Alfredo Palomba: Mettiamo subito un po’ di carne al fuoco e partiamo con una doppia osservazione e una doppia domanda. Anzitutto è interessante la scelta, in Trilogia dell’inumano (La Nave di Teseo, 2017) di non seguire la linea cronologica dei tre romanzi usciti in precedenza e ripubblicati in questo colossale volume unico: nella Trilogia il primo romanzo incontrato dal lettore è Contronatura, che mi sembra esplori un ‘primo livello’ di autofiction: qui, il personaggio Massimiliano Parente è l’autore del romanzo La macinatrice (il primo dei tre ad essere stato pubblicato ma il secondo ad apparire in Trilogia, incastonato tra le due autofiction). In L’inumano si mettono in prospettiva sia Contronatura che La macinatrice e si raggiunge un ‘secondo livello’ di autofiction: Parente è l’autore di entrambi i romanzi precedenti e, inoltre, Madame Medusa si rivela un personaggio ‘reale’: Contronatura, dunque, è una sorta di autobiografia romanzata del Parente de L’inumano.
Ora:
1) Siamo di fronte a un ‘percorso’ di approfondimento che da La macinatrice, romanzo del tutto finzionale, porta al disvelamento di un io più ‘privato’ e autobiografico?
2) Che rapporto c’è tra La macinatrice e gli altri due romanzi? All’interno della Trilogia si configura come un polo attorno a cui ruotano Contronatura e L’inumano, una sorta di ‘nocciolo circolare’ (e sappiamo come l’uso del termine “circolare” non sia un caso, parlando de La macinatrice).
Massimiliano Parente: Cito da Contronatura: «Non ho mai scritto una riga autobiografica su di me, neppure questa», perché la scrittura è funzionale all’opera, non alla vita. Quanto a intimo e privato sono parole che per me non hanno mai avuto alcun senso, come d’altra parte l’idea di introspezione. Ho dedicato la mia vita a scrivere le mie opere, non le mie opere a scrivere la mia vita, anche perché sento di non averne mai avuta una.
Sì, La macinatrice è l’ingranaggio romanzesco al centro delle due auto-fiction, come si chiamano oggi (ma allora erano auto-fiction anche La Recherche di Proust o i romanzi di Céline), una sorta di mostro circolare collegato a Contronatura e a L’inumano. La macinatrice porta all’estremo la pornografia dello spettacolo di Contronatura, e anticipa la caduta gravitazionale de L’inumano, lo strappo finale con l’universo simbolico e umanistico.
Alfredo Palomba: Contronatura è un grande romanzo sulla televisione odierna, che dal 2008 non mi pare essere cambiata, se non in peggio. «La televisione di massa si riconosce da questo: tutti se ne lamentano e tutti la guardano»: perché tutti la guardano? Perché ci ostiniamo a guardarla, a guardare?
Massimiliano Parente: Credo che la si guardi perché è l’unica cosa che fa più orrore della vita stessa. Rispetto a un decennio fa è caduta ancora più in basso, almeno quella italiana. Ci sono perfino gli stessi personaggi, con qualche chilo di botox in più. Morti di fama tristi e invecchiati che parlano, gridano, urlano, un circo completamente autoreferenziale. Oppure talk show di cronaca nera, talk show di politica, o talent di canto e ballo. Giornalisti che devono stare sull’attualità con la stessa serietà che un tempo avevano riviste come “Stop” o “Cronaca vera”. Altro non c’è. È la pornografia dell’idiozia.
Alfredo Palomba: Com’è successo che la tua editrice Elisabetta Sgarbi ha deciso non solo di ripubblicare Contronatura (uscito inizialmente per Bompiani) ma di riunire tutti e tre i tasselli di questo ideale trittico? Un’operazione editoriale quantomeno coraggiosa.
Massimiliano Parente: La Trilogia dell’inumano è un’opera unica, che necessitava di uscire in un volume unico. A cose normali, in un paese come l’Italia, sarebbe dovuta uscire postuma. Elisabetta Sgarbi ha deciso di precorrere i tempi senza aspettare la mia morte, e nonostante in passato avessimo litigato pesantemente. Ha un forte senso dell’arte, che la porta a passare anche sopra le questioni personali. Lei stessa, d’altra parte, aveva pubblicato Contronatura, un romanzo che al giorno d’oggi richiede molto coraggio per essere pubblicato.
Alfredo Palomba: Immagino che tu non abbia toccato nemmeno una riga dei tre romanzi, per questa nuova edizione. Cosa pensi dei rimaneggiamenti? Perché, ad esempio, uno scrittore come Aldo Busi sente l’esigenza di sfornare diciassette versioni de Seminario sulla gioventù? Da scrittore, la sola idea mi farebbe star male fisicamente.
Massimiliano Parente: Ho ritoccato poche cose, personalmente sono contrario a tornare sopra opere già scritte e con una loro storia, si rischia solo di rovinarle. Di Busi preferisco di gran lunga la prima versione di Seminario sulla gioventù che le successive. Ma la stessa cosa vale per Arbasino. Ti faccio un esempio. Nella prima versione di Fratelli d’Italia, durante il viaggio a Napoli, il protagonista dice: «Commedia dell’Arte? No, grazie, mi fa vomitare». Nella terza riscrittura dice: «Commedia dell’Arte? No, grazie, mi fa eruttare sul Vesuvio». Ecco, la prima era più efficace, più diretta. Io rimasi colpito perfino dalla lettura del Fermo e Lucia, infinitamente più denso de I promessi sposi! Però Manzoni lo capisco, se non riscriveva I promessi sposi che cazzo faceva?
Alfredo Palomba: E tuttavia, ha ancora senso credere ne “La Grande Opera”, in una natura intoccabile, vagamente venata di sacralità, di un’opera scritta? Alla luce anche di un romanzo come L’inumano (nel quale, peraltro, getti simbolicamente la Divina Commedia nell’Arno) che senso ha parlare ancora di Opera, di Grande Romanzo etc.; per esteso, di una letteratura che non sia mero intrattenimento e basta?
Massimiliano Parente: Per quanto mi riguarda sì, le mie opere sono intoccabili perfino da me, che conto infinitamente meno di loro. Le ho scritte, ci sono stato dentro anni, ho vissuto dentro di loro, ora non sarei più in grado di farlo, non ho la forza, non ho l’energia, non ho neppure la competenza per parlarne. La letteratura, in generale, mi interessa quando ha anche un valore epistemologico, cosa che raramente ha perché i letterati sono chiusi in se stessi, non sanno un cazzo, quali orizzonti vuoi che aprano? E non vale neppure la distinzione tra intrattenimento e letteratura alta, perché a volte gli schemi saltano. Per esempio Origin, di Dan Brown, è una grande opera, un’opera d’avanguardia, che i critici e letterati non leggono perché pensano di essere più alti, invece sono solo una retroguardia senza speranza.
Alfredo Palomba: Ricordo una intervista di alcuni anni fa in cui dicevi di essere «totalmente infantile». D’altro canto la passione per i supereroi, le action figures in bella mostra nello studio, le tremende t-shirt che indossi la dicono lunga: che peso ha la dimensione ludica nella tua vita e che peso, invece, ha nelle tue opere? E, soprattutto, vuoi deciderti o no ad accettarmi come amico sul profilo della Play Station 4?
Massimiliano Parente: Nelle mie opere l’ha avuta dopo la conclusione della Trilogia, con Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler e L’amore ai tempi di Batman. Avevo una vena comica che potevo e dovevo liberare solo dopo aver portato a compimento quella tragica (sebbene molti punti della Trilogia siano tragicomici), e mi sono divertito molto a scriverli. O meglio, più di altri, perché scrivere non è mai un divertimento, è disciplina, rigore, vivere solo in funzione di quello che stai scrivendo, anche quando stai scrivendo qualcosa che fa ridere. Per il resto rivendico il diritto di essere del tutto infantile semplicemente perché me lo posso permettere. Ti ho accettato sulla Playstation, contento? Guarda che poi ti faccio il culo.
Alfredo Palomba: Vedremo.
«L’uomo ormai è un virus di cui è affetta anche la sinistra: non si trova più un ateo, un materialista storico né universale; perfino i comunisti, passando per l’egualitarismo evangelico, sotto sotto preferiscono rivolgersi a un sopra, alzano gli occhi al cielo, credono ci siano un sotto e un sopra. Se gli parli di cattolicesimo fanno le smorfie e si appellano allo spirito laico della Rivoluzione francese, ma se gli parli di Islam scatta il senso di colpa, il rispetto per le religioni, o addirittura l’adesione istintiva, incondizionata, perché l’Islam è comunque contro lo spirito materialista, consumista e ateo degli Stati Uniti d’America. Cosa che tra l’altro capita anche ai migliori fascisti.»
Com’è che quelli di destra ti considerano un mezzo comunista e quelli di sinistra ti considerano un mezzo fascista?
