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L’unico elemento che mi lascia perplessa riguardo ai due romanzi di Lavie Tidhar al momento tradotti in italiano è il cambiamento dei titoli: Osama – A novel diventa Wanted, A Man Lies Dreaming diventa Wolf. Niente di trascendentale, tuttavia ho l’impressione che i titoli originali siano più poderosi ed evocativi, sia a livello iconico (Osama – A novel), sia a livello immaginifico (A Man Lies Dreaming). Il fatto è che la forza dei due romanzi di Tidhar sta nella padronanza con cui l’autore rimaneggia figure e fatti storici e li trasforma in altro (Adolf Hitler diventa un detective privato e Osama bin Laden è il protagonista di una serie di romanzi) in modo credibile e perturbante; i titoli nostrani normalizzano una poetica che vuole mostrarsi bizzarra fin dal titolo, e più vicina allo weird più succulento ed elegante che alla fantascienza o al thriller.

OSAMA BIN LADENPensò alla libertà. Era quello che avevi quando non ti restava più niente da perdere.
(Wanted, p. 287)

Molto spesso Lavie Tidhar viene accostato al miglior Philip Dick (quello di Ubik, La svastica sul sole, Tempo fuor di sesto, Valis), ma trovo questo paragone fuorviante: gli interessi di Tidhar non si rivolgono tanto alla filosofia e alla percezione del reale, quanto al modo in cui questo reale viene raccontato, al modo in cui il dato storico cambia mutando (o annullando) le circostanze in cui  si è sviluppato. Se in Wolf ci viene raccontato un Hitler che rimane Hitler anche se non è il führer (e buona parte del divertimento sta nello scoprire che questo Adolf ci sta simpatico, e che facciamo il tifo per lui), che si muove in un mondo in cui il nazismo si sviluppa a prescindere dal diretto coinvolgimento del suo leader, in Wanted abbiamo un protagonista che si muove in un mondo squisitamente fittizio, pieno di rimandi letterari e cinematografici (quello che coinvolge Casablanca è l’esempio più divertente, commovente e nostalgico), che indaga su Osama bin Laden, un personaggio inventato (ma per noi più reale del contesto del romanzo), e sul suo autore.

Lo scrittore israeliano è un giocoliere dell’iconicità: l’atto di ricerca, che in Dick porta al disvelamento del velo di Maya (l’“io sono vivo voi siete morti” di Ubik, i trip da emicrania di Noi marziani o Le stimmate di Palmer Eldritch fino all’architettura cosmica di Valis), in Tidhar diventa uno scontro tra immaginari diversi, in cui il fittizio allarga e smembra il reale e dove non c’è una soluzione definitiva (o un racconto definitivo), al contrario ogni versione illumina e stratifica l’altra, ampliando in maniera sensibile l’immaginario di chi legge.

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Il caos. Per tutta la mia vita avevo combattuto contro il caos!
Ero l’unico uomo del tutto sano di mente rimasto al mondo?
(Wolf, p. 186)

Il motivo per cui Lavie Tidhar è un autore importante (e, a parere di chi scrive, un autore che rimarrà, anche se solo all’interno di una nicchia) è palese: attraverso l’incrocio tra finzione e Storia, lo scrittore affronta lo smarrimento del soggetto all’interno di una realtà aumentata/racconto amplificato contemporanea e tuttavia eterna. I romanzi di Tidhar partono dal fantastico declinato in noir per arrivare al possibile della Storia. Ovvero alla narrazione.

Lavie Tidhar
Wanted (2012)
Trad. it. di Lorenzo Vetta, Annabella Campanozzi
Roma, Gargoyle, 2013
pp. 334

Wolf (2014)
Trad. it. di Alfredo Colitto
Milano, Frassinelli 2016
pp. 300