Presentazione della traduzione francese di The medium is the medium: tauthologies of the end of the world di A.R. Shields presso la libreria Shakespeare and Company di Parigi, lì 3 giugno 20**, media (e traduce dall’inglese laddove necessario) Marc Prêt, giornalista presso Le monde des livres e Le monde diplomatique.
Marc Prêt: È un grande onore averla con noi oggi, Mr. Shields. Il suo The medium is the medium è un libro seminale e necessario – per questo, siamo innanzitutto felici che l’opera sia stata infine tradotta in Francia. Ci può dire, per rompere il ghiaccio, qual è stata, e com’è stata, finora, l’esperienza del libro al di fuori del Regno Unito?
A.R. Shields: Grazie Marc. Parigi, ogni volta, è come un tuffo in un passato che non ho mai vissuto, che avrei voluto vivere a ogni costo – sono felice come un bambino, qui. Rispetto alle edizioni straniere del libro: pur non trattandosi propriamente di finzione letteraria, lo stile e il registro di The medium is the medium sono, come dire, particolari: c’è un grado di astrazione piuttosto alto, questo è vero, che rende le immagini in qualche modo universali (se per universo intendiamo l’occidente); allo stesso tempo, parte della ricerca è consistita nell’affondare negli aspetti peculiari delle tecnologie più recenti: il modo in cui forgiano un linguaggio nuovo, sintetico, certo legato ai dispositivi sui quali si svolge, ma al contempo fortemente invischiato nel registro basso della lingua, nella sua dimensione più familiare e locale, nel suo campanile, per così dire. Per questo motivo, ho cercato di seguire e correggere e dare indicazioni, di essere presente durante il processo di traduzione, ad esempio per le edizioni tedesca e spagnola – un caso a parte è quella statunitense, in cui si è preferito aggiungere note e glossari. L’edizione tedesca è stata un incubo (ride, ridono tutti in sala compreso Prêt, di riflesso). Di contro, lo dico senza piaggeria, assistere al farsi dell’edizione francese è stato molto gourmand: si è creata, con la traduttrice M.me Gouget che ringrazio, una relazione di grande intimità speculativa; dai nostri scambi, dalle sue domande, ho imparato molto io stesso: sul libro, sulla Francia, sul mondo là fuori.
MP: (fiero) Ecco, verremo più avanti al mondo là fuori come dice lei, agli eventi accaduti in seguito alla stesura del libro – che il libro in qualche modo sembra anticipare. Vorrei invece farle ora una domanda più concettuale – e campanilistica, allo stesso tempo, se possibile: la Francia è il paese per eccellenza dell’intellettuale impegnato; come si declina questa figura nell’era delle tautologie della fine del mondo?
ARS: (imbarazzato) Vede Marc, il fatto è che, da un lato, la nostra relazione con le cose si fa più sofisticata: noi arriviamo a osservare nel macro e nel micro con una profondità di penetrazione mai vista prima. Questa profondità, allo stesso tempo, ha una natura decisamente tecnologica: più si avanza con lo sguardo, più ci si allontana dalla sorgente, dai mezzi con cui è possibile osservare una qualunque sorgente. L’idea, oggi, non dico di dominare il tutto ma di abbracciarlo per intero e dunque di incidere in qualche modo su di esso, col discorso dimostrativo, col caro logos, è più che un’illusione: direi quasi che è un tratto patologico, un’infrazione grave del principio di realtà. Io credo, sempre di più, nel diletto, nel piacere di imbastire un discorso di carattere qualitativo-speculativo, nel capriccio. Non a caso oggi la distinzione tra finzione e saggio, in una mente sana, è abolita. Ecco: l’intellettuale del nostro tempo, se esiste, è un uomo capriccioso, in preda alle proprie associazioni come alle visioni di una sostanza psicotropa; è un addicted del logos. Più di ogni altra cosa, egli parla per sé e per nessun altro.
MP: Se è così, se viene meno la capacità di incidere e modificare la realtà, come spiega allora le varie istanze in cui il libro sembra descrivere, se non proprio anticipare, alcuni degli eventi recenti accaduti a distanza di più di un anno dalla sua pubblicazione? (al pubblico in sala) On va revenir sur cela plus tard.