Massimiliano Parente: Perché la destra e la sinistra viaggiano ancora su schemi a cui non corrispondo. Per esempio sono un libertario, sono per i diritti civili degli omosessuali a cui dovrebbero consentire anche di adottare i bambini, sono per il testamento biologico e l’eutanasia, tutte cose di sinistra, in teoria. Ma sono anche a favore del capitalismo e del consumismo, e questo viene visto come di destra. Sono ovviamente contro ogni forma di religione, e questo non piace né alla destra né alla sinistra. La sinistra ha sposato il relativismo culturale, per cui rispetta le culture, mentre a me le culture mi fanno schifo. Cosa significa rispettare le culture? Se un islamico impicca un omosessuale qui è un assassino, se lo fa in Iran va rispettato perché è la loro cultura? Ci sono giornaliste italiane che intervistano un imam e si mettono il velo, per rispetto, ma vaffanculo. La destra invece ha il problema del tradizionalismo, dell’essere legata ancora al cattolicesimo, sebbene questo papa non gli piaccia, perché dice cose cristiane. Tipo di dare libero accesso agli immigrati, lo Ius Soli, ecc. Il cattolicesimo si è sempre nascosto dietro la propria ipocrisia, a un cattolico non puoi toccare Gesù Cristo, il personaggio del loro best seller fantasy, ma nessuno segue le parole di Cristo, e cioè: dài da bere agli assetati, dài da mangiare agli affamati, condanna la ricchezza e il profitto, ecc. Te lo immagini Cristo che nel Vangelo dice fermate i barconi? In teoria sono cose di sinistra, il cristianesimo è molto più estremo del comunismo, ma la destra, e non solo quella italiana, ha sempre preferito credere alla Chiesa come un’istituzione conservatrice e reazionaria.
Alfredo Palomba: In che senso sei «a favore del capitalismo e del consumismo»? Voglio dire, viviamo in un’epoca di per sė consumistica e a meno di non imitare Unabomber, siamo tutti più o meno consumisti. Però condividerne i presupposti tout court?
Massimiliano Parente: Sono a favore del consumismo perché consumare mi sembra una delle poche cose divertenti che si possano fare. Inoltre il consumismo si regge su un consumatore da una parte e un produttore dall’altra, può funzionare solo se l’economia va bene e entra in crisi se l’economia va male. Più la gente ha soldi da spendere, e li spende, meglio funziona il sistema. Ovviamente in Italia non c’è mai stato il consumismo ma solo la critica al consumismo. Preferiamo pagare il 60% di quello che guadagniamo allo Stato. Non per altro i nemici del consumismo sono sempre stati gli statalisti: comunisti, fascisti, democristiani, inculcando l’idea di una massa stupida che compra perché condizionata dall’alto. Fosse pure così, per consumare devi avere soldi, e se non li hai ci rimette pure chi vuole farteli spendere per guadagnarci.
Alfredo Palomba: Di recente hai dichiarato su Dagospia che non avresti più scritto romanzi. Confermi? Nessun nuovo progetto dopo L’amore ai tempi di Batman? La piega comedy presa dagli ultimi due romanzi è sembrata a molti – Crapula compresa – davvero interessante.
Massimiliano Parente: Credo di aver scritto tutte le opere che volevo scrivere e avevo la forza di scrivere. Sto preparando un libro nuovo per Bompiani, che uscirà a marzo, ma non sarà un romanzo.
Alfredo Palomba: Cosa pensi dell’ostracismo nei confronti di Kevin Spacey e Louis C.K. e, in generale, del clima post-Weinstein? La domanda fa pendant con l’argomento che va per la maggiore sulla tua bacheca Facebook, naturalmente.
Massimiliano Parente: È una follia collettiva, una psicosi di massa, un delirio femminista trinariciuto, una vergognosa caccia alle streghe mediatica che con Louis C.K. è diventata perfino una caccia alle seghe. Si scambia per coraggio l’esibizionismo di chi non è riuscito a far carriera e spera di farla così. Tra l’altro è una situazione che umilia anche le donne intelligenti, perché c’è differenza tra una vittima e il vittimismo di convenienza. La cosa paradossale è che si sono scusati perfino loro, la dichiarazione di Louis C.K. è patetica. Invece è stato bravo Tornatore, che ha querelato chi lo ha accusato di molestia.
Alfredo Palomba: Trovo peraltro che lo scrittore – il vero scrittore, semmai questa definizione significhi qualcosa – sia una curiosa specie di molestatore. Che ne pensi?
Massimiliano Parente: Uno scrittore dovrebbe se non altro molestare i cliché e i luoghi comuni della parola.
Alfredo Palomba: Credi che la figura dello scrittore meriti una qualche forma di considerazione sociale? Serve a qualcosa, uno scrittore?
Massimiliano Parente: Credo che di uno scrittore contino soprattutto le opere, quando ci sono. Oggi sono tutti scrittori, basta pubblichino un libro o un romanzino. Anzi non scrittori, ma “e scrittori”. Critici e scrittori, giornalisti e scrittori, cantanti e scrittori, attori e scrittori, blogger e scrittori, tutti qualcosa “e scrittore”. In Italia più li vedi in giro, a presentazioni, convegni, conferenze, premi, conventicole, meno sono scrittori, infatti non hanno opere, solo tentativi più o meno pretenziosi di narrativa, spesso fallita anche in quanto narrativa, perché perfino Sophie Kinsella o Patricia Cornwell sanno mettere su strutture romanzesche più solide.
Alfredo Palomba: Qual è la situazione della letteratura (e della critica) in Italia? È cambiato qualcosa rispetto agli strali di Parente di nessuno? Hai ravvisato spunti interessanti? C’è ‘speranza’, se non d’altro, di leggere qualcosa di realmente buono in questa fine anni Dieci?
Massimiliano Parente: La critica non esiste più, è stata sostituita dai giornalisti, che alla fine scrivono meglio dei critici e sono più utili. Ci sono vecchi tromboni, come Alfonso Berardinelli, e giovani trombette, come Gilda Policastro, ci sono blog come Nazione Indiana o Minima&Moralia che sembrano circoli di parrocchia o centri sociali, lobby di zombi in disfacimento e lobby di piccoli sfigati senza talento né una visione moderna né l’umiltà di vagliare veramente quello che si produce, che dovrebbe essere il loro compito, e ciascuno di loro porta avanti i propri simili, quindi poca roba. Talvolta, tuttavia, resto stupito da molti giovani di talento, ho letto saggi sorprendenti di studenti con cui sono anche entrato in contatto, e magari scrivono su blog o siti letterari (come Crapula, per esempio) fuori da ogni consorteria, con un forte spirito critico e molta competenza, ma purtroppo che futuro possono avere? Dove? Tra pochi anni non esisteranno più neppure i quotidiani.
Alfredo Palomba: Mi hai fatto tornare in mente la recensione di Goffredo Fofi del film Dunkirk, uno dei commenti a un film più stucchevoli che abbia mai letto.
Massimiliano Parente: Tremendo.
Alfredo Palomba: «Ho una certa attrazione per i luoghi di una città che potrebbero appartenere a qualsiasi città: capannoni di lamiera, zone industriali, case dormitorio, parcheggi desolati mi gettano in uno stato di totale sconforto e euforia.»
In effetti, l’ambientazione cittadina dei tuoi romanzi non pare ricoprire un ruolo fondamentale: è più una serie di sfondi, un palcoscenico abbozzato. Spassosissimo, invece, un tuo vecchio articolo in cui descrivevi nei particolari molti angoli di Roma, mentre andavi a caccia di Pokémon con lo smartphone. Ci sono posti a cui sei particolarmente legato? Non c’è, dunque, un vero e proprio rapporto coi luoghi, nei tuoi libri?
Massimiliano Parente: Non sono legato a nessun luogo in particolare, ma non potrei mai vivere in campagna, la natura mi mette angoscia, il pianeta Terra anche, l’Universo peggio ancora. Mi piace frequentare i bar, fare un paio di aperitivi a settimana con i pochi amici che frequento, anche se ormai passo la maggior parte del mio tempo a casa, a volte non metto piede fuori per giorni. Per fortuna ci sono sempre molti libri da leggere, e hanno inventato Netflix e la Playstation.
Alfredo Palomba: Che evoluzione c’è stata, se c’è stata, nella tua scrittura e nel tuo immaginario, da Incantata o no che fosse a L’amore ai tempi di Batman, passando per i romanzi che compongono la Trilogia dell’inumano?
Massimiliano Parente: È una domanda molto complessa, e sarebbe troppo lungo rispondere in maniera esaustiva. In linea di massima sono passato da una dimensione puramente letteraria, quella dei primi romanzi, alla Trilogia, dove volevo inglobare tutto, fino all’estremo. Lavorando alla Trilogia è avvenuta una frattura, quella col mondo umanistico, che però ho potuto rappresentare proprio attraverso la letteratura. La Trilogia è una mostruosa opera letteraria contro la letteratura. Con Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler e L’amore ai tempi di Batman avevo bisogno di alleggerire, di uscire a prendere una boccata d’aria dopo anni di clausura, forse di dire le stesse cose utilizzando la comicità.
Alfredo Palomba: Ti sei pentito di aver accettato quest’intervista?
Massimiliano Parente: Sì, come sempre quando rilascio un’intervista, perché ho sempre l’impressione di essere di troppo rispetto alle mie opere, di togliergli qualcosa parlandone, di non c’entrarci nulla. Le ho scritte io, ma loro esistono e continueranno a esistere senza di me. Anche se finiranno anche loro. Un miliardo di anni al massimo, e niente ci sarà più su questa Terra. E più avanti, con la morte termica dell’Universo, non ci sarà più niente di niente, nessun posto, nessun luogo, nessun pensiero. Come se niente ci fosse mai stato. Però, mentre ti dico questo, smetto anche di pentirmi. Nel senso, chissenefrega.
(Foto di copertina di Giorgio Serinelli)