché ho girato la testa. Perché ho guardato oltre. Perché sono uscito fuori.
Che cosa c’era lì fuori?
Non lo so. Ma deve avere a che fare con il bosco. Mi sono chiesto se l’avevo vista nella caverna, e ora lo so: sì, era lì, era lì insieme a me! È scappata anche lei, prima di me. Forse molto prima. E le ombre hanno sguinzagliato quella cosa nel bosco, ci ha inseguiti. A quanto pare non con scarso successo.
Perché pensi che si tratti di una punizione? E quale sarebbe?
Che razza di domanda. Mi sembra che quello che sta succedendo sia abbastanza per chiamarla una punizione. Sono in trappola, questa è la cella di una qualche specie di prigione! Non so che razza di esperimenti mi stiano facendo, ma è ovvio quello che vogliono fare: mi vogliono morto. Perché io so, io ho visto! Io so che le ombre non sono tutto!
E sono ancora qui. La loro luce è sempre più forte, ma non capisco perché i macchinari non funzionano più. Sento a malapena il rumore di quel tamburo lontano. O forse è un orologio. Non lo so, me ne sto accorgendo solo ora che non lo sento più. Inghiottito in questa cella umida, non ci avevo fatto caso. C’era un ticchettio soffuso, di tanto in tanto diventava più nitido. Come un orologio, ma non è un orologio. Lo so che cos’è, sì. Segna il tempo, dice come ma non quanto. Quanto tempo? Pensavo che non mi sarebbe mai importato. Il come è più interessante, il come dice tutto. Perché non lo sento adesso? Cosa significa? Aspetta! Ecco che ricomincia! È un tic-tac lento. Largo. Adagio. Diventa più veloce, sì, rincorre i battiti del mio cuore, prima o poi li raggiungerà. Il cuore che batte, metronomo di un corpo fatto di sangue. Non dice quanto tempo, dice come. E adesso come non mi interessa più. Voglio sapere quanto tempo, quanto ancora resterò piegato su me stesso come se fossi prigioniero in un bozzolo.
«Respira, non dimenticartelo! Dobbiamo farlo insieme, ci sei?»
Perché mi dite di respirare!? Non ci riesco, dannazione a voi, non c’è più aria in questo buco! Allargate la mia cella, fatela tornare come prima! Sto soffocando qui dentro. La mia testa. Mi gira la testa. Nausea. Mi viene da vomitare.
Chi ha ucciso? Dimmelo, ti prego!
«Volevo solo… Solo andare dalla nonna!»
Non riesce a respirare, i singhiozzi le interrompono il fiato. Cerca di calmarti, ragazzina, dimmi che cosa ti è accaduto! La tua nonna? È lei che ha ucciso? E chi è lui?
«La mia nonna era malata!», urla con tutto il fiato che ha. «Ha preso i suoi vestiti, i suoi occhiali! Oh mio Dio, era così strana, così orrenda…»
Non ho idea di cosa voglia dirmi. Non capisco che cosa ha visto, cosa è successo alla sua nonna. L’ha divorata? E che c’entrano i suoi vestiti?
«Al mio tre!»
Tre? Cosa tre? Devo aver sbattuto la testa. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho mangiato? Non me lo ricordo più, sto morendo di fame. Non mi danno più nulla, ormai hanno deciso. E adesso che cosa…?
La pressione alla testa si trasforma in un dolore indescrivibile. Che cosa mi stanno facendo? Sta ricominciando. Sì, i macchinari hanno ripreso la loro corsa pazza, questo posto sta per esplodere. Esploderò qui dentro. Schiacciato nella mia gabbia come un animale da laboratorio. Ma è questo quello che sono, no? Il loro animale da laboratorio?
Perché non vuoi morire?
Ho troppa paura di morire. Voglio… Io voglio vivere per sempre! Non mi interessa nulla di tutte quelle storie che si sentono in giro, muori da eroe, la morte è naturale e robaccia del genere! Io non voglio morire, non sono un eroe! Sono un maledettissimo topo in gabbia, ecco cosa sono.
La cella ha ricominciato a muoversi. La parete si avvicina verso di me. Mi schiaccerà contro il muro alle mie spalle. Perché devo morire così!? Vi prego, non così! Trovate un altro modo, se per forza dovete uccidermi, non fatelo così! Dio, ti prego!
Dov’è il tuo Dio?
Devi essere impazzito. Che succede se rimani schiacciato contro la roccia?
Non rimarrò schiacciato: te l’ho detto, c’è un’uscita!
Ancora con questa storia assurda. Ascolta, ti do ragione di una cosa: non posso guardarmi indietro. Ma guarda, ehi, tocco pietra alle mie spalle! E lo vedo bene, c’è pietra anche dietro le tue spalle!