ARS: Sono scommesse, caro Marc, scommesse fondate su determinate tendenze – trends di lunga durata, che riguardano tanto variabili socio-demografiche come fattori economici, produttivi e infrastrutturali. Non voglio dire, con questo, che il discorso speculativo non possa avvicinarsi a descrivere o afferrare determinati fenomeni nell’intimo. È l’inverso, ed è una questione di filosofia trascendentale: il discorso non deve più pretendere di avere una relazione biunivoca e privilegiata con le cose là fuori, deve tenere bene a mente i propri limiti, che sono neurofisiologici, evolutivi, cognitivi. Il pensiero, se vogliamo usare un’altra categoria decaduta nel ventunesimo secolo, deve rappresentarsi come un processo relazionale e performativo, in qualche modo sommamente politico.
MP: In che senso politico?
ARS: Nel senso dell’interferenza, del disturbo, della pagliacciata. Tanto più è autorevole quanto più è, intimamente e per principio, esautorato.
MP: (Pausa: annota) E veniamo dunque al succo: la figura della tautologia. Cosa ne è del mondo là fuori nel dilagare del digitale e del virtuale? C’è ancora un là fuori?
ARS: Sì e no: se c’è ancora, è che c’è sempre stato; se non c’è più, è che non c’è mai stato. Io propendo per la seconda, anche se la prima non è meno vera e si riferisce a una precisa strategia evolutiva, l’illusione… Vede (si ferma: esercizio performativo) la cosa è più complessa e allo stesso tempo più semplice di quanto sembri. Ad esempio: lo scarto tra analogico e digitale è una lieve differenza di grado, non di più. Cosa vuol dire? Ci sono almeno due aspetti da considerare. Da un lato il passo della tecnologia è in qualche modo costante: quanto più si approfondisce lo sguardo, tanto più esso diventa astratto, distante dall’oggetto osservato – è l’obliterazione della sorgente della cose là fuori, per vederle con più nitidezza. Dall’altro mi pare che l’incrocio tra neuroscienze e teoria dell’evoluzione abbia finito per scardinare il fondamento su cui l’uomo ha costruito il mondo. È qui che viene meno il principio di ragione per trasformarsi nella più sofisticata delle tautologie: si è pensato per secoli che le cose là fuori avessero delle qualità intrinseche – i colori, ad esempio; poi, in modo più sofisticato, l’estensione spaziale e la dimensione temporale. Oggi possiamo dire, senza essere presi per guru – o meglio, sono le scienze a dirlo, l’insieme delle discipline sperimentali e teoriche – che la chiave è più dentro che fuori: è il nostro cervello a modellarle, con i modi che gli sono propri, modi fornitigli, è il caso di dire, attraverso vagabondaggi biochimici più che millenari. Con questo, è l’idea stessa di universale a vacillare e decadere, in favore di una verità di relazione, una relazione di semplice, essenziale ambiguità: la tautologia. Più che illusione, il mondo là fuori diviene immagine – ed è qui che, a mio avviso, la fioritura del digitale e del virtuale diventano epocali.
MP: In che modo?
ARS: Quando si criticano, ad esempio, i ragazzini perché passano troppo tempo rinchiusi nei giochi, le facce concentrati sugli schermi, o i loro tutori perché glielo lasciano fare, si dice di loro che sono alienati. Ecco: alla lettera, ogni uomo è alienato nella sua scatola cranica. L’ipertrofia dell’immagine nell’era digitale risponde, in qualche modo, a uno dei più epocali ribaltamenti concettuali della storia umana. L’attività in virtuale allora assume tratti intimamente, quasi ingenuamente veri. A rigore di logica, arare i campi non è più reale che scopare in realtà virtuale.
MP: Certo, però in un caso i semi finiscono nella terra e diffondono, ricreano la vita. Nell’altro caso mi pare più difficile.
ARS: Lei è contrario alla masturbazione, Marc? (La sala esplode in leggera differita). Non voglio certo dire che questa svolta, questo approfondimento e allontanamento di carattere tecnologico siano neutri. Al contrario: è proprio qui che si gioca l’aspetto più interessante, quello su cui ho concentrato il mio sguardo. D’altra parte tutto il resto lo ha detto la scienza col suo presunto fare esatto.
MP: E sarebbe?
ARS: Un affinamento, uno strappo, una mutazione del desiderio, dei suoi orizzonti, degli orizzonti del suo appagamento. Si immagini una sonda – a tutti gli effetti, la sonda del desiderio – che si inabissa tra i tessuti neurali: se l’immagine domina, desidera sempre più il suo simile – meno corpi organici complessi, più pixel. È l’idea stessa dell’eros, del sesso, dell’attrazione che sta cambiando sotto i nostri occhi.
