Di Lucio Fulci ho visto pochissimi film: l’immortale Non si sevizia un paperino (uno dei film più disturbanti di sempre), Beatrice Cenci e gli ultimi due della Trilogia della morte, ovvero …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà (geniale, allucinato, perfido) e Quella villa accanto al cimitero. Questi pochi titoli mi sono bastati per vedere in Fulci un narratore coltissimo, profondo ma soprattutto furioso: le sue storie sono sovrabbondanti e al contempo essenziali, estreme, raccontate con una voce che non ha paura di andare dritta al sodo, di rendere un’idea, di descrivere un’azione nella maniera più diretta e brutale possibile.
Dall’attenzione maniacale verso gli occhi (inquadrati per mostrare gli stati d’animo dei personaggi, ma anche trafitti, tranciati, cavati), alla violenza raccontata senza stacchi, alle storie colme di peccato, di crudeltà, di male, di dolore di vivere, ogni elemento, nelle opere del regista/sceneggiatore/scrittore, converge verso l’intensità, l’entusiasmo bramoso di raccontare. Questo a prescindere dal genere di riferimento, dal budget, da qualsiasi circostanza e, come dimostra Le lune nere, anche dalla modalità espressiva.
Davide è seduto sul pavimento, accanto al lettino. Continua a piangere e a chiamare i genitori.
Giorgio entra nella stanza al buio. Solo il fascio di luce che proviene dal corridoio. Ordina al bambino di smetterla con quella lagna. Ma Davide continua a piangere.
Giorgio gli si avvicina minaccioso, puntandogli contro il grosso coltello da cucina. Si avventa contro Davide e comincia a colpirlo con inaudita violenza. Il pianto del bambino diventa un grido disperato, mentre Giorgio continua a colpire come in preda a un raptus irrefrenabile.
Sebbene salti agli occhi come la scrittura non sia il medium congeniale all’autore (alcuni racconti sembrano appunti per film a venire – Porte del nulla e Voci dal profondo sono effettivamente stati trasposti sullo schermo) Le lune nere è una raccolta interessante, e non solo per gli appassionati del genere o per i fan di Fulci, ma per tutti coloro che possono essere sedotti da un sistema narrativo costruito sull’abbondanza, sul grottesco, ricco di una polemicità sottile e non predicatoria: il racconto viene sempre prima di tutto, l’esasperazione non è mai fine a se stessa e si accompagna a un’ironia marcata ma sempre al servizio della storia. Lucio Fulci è un artigiano che spreme i mezzi che ha a disposizione, per quanto modesti, per ottenere una scrittura semplice e stratificata allo stesso tempo.
Le parole «arroganza di potere» e altre che ben conosciamo noi, non passavano per il cervello di Mr Zero, ma concetti più semplici, come il pudore di non mostrare il sesso ai prepotenti: il sesso è un fatto personale.
Infatti si rifiutò immediatamente e si nascose mostrando solamente il culo al ronzio. Così si sentì la voce sempre più sgradevole: «Meglio non insistere, è messo in altra posizione, ma stia sicura signora, lo abbiamo beccato: è maschio».
Tutto era inaudito. Mancavano di vergogna questi ignobili cafoni. Ma chi erano?
Al di là della completa mancanza di limiti e pudore, la forza di Fulci si conferma essere la propensione ad andare oltre il fatto narrato attraverso il racconto stesso, rivelato nella sua essenza più cruda ed eccessiva. E allora ecco una Via Crucis che da recitata diventa reale (In assenza di Dio, racconto arricchito da un retrogusto da La ricotta pasoliniana), il disprezzo di un feