La parola religione ha origine dal verbo religere che significa guardare con attenzione, aver riguardo/cura, e da re-ligàre, che vuol dire unire insieme.
I due etimi sottolineano due aspetti del culto religioso: il rapporto con la divinità (di cui aver riguardo) e quello con la comunità, tenuta insieme dal comune rapporto con il sacro.
Il prezzo di Dio di Okey Ndibe e I pescatori di Chigozie Obioma raccontano della perdita del sacro e di come tale perdita conduca alla privazione del senso di sé. Che si tratti del mercimonio della divinità in nome della disperazione (Il prezzo di Dio) o della distruzione di una famiglia a seguito di una profezia pronunciata da un fool terrificante e ambiguo (I pescatori), la decisione di recidere il legame con il sacro si rivela sempre gravida di conseguenze nefaste, un sentiero che porta all’inevitabile annullamento, all’alienazione, addirittura all’abiezione.
Utonki! Questo era il villaggio che lo aveva introdotto alla magia della terra, con il suo rossore e i profumi intensi. Ah, Utonki dalla terra rossa! Un rossore surreale, come se tanto tempo fa il suolo avesse pianto sangue.
(Il prezzo di Dio, p. 119)
In verità, lui era un passero; una cosa fragile che non decide il proprio destino. Era stato deciso per lui. Il suo Chi, lo spirito guardiano che secondo gli Igbo tutti possiedono, era debole. Il suo era del tipo efulefu: la sentinella inaffidabile che a volte abbandona il suo protetto e parte per lunghi viaggi o faccende, lasciandolo privo di difese.
(I pescatori, p 151)
Oggetto della narrazione di Ndibe e Obioma è un’epica amara della globalizzazione, vista come appiattimento, conformismo, ipocrita sopraffazione, e causa prima della perdita d’identità, dell’asservimento al denaro, del perpetuo stato di necessità, del vuoto interiore. Si tratta di un’epica che ha un sapore antico, da tragedia greca, da parabola religiosa, da macumba, carica di una sana, necessaria, consapevole e disturbante disperazione; una mitologia annichilente e rigenerante, capace di stupire senza svaccare in un esotismo stantio e già putrefatto in partenza, ma conservando quell’identità altra e misteriosa che caratterizza l’allegoria e il racconto religioso e mitico.
Ndibe e Obioma si aggirano nei pressi della favola (nerissima). Qua non si tratta di rivisitare il mito, quanto piuttosto di scavare fino alle radici del racconto, dell’arte stessa di raccontare. E allora lo smarrimento di Ike, protagonista de Il prezzo di Dio, diventa il nostro, e noi ci riconosciamo in quell’uomo disperato che ha venduto la propria anima per uno status illusorio e insoddisfacente, e che nel tentativo di recuperarla si trova a sprofondare ancora di più nella disperazione, così come facciamo nostro il racconto di Ben, testimone e narratore della catastrofe che distrugge la sua famiglia ne I pescatori.
Si giunge al minimo comun denominatore di ogni cultura, di ogni sentimento e di ogni vita: l’essere umano, i suoi confini e il suo rapporto (religioso) con l’altro (e con l’Altro).
Trasformatosi in Abulu il profeta andava in giro cantando, battendo le mani e scagliando profezie. Scivolava nei cortili coi portoni non sprangati come un ladro, se aveva profezie per qualcuno là dentro. Portava scompiglio ovunque per proclamare le sue visioni, anche ai funerali. Diventò un profeta, uno spaventapasseri, una divinità, perfino un oracolo. Spesso però mandava in pezzi entrambi i regni o si spostava tra l’uno e l’altro come se la divisione fosse una membrana sottile.
(I pescatori, p. 98)
Si buttò sul divano. Fitte dolorose gli attraversavano il corpo e le sue ossa scricchiolavano per la tristezza. Nella testa aveva uno sciame di emozioni, una palude di mangrovie infestata di pensieri ribelli che correvano qua e là. Veniva irriso da un’idea dopo l’altra, tutte un tempo allettanti, ma elusive e capricciose come meteore, prima incandescenti, poi di colpo svanite. E, proprio come una meteora, il fuoco di ogni idea era destinato a esaurirsi presto.
In quell’orgia di pensieri informi, Ike si sentiva avvolto da un vuoto inquietante. La sua mente, adesso, era sì affollata, ma stranamente arida. Era sull’orlo dell’abiezione.
(Il prezzo di Dio, p. 430)
Ne I Pescatori e Il prezzo di Dio la distanza culturale si fa vicinanza emotiva, mistero, e viene messa in discussione la confidenza che abbiamo con noi stessi e con il nostro sentire religioso attraverso voci altre che però sono anche nostre, capaci di stuzzicare corde inquiete forse troppo assopite da un eccesso di razionalizzazione.
Ndibe e Obioma riescono a farci percepire come troppo stretti e aggressivi i nostri confini culturali, esistenziali e soprattutto religiosi, nel senso più lato e laico del termine. E ci fanno venir voglia di esplorare, di scavare nell’altro che è in noi, e, attraverso di esso, guardare fuori di noi con occhi più pietosi e puliti.
Okey Ndibe
Il prezzo di Dio (2014)
Trad. it. di Leonardo Taiuti
Firenze, Clichy, 2015
pp. 440
Chigozie Obioma
I pescatori (2015)
Trad. it. di Beatrice Masini
Milano, Bompiani, 2016
pp. 300
In copertina: Crocifissione, Tintoretto, olio su tela realizzato, 1565 . Conservato nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia.