Viene fuori, in quesit ultimi giorni, la questione di una poetica. Da più parti se n’è parlato, nei modi della tecnologia se n’è parlato. Fatto che ha spinto me e Fahridi a porci la questione, con la premessa che una poetica è sempre e solo una libreria! O un catalogo multimediale – che i tempi corrono! Insomma, che cosa facciamo? Da dove cominciamo? Ecco, noi due – il discorso vale per entrambi, a meno di improvvise smentite de mon ami l’arabe – abbiamo iniziato da qui, da questo passo della Genealogia della morale di Friederich Nietzsche, ultimo paragrafo della Prefazione. Certo, voglio precisare, a scanso di equivoci male armati, che questo passo è stato l’esordio. Quando abbiamo scoperto come si accende il fuoco.
8.
– Se per qualcuno questo testo sarà incomprensibile e sgradevole all’ascolto, la colpa, mi sembra, non è da attribuirsi necessariamente a me. Esso risulta bastevolmente chiaro, presupponendo, come presuppongo, che si siano precedentemente letti, non senza una certa difficoltà, gli altri miei scritti, perchè in realtà essi non sono di facile accesso. Per quello che concerne il mio “Zarathustra”, non considero suo conoscitore nessuno che non sia stato mai una volta profondamente ferito e profondamente esaltato da ognuna delle sue parole; solo allora, infatti, egli potrà godere del privilegio di partecipare rispettosamente dell’elemento alcionio da cui è nata quell’opera, della sua solare chiareza, della sua lontananza, ampiezza e chiarezza. In altri casi la forma aforistica presenta delle difficoltà: appunto perché oggi a questa forma non viene data la dovuta importanza. Un aforisma ben coniato e ben fuso non è ancora “decifrato” per il fatto stesso di venire letto; è piuttosto vero che da questo momento deve avere inizio la sua interpretazione, cosa per la quale occorre un’arte dell’interpretare. Nel terzo saggio di questo libro ho fornito un modello di quello che intendo, in un caso simile, “interpretazione” – questo saggio è preceduto da un aforisma*, e il saggio stesso ne è il commento. È chiaro che per esercitare così la lettura come arte, è necessaria soprattutto una cosa che al giorno d’oggi si è disimparata più di tante altre – e perciò, per arrivare alla “leggibilità” delle mie opere, ci vorrà ancora tempo – una cosa, cioè, per cui si deve essere piuttosto simili a una vacca e in nessun caso a un “uomo moderno”: il ruminare.
Sils Maria, Alta Engadina, luglio 1887
* Citazione al terzo libro:
– Incuranti, sarcastici, violenti – così ci vuole la saggezza: essa è una donna, ama sempre e solo un guerriero
(Così parlo Zarathustra)
http://www.youtube.com/watch?v=bBdWEusinFc&feature=related
Se fossi una talpa o una zecca, le citerei, cara Agathe, il passo di Zarathustra, quello che meglio rimanda alla scena del film.
E’ sempre emozionate questa scena.
Con un nitrito! (Lo specchio delle Idee)
“Detto tra parentesi: questi Greci hanno un mucchio di cosesulla coscienza: la falsificazione di ogni cosa è opera loro, l’intera psicologia europea è malata di superficialità dei Greci e seza quel poco di ebraismo ecc.ecc.ecc.” (a Overbeck, Febbraio 87)
“Doveva proprio vendicarsi un Socrate? Mancava forse alla sua straricca virtù un granello di magnanimità? – Ah, amici! Noi dobbiamo superare anche i Greci”
Gaia scienza, 340 – Socrate Morente
Chissà cosa avrebbe detto F.W.N di questo pezzo di Strauss dedicato al suo Zaratustra, me lo sono chiesto più volte essendo Federico pure musicologo. Essendo stato composto nel 1892 mi chiedo se qualcuno porto il corpo di F.W.N a sentire il pezzo, a dire il vero non ho mai indagato la questione ma nel tempo ci ho pensato più volte, ho tra l’altro il pezzo intero che dura un pò più di mezz’ora ed è molto Wagneriano…..si Wagneriano….
Per quanto riguarda il pezzo sull’aforisma me lo ricordo bene, in varie altre occasioni parla della “potenza” dell’aforisma, della sua compattezza, della sua enigma. Edgar Allan docet:
“Naturalmente un racconto prende sviluppo attraverso un “plot”, una trama, un intreccio. Non bisogna però adattare i pensieri alle esigenze della trama. E’ dopo aver stabilito con ponderata considerazione un determinato effetto da conseguire, che si inventerà, al contrario, la trama e si creerà via via le situazioni che meglio possano aiutare a rendere quell’effetto prestabilito. E’ l’effetto il prius (statu quo ante). Nell’intero contesto non dovrebbe esservi una sola parola scritta che non tenda, direttamente o indirettamente, a realizzare il disegno prestabilito.”
Gli aforismi di F.W.N sono figli di questo pensiero, e sappiamo quanto li curava.
Grazie Don Lozano per questo di passo di Poe – quegli docet sin duda.
Io però vorrei parlarvi (a voi tutti) di un dubbio mio proprio, a questo riguardo. Un tormento, a volte – e più in generale un dubbio in cui ondeggio da quando ho cominciato a scrivere “racconti”.
Prima esisteva solo l’aforisma, per me (prima ancora la poesia, ma è un tempo distante). Quando mi chiedono, se qualcuno mi ha chiesto: “chi è il tuo scrittore di riferimento?” “FWN” io dico. E loro: “no, dico, scrittore” “FWN”.
L’aforisma non è più lo stesso da allora, da FWN, per vari motivi. E la cosa si complica nettamente, perchè dopo FWN c’è Martino (il quale non aforistico, ma in base al quale almeno una necessaria categoria dell’aforisma nicciano viene meno).
Insomma per me venire al “racconto” è un modo di fare mio un campo, laddove, nell’altro, la strada pareva chiusa. Eppure, nella notte del dubbio, l’aforisma mi pare l’unica forma propria del pensiero radicale. Perchè l’aforisma è tutto effetto mentre il racconto, in qualche modo, è vagarci intorno. Così, mi pare di essermi declassato. ma solo nella notte del dubbio e non per sempre.