Quando si è nel cuore stesso della vita è impossibile riflettere. E io voglio riflettere, valutare il più esattamente possibile questa strana cosa che mi sta accadendo, riconoscere i miei stessi segnali, compensare la mia mancanza di gioventù con un eccesso di consapevolezza.
Leggendo La tregua di Mario Benedetti, ci si domanda che cosa sia la consapevolezza e che cosa significhi essere nel cuore della vita: si ha l’impressione che le due cose coincidano in un sentire completo, in uno di quei momenti, o periodi, in cui tutto appare magnifico e semplice perché siamo presi dal nostro stare nel mondo, immersi nel flusso delle cose.
La relazione amorosa con la giovane collega Avellaneda è per il protagonista Martín Santomé occasione per riscoprire se stesso, per riesaminare la sua vita e assaggiare l’ebbrezza della precarietà, raggiungendo vette estatiche ma anche voragini di dolore profondissimo.
Santomé impara che la vita non perde la sua asprezza solo mettendola in discussione, e che la bonaccia non esiste, perché il mare è sempre agitato e il tempo è sempre instabile: la calma piatta è un’illusione che nasce dal trincerarsi dietro le convenzioni e l’abitudine, perdendo il contatto con chi si è.
La tregua è un romanzo che onora la vita perché più di tutto ne celebra le asprezze e il mistero, e insegna che senza il dolore non vi può essere altro sentimento, che la sofferenza è meglio di una tranquilla apatia e che ogni gioia ha un prezzo. Benedetti ha il coraggio di non farla facile, o, peggio, edificante: la parentesi stupefacente che rivoluziona la vita di Santomé non nasconde il suo lato devastante, perché il vivere non è cosa per anime molli, e perché per vivere ci vuole innanzitutto coraggio.
È evidente che Dio mi ha riservato un destino oscuro. Non proprio crudele. Semplicemente oscuro. È evidente pure che mi ha concesso una tregua. All’inizio mi sono rifiutato di credere che potesse essere la felicità. Mi sono opposto con tutte le mie forze, poi mi sono dato per vinto, e ci ho creduto. Ma non era la felicità, era solo una tregua. Adesso, sono nuovamente preso dal mio destino. Ed è più oscuro di prima, assai più oscuro.
Mario Benedetti ci lascia assieme al suo eroe davanti a un abisso, e, ancora una volta, tutto viene rimesso in discussione, in un finale che non smentisce quanto raccontato in precedenza, ma ne mostra il lato oscuro, e che quindi ne dà conferma. Perché la vita accade, ma quel che ne facciamo è, e sarà sempre, responsabilità nostra.
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Mario Benedetti
La tregua (1960)
Trad. it. di Francesco Saba Sardi
Roma, Nottetempo, 2014
pp. 241