Universal Uniform Co. occupava un vecchio hangar in mezzo a una distesa rovente di Inglewood, un ghetto nero di Los Angeles. Il posto divorava manodopera a buon mercato.
Il magazzino conteneva un’infinità di scaffali carichi di bare di cartone piene di tute da operai, uniformi scolastiche, divise militari e da poliziotto, vestiti per lavoratori ospedalieri, divise per bande, completi di flanella a bassa manutenzione per esecutivi aziendali di basso rango e politici comunisti.
Treni merci rombavano dietro il retrobottega. Arrivavano e partivano camion e furgoncini di ogni misura. Le vetrine del negozio erano piene di pupazzi, controfigure di vittime della bomba atomica, vestiti da cuochi, piloti di linea, secondini.
Impiegati assomiglianti a esseri umani lavoravano nel negozio.
Rick il Manager mi prese come Direttore del magazzino perché ero più anziano, più calvo e più vicino all’essere bianco degli altri addetti. Secondo lui, le persone di colore e di lingua spagnola che vi lavoravano mi avrebbero rispettato e obbedito.
Quando Jane si presentò per l’intervista, la guardai entrare attraverso lo specchio-finestra tra il mondo della vendita al dettaglio e il limbo delle bare di cartone. Suggerii con veemenza a Rick il Manager di assumere la procace neo-diplomata dal liceo. “Prendila, o dirò ai messicani e ai negri di battere la fiacca”.
Rick subiva ogni prepotenza. Perciò aveva assunto Ramón come Direttore del negozio. Durante l’intervista, Ramón fece casuale menzione della pistola sotto il sedile della sua mastodontica jeep. Poteva essere, disse, un bene per la sicurezza aziendale. Ramón era un tipo ambizioso.
Jane sfoggiava un sorriso solare. Rick il Manager l’assunse senza problemi. Era davvero uno schianto, nella blusa da commessa. Ramón le sbirciava lo spacco delle poppe in formato 3D e a colori. Io la vedevo filtrata attraverso il vetro stile stanzetta delle interrogazioni.
Gli impiegati della Universal Uniform Co., quelli umani che vendevano la merce e i neandertaliani che sgobbavano nel magazzino, pranzavano a mezzogiorno. Il furgoncino dei burritos si fermava allo scalo merci del retrobottega: sciamavamo. Mesoamericani tozzi e scuri vestiti di bianco chiazzato d’unto servivano parecchie calorie al dollaro. Lo scalo di cemento diventava una mensa proletaria all’aperto e il furgoncino proseguiva verso la prossima fermata, un deposito di pneumatici.
Jane non era tonta. Non del tutto. Leggeva libri, andava al cinema, guardava il telegiornale.
Ramón era un mandrillo a due zampe, ma secondo Jane assomigliava a un cantante pop che all’epoca riscuoteva successo con le sue canzoncine sexy.
Durante le pause pranzo, Jane chiacchierava con me. Forse le ricordavo suo padre, che se l’era svignata. Si sbottonava la blusa per assorbire più raggi ultravioletti. Ramón risentiva della sua esclusione dalle nostre conversazioni. Appena finiva di divorare il burrito, tornava nel negozio per mostrarsi laborioso e telefonare a scrocco.
Dopo il lavoro, Jane usciva con Ramón, che non si tratteneva dallo spifferare tutto sui loro appuntamenti, entrando nei dettagli. Sembrava un sogno.
Non le avrebbe fruttato nulla, se Jane avesse mostrato le tette nude a Rick il Manager per convincerlo ad assumere anche suo fratellino Terry per l’estate. Tentò di suscitargli tenerezza, invece. Il ragazzo, disse, non aveva amici. Se non trovava qualche impiego, si vedeva davanti una vacanza lunga e solitaria. Rick fantasticò l’estate segaiola di un liceale che culminava in morte per autoasfissia erotica nella cabina doccia di una roulotte.
Jane aveva una macchinina scassata. Portava Terry al lavoro, la mattina. Spesso, la sera, usciva con la Jeep di Ramón, lasciando la sua bagnarola nel vicoletto tra lo scalo merci di Universal Uniform e i binari dei treni. Terry non aveva l’età per poter guidare da solo, e comunque non ne sarebbe stato capace. Veniva sua madre a raccattarlo dopo il turno, mentre la sorella andava a farsi fottere le poppe da un pistolero messicano imitatore di un cantante pop.
La madre di Terry parcheggiava al retrobottega perché non voleva occupare il posto legittimo di qualche possibile cliente ritardatario. Era tragicamente bella. Qualche carogna l’aveva mollata con due figli, rubandole i soldi e facendo commenti sul suo petto, il suo alito e il suo odore. Lavorava come receptionist o cameriera, o forse tutte e due.
