Voi sapete cos’è la stanchezza? E non ditemi che inizio sempre con le domande, perché è l’unica maniera che conosco.
Tutti questi crapuli, come vogliono che io stesso li chiami, mi hanno imposto – Agathe su tutti – di lasciarli un po’ in pace. Vogliono diffondere adesso, far viaggiare O Metis nel grande calderone a rete della Rete. Andate, disperdetevi, ma quanto basta! Misura, muscoli e tecnica.
Mi hanno chiesto formalmente una tregua. Quijano – cui la malinconia talvolta strappa le orecchie dal cranio – ha deciso il luogo. Alfahridi ha iniziato a esultare, neanche avesse vinto le Finals con i Lakers. E Agathe… se avessi tempo andrei a cercarla. Dunque, dicevo il luogo (questa parola messa un po’ dovunque, come se fosse fondante): il Sarno, il fiume infernale. Quì s’è stipulato quel patto (quanto vale una stretta di mano? La scienza del vero nasce per difendere il falso) – un patto, dunque: lasciamoci in pace per un poco, il tempo di riprendere il fiato, tirare le somme, andare errando tra le cose. Per il polemos ci vuole la grinta prima di tutto.
Questa tregua di due settimane (Agathe intendeva quattro, Fahridi una e Quijano era già disperso col Cane per le valli fangose), stipulata il 24 settembre 2013 intorno alle 23:00 – sta per finire. In realtà mi dicono già sia finita. In pratica, si ricomincia: già si lotta – per l’idea della copertina che assilla Agathe dal 2007, e il tema che Chiaranera ha già pensato di declinare così o colì, Fahridi stanotte m’ha mandato il suo primo pezzo (una traduzione da Ricardo Piglia) mentre Quijano, in questo preciso istante, beve dall’emozione. A giorni partiranno piccioni, raccomandate e notifiche digitali per acchiappare i collaboratori.
Io, inutile dirlo, non sto nella pelle (quella mia pelle di talpa alla glicerina): ci sono cose che vanno ancora discusse, il filo rosso da sistemare (da nascondere) per bene. L’impressione – più un pregiudizio che un giudizio – è che O Metis III (Febbraio 2014) sarà un passo più vicina alla sua forma propria. (Dico questo e il Cane dissente, mi fa: “Filologo, la tua forma più propria è il silenzio”. Ed io a lui: “Mi consenta, cinico, quella è la sua”. E così, andiamo avanti a strappi, a botte, come ogni endiadi che si rispetti.)