Non puoi vedere con chiarezza, magari è soltanto l’ombra.
L’ombra lì dietro di te? Ma ti senti? Le ombre sono lì davanti, guarda! No, lasciatelo dire: dietro di te c’è un ammasso enorme di pietra contro cui ti sfracellerai la faccia nel momento stesso in cui deciderai di andartene. Pensaci, per favore! Non voglio vederti morire così vicino a me!
Ma se dietro di noi non c’è nulla, dimmi allora, dov’è il tuo Dio?
«Devi spingere! Di nuovo, al mio tre!»
Non mi credeva. Voleva che restassi lì con lui, e me lo diceva solo perché credeva che sarei morto. Schiacciato contro la roccia della caverna alle mie spalle. Ed io non gli ho dato ascolto. Avevo paura, sì. Avevo paura che lui potesse avere ragione, che io fossi semplicemente un pazzo visionario. Ma la paura non è stata abbastanza. Non mi ha fermato. Sono uscito da lì, avevo ragione! C’era una porta, c’era una porta!
Forse anche qui dietro di me c’è un’uscita. Ma in questa posizione non riesco più a vederla: mi sento quasi sottosopra, la testa mi sbatte contro il muro. La luce bianca illumina il rottame che la mia cella è diventata: un ammasso di immondizia, un buco che sta implodendo. Una cosa è sicura: se resto qui dentro, morirò schiacciato. La cella mi cadrà addosso, mi avvolgerà e non avrò più aria da respirare.
Ci devo provare. Ho troppa paura ma non posso restare qui!
Addio, amico mio. Se sopravviverò, sappi che non mi dimenticherò di te.
Addio. Vorrei tanto riuscire a convincerti. Vorrei che restassi qui insieme a me. Dopotutto non ce la passiamo poi così male. Ma vedo che niente e nessuno può fermarti.
Sai una cosa? È che non mi basta più.
Non ti basta più che cosa?
Sapere. Sapere che. Che ci sono ombre, che siamo qui nella caverna. Io… Io voglio capire!
E sapere e capire non sono la stessa cosa?
No, amico mio. Io voglio capire perché. Non è come sapere che. È tutta un’altra storia.
«Coraggio! Spinga di nuovo, spinga più forte che può!»
Le ombre continuano a urlarmi. Dicono di spingere. Ma spingere cosa?
La rivedrai.
Chi?
La ragazzina col cappuccetto rosso. Adesso devi fare come ti dicono le ombre. Devi spingere.
Ma cosa posso spingere, dove devo andare? E chi sei tu?
Non risponde. Ovviamente nessuno risponde alle domande più importanti. Spingere, devo spingere. No. Non ci riesco. Sono bloccato qui dentro. È finita, sta finendo. Lo vedo che la parete della cella mi viene addosso, lo so che mi soffocherà, mi frantumerà dentro. Spero solo che non ci metta troppo. Troppo tempo, troppo dolore. Troppi secondi per pensare che sto per morire. Per capire che sto morendo. Nessuno dovrebbe provare una cosa simile.
«Spinga!»
Non sono nato in quella caverna.
«Più forte, ci siamo quasi!»
Non ho mai incontrato la ragazzina col cappuccetto rosso. Ero qui, ero sempre rimasto qui.
Non devi mollare adesso.
Dov’è il tuo Dio? Sì, gli ho chiesto questo. Non lo so dov’è. So dove credevo che fosse il mio.
Sono ancora qui.
Sto morendo.
«Spinga! Continui così, si vede la testa!»
«Un giorno chiesi a mia madre perché aveva scelto un nome così strano. Aristocle.»
«Ah, sì? E che ti ha detto? Guarda che io lo trovo un nome stupendo.»
I raggi del sole cadevano attraverso le foglie disordinatamente sparse sui rami. Non era mai stato in quel bosco prima d’ora, eppure gli sembrava familiare. Sarà che tutti i boschi si somigliano.
«Ha detto che Aristocle era il nome del suo filosofo greco preferito, Platone. Faceva parte della roba che mi leggeva mentre ero ancora nella sua pancia.»
La ragazza rise con un’espressione frizzante. Lo trovava buffo, probabile. Ma c’era qualcosa di gentile nel suo modo di ridere.
«Scusa, non volevo offenderti.»
«Non fa nulla.»
«No, no, davvero. È solo che mi hai fatto pensare ad una cosa.»
«E che cosa?»
«Cappuccetto Rosso. Oh, certo, non è Platone, ma è quello che mi leggeva mia madre mentre era incinta di me.»
Le sorrise e chinò il viso verso il suo, sfiorando le sue guance con le labbra. Era un caldo pomeriggio di fine estate. E la vita non gli era mai sembrata così bella.
***
In copertina: Ernie Gehr, Carnival of Shadows, 2015.