Terry era una schiappa anche in quanto al magazzinaggio. Lasciava cadere in modo disastroso le grosse scatole. Faceva schifo a piegare, inscatolare e imballare. Era troppo debole per spingere carrelli. Gli venne affibbiato il nomignolo Spaz. Perfino i messicani lo chiamavano così. Terry era felice di essersi conquistato un nomignolo. Almeno qualcuno lo considerava. Cercavo di non sgridarlo troppo, poveretto. Si sarebbe messo a piangere. Spaz mostrò slancio quando lo misi a operare il Ciclope, un robot dall’occhio rosso-laser che sputava etichette postali nel Reparto Spedizioni. Terry era una specie di genio acefalo nel pigiare i bottoni dei codici postali.
Lo chiamavo Spaz anch’io, come tutti.
“Ehi Spaz, dì a Rick di venire subito. C’è un altro cliente adirato al telefono”.
“Yo! Spaz! Corri in ferramenta a prendere lame per i taglierini. Stai attento a non suicidarti mentre le porti”.
Jane lavorava per pagarsi gli studi. Spaz farfugliava progetti per comprare una macchina usata, o un kit di telescopio fai-da-te. Oppure avrebbe incrementato le sue collezioni di francobolli e fumetti. O comprato un regalo per il compleanno di sua madre, che viveva dentro una nebbia di infelicità sessuale.
Quando la madre di Spaz veniva allo scalo merci, uscivo nella luce del tramonto a fumare la sigaretta di fine turno. Lei si scollava dal sedile di similpelle e allungava le braccia mingherline sulla tettoia della macchina. Il finestrino le incorniciava le tettine puntute e la vita snella. Aspettava che il suo bambino inutile emergesse dal mondo del lavoro. Spaz le aveva detto che gli facevo da mentore, che gli davo responsibilità da adulto, permettendogli di guadagnare $4.65 all’ora per tutta l’estate. Mi salutava con una vocina da ragazza quando le passavo accanto, diretto alla fermata dell’autobus, ma non mi offrì mai un passaggio. Forse aveva sentito in che modo avevo perso la patente. O forse era solo che lei, Spaz e Jane abitavano nella direzione opposta.
Jane si ammirava allo specchio-finestra del negozio quando non c’erano clienti. Si aggiustava il reggiseno, riaccomodava il petto, sperimentava sbottonature. Aveva un intuito soprannaturale di quando stavo dall’altra parte, o forse lo specchio lasciava scorgere ombre da dietro il mercurio. Qualche volta anche Spaz si avvicinava per vedere il sexy show. Rischiava forti danni psichici se dava sfogo a fantasticherie masturbatorie sulla sorella, ma ragazze non-parenti devono sembrare impossibili a ragazzi come Spaz.
Il magazzino era pieno di cartaccia sulla quale scarabocchiare ordinazioni telefoniche, percorsi per le consegne, rapporti di merce danneggiata, lamentele dei clienti. La madre di Spaz probabilmente non aveva mai ricevuto una romantica lettera d’amore. Mi buttai:
Cara bella madre di Terry,
riesci a sentirlo, quando qualcuno si accorge che ti senti sola? La matematica basilare della solitudine vuole che due negativi vengano insieme per formare un positivo. Possiamo aiutarci a vicenda a uscire dall’equazione che niente amore equivale a nulla da nessuna parte.
Poi scrissi qualche porcata.
Scoccai le dita. “Qui, Spaz. Ho una missione per te”.
“Agli ordini, capo”.
“Come senz’altro saprai, tua sorella Jane non ti accompagna stasera perché esce con Ramón. Ora, devi consegnare questo a tua madre quando viene per riportarti a casa, dopo. Mentre sta guidando, capisci?”
“Ehm… cos’è?”
“È una lettera d’amore, Spazetto mio. Ma non è per te. Quindi non leggerla”.
“Ma chi gliela manda?”
“Io, Spaz”.
“Sei innamorato di mia madre?”
“Lo scopriremo”.
“Perché non gliela dai tu, allora?”
“Chi è il capo qui, Spaz?”
Spaz diede la lettera a sua madre. Lei mi sorprese, telefonò al numero che avevo scritto in stampatello enorme in fondo al foglio. La gestione del motel mi permetteva ancora di ricevere telefonate gratis. Ci mettemmo d’accordo per incontrarci in un altro motel, nella San Fernando Valley. Lei accettò di passare a prendermi alla fermata dell’autobus. Disse che il suo nome era Mona quando la chiamai Signora Kerstner.
Gli incontri con Mona nei motel divennero una cosa regolare, per qualche tempo. Ma non andammo mai oltre incontri nei motel. Andare oltre sarebbe stata una complicazione indesiderata, che poi lo stesso cambiò in qualcosa che vorrei poter rifare diversamente.
Spaz si faceva delle maratone davanti al televisore, le notti che sua madre passava con me nei motel. Oppure faceva ciò che fa la gente con le loro collezioni di francobolli e fumetti, o rovistava tra le mutandine e i reggiseni di sua sorella, mentre lei stava a gambe per aria dentro la mostruosa jeep di Ramón.
Jane mi guardava in modo diverso, durante le pause pranzo. Forse lei e sua madre si scambiavano confidenze sessuali. Jane mi chiese dove abitavo, e perché prendevo sempre l’autobus malgrado avessi un impiego fisso. Le dissi dove abitavo. Ramón sentì.
Jane veniva a trovarmi al motel dove abitavo quando sua madre faceva il turno di notte. Forse diceva a Mona che usciva con Ramón. Non parlavamo di sua madre. Parlavamo pochissimo.
Ramón fece stridere i copertoni, inchiodando accanto a me sulla strada deserta parallela ai binari dei treni merci. Continuai, guardando avanti. Sentii un click metallico. Ramón mi puntò contro il suo pistolone magnum. Non c’era nessuno in giro. Disse, “Ehi, Calvino!”
Sono pelato. Davano nomignoli anziché tredicesime, alla Universal Uniform Co.
A Ramón non piaceva che lo si ignorasse mentre impugnava la pistola. Tanto valeva guardarlo, se voleva uccidermi.
“Stavo solo scherzando, fava” disse, dopo qualche nervoso attimo. “Ma davvero pensavi che ti avrei sparato?”
Ripartì, spruzzandomi di fumo, ghiaino, polvere.
Jane scialacquò una percentuale dei soldini per il College in biancheria intima sexy. Forse aveva letto, in una delle riviste di sua madre accatastate accanto alle notifiche di mora mandate a chi non paga gli abbonamenti, che agli uomini maturi piacciono i reggicalze.
Visto che sua madre si sentiva sempre sola, andavo con lei in diversi motel nella San Fernando Valley diverse sere al mese. Mona pagava per i filmini porno sulla tivù a circuito chiuso perché alle donne mature piacciono. Uomini maturi possono imparare nuovi trucchi eccitanti, osservando all’opera i professionisti.
Spaz proseguì la storia d’amore professionale con il Ciclope per tutta l’estate.
Poi finì la bella stagione e incominciò il College.
Jane svenne in un supermercato prima degli esami. Il manager la vide allungata sulle mattonelle della corsia delle merendine e chiamò l’ambulanza. I medici del pronto soccorso constatarono che Sara Kerstner aveva il cancro praticamente dappertutto.
Era delusa, perché era stata così contenta quando erano svanite le belle cicce che aveva al pancino e ai fianchi. “Credevo di essermi finalmente trasformata in donna” disse. Mi proibì di mettermi il preservativo, l’ultima volta che venne a trovarmi al motel.
Morì qualche settimana dopo, a 21 anni.
Mona telefonò per dirmi che era morta sua figlia. Disse che non ce la faceva a venirmi a prendere alla fermata dell’autobus per l’appuntamento al motel di mercoledì sera. Si sentiva in colpa perché si era inventata come pretesto una figlia malata, alcune delle sere che marinò il lavoro per stare con me. Poi sua figlia si era ammalata davvero. Disse che mi avrebbe ritelefonato, ma non lo fece mai.
Ramón si arruolò nell’esercito. Lo mandarono a invadere il Kuwait, ma non sparò nemmeno un colpo. Visto che aveva esperienza nel settore delle vendite, lo misero nel battaglione delle provviste e dei rifornimenti.
Spaz mollò il liceo. Si prese il mio lavoro quando Rick il Manager finalmente mi licenziò.
Mentre svuotavo l’armadietto, Spaz mi porse una busta col logo aziendale di una manifattura di scaffali in alluminio. Dentro c’era una foto Polaroid di Jane, nuda, spaparanzata su un divano, che soppesava le tette tonde e radiava un sorriso abbacinante.
Spaz andò a vivere con Rick pochi giorni dopo aver compiuto 18 anni.
I treni merci passano accanto al retrobottega di Universal Uniform, vanno avanti e indietro dal porto di San Pedro fino in Alaska.
Matthew Licht © 2018
Un racconto che potrebbe essere veritiero, un quotidiano descritto con sapienza, con passione e che avvolge.