MP: (rimugina, rumina) È uno scenario da… fine del mondo psichica…
ARS: Voilà: io sostituirei soltanto fine del mondo con fine di specie per essere precisi – e anche qui avrei i miei dubbi. Certo si potrebbe dire, per tornare all’argomento di cui discutevamo prima, che semplicemente la fine è la fine. (A.R. Shields ridacchia al suo motto di spirito. Un uomo e una donna, dalla platea, si alzano visibilmente seccati: strisciano le sedie di metallo all’indietro per farsi spazio, vengono fuori sbattendo contro le gambe e i piedi degli individui seduti nella stessa fila. A un passo dall’uscita, l’uomo si volta verso A.R. Shields per mimare un pompino con la mano destra a cilindro e la bocca ovale; la donna ride e lo trascina fuori sbattendo la porta. Shields li benedice con un movimento sincronizzato del collo e della mano destra.)
MP: (si sforza di restare impassibile o di sembrarlo) Molto, molto interessante. Accennavamo prima ad alcuni fenomeni che il suo libro pare aver anticipato. Mi riferisco, in particolare, all’inglobamento da parte di FAME di varie piattaforme social, per costituire quello che lei ha descritto come l’imbuto unico; e, forse in maniera più significativa, le sue riflessioni sulla celebrità in relazione al fermento dell’opinione pubblica in seguito ai rapimenti di VIPs e all’Operazione Plato[1].
ARS: Certo, mi pare il momento giusto per divagare. Rispetto alla prima: il capitalismo nordamericano tende alla concentrazione e all’oligopolio, si tratta in questo caso di semplice analisi econometrica. Rispetto alla seconda, rimando a una bella frase dell’odiato Hausmann: “i famosi sono icone, vita sublimata, pura materia psichica, e come tali non possono essere eliminati senza generare un cortocircuito nella macchina pensante della moltitudine.”[2] Mi sono limitato a registrare una tendenza simile, tra l’altro già centrale nella critica classica ai mass media del ventesimo secolo.
Prêt si schiarisce la gola per annunciare il rituale primo giro di domande del pubblico. Shields lo anticipa e si esibisce, in un francese traballante, in un’interferenza; dice: “Grazie per la vostra attenzione finora, spero di non essere risultato troppo masturbatorio. Concedetemi ora, ve ne prego, il tempo di una sigaretta, devo ricaricare le sacche della macchina pensante.” Estrae un pacchetto di Camel Strong Natural Flavour dalla tasca della camicia con la destra; con l’altra dà un buffetto sulla spalla di Prêt e si avvia fuori. Prêt annuncia una breve pausa, avverte il pubblico di preparare le domande per l’autore; più avanti, dice, si procederà alla lettura di passi scelti dall’edizione francese e alla firma delle copie, per chi lo volesse. A.R. Shields prende l’uscita; gli astanti, in piedi, gli fanno spazio, poi cominciano a vagare per la libreria. Due ragazze avvicinano Prêt per chiedergli chi fosse mai l’odiato Hausmann e Prêt, un occhio fisso sulla porta, si vede costretto a imbastire una digressione sulle relazioni tra i due semiologi, sulla scuola francese, quella tedesca e infine quella angloamericana; chiude di colpo: potreste chiedergli di Kidnapping[3], conoscete l’app? Si scusa per l’interruzione improvvisa e si avvia alla porta. Fuori, vede la folla scorrere per ranghi ora meno densi ora più serrati;si ritrova fermo a osservarli nella loro presunta alienazione: vagano nella notte della metropoli come si è sempre vagato, da che mondo è mondo. Cosa cambia, seppure qualcosa cambia? Attende ancora; valuta per un momento la necessità di perlustrare il quartiere, di voltare l’angolo, di chiamare o scrivergli. Torna dentro, annuncia: l’autore è andato via; per chi volesse restare, leggeremo dei passi del libro bevendo Chablis.
[1] Si verificano in effetti, un mese prima della presente, due ondate di rapimenti che coinvolgono, in vari paesi, celebrità dello show-business, della ricerca scientifica, dell’attivismo civile, dello sport. La task-force dei Venti, istituita nel quadro dell’Operazione Plato, dichiara chiuso il caso tre giorni prima della presente, con l’arresto di Sigfried Bonanno e Ulrica “Lou” Von Mayer, fondatori e direttori di L’empire, webshop fetish operante nel dark web, rei di sequestro di persona, commercio illegale e pirataggio informatico.
[2] http://www.crapula.it/caccia-allidolo/
[3] http://www.crapula.it/caccia-allidolo/