Una sera mi capitò di vedere un film.
Il film mi sconvolse a tal punto da smuovermi un’idea.
Decisi di fare una cosa, e la feci il pomeriggio seguente.
Andai da una certa persona per chiedere un parere su una faccenda che mi stava molto a cuore.
Sapevo che solo quella persona avrebbe potuto aiutarmi (e in qualche modo me ne ero persuaso).
Sarebbe stato davvero possibile farlo? Dovetti insistere non poco per riuscire nel mio intento.
Alla fine, mi giocai la mia carta migliore. Tirai fuori una vecchia fotografia, gliela mostrai e spiegai le circostanze, le ragioni del mio agire e cosa mi aspettavo venisse fatto. Allora?
Forse sì, forse sarebbe stato possibile farlo (lo sapevo!).
Allora l’avrei fatto. Il prezzo sarebbe stato salato, ma non m’importava che di quella cosa, di quell’unica cosa, per me, per una volta.
Fu così che l’atto fu compiuto. In silenzio, nel rispetto del mondo, con la massima professionalità.
Il giorno successivo, come d’accordo, io mi scordai di quella persona e quella persona si scordò di me; avremmo fatto finta di nulla, da quel momento in avanti, come se non ci fossimo mai conosciuti.
La mia vita proseguì con una discreta regolarità. Mi sentivo più sereno, senza sapere bene il perché.
E non me ne importava, dopotutto.
Finché un bel giorno morii.
Accadde all’improvviso, senza alcun preavviso.
Ero in perfetta salute. Nessuno, prima e dopo il mio funerale, riuscì a spiegarsi mai l’accaduto.
A qualcuno però era parso di scorgere a un tratto una donna (ma non c’era da esser certi sulla sua identità) avvicinarsi spedita alla bara e deporvi furtivamente dentro qualcosa.
Si trattava di una fotografia ormai sbiadita dagli anni dove tuttavia si poteva riconoscere ancora il volto di quella che a suo tempo doveva essere stata una ragazzina assai dolce e leggiadra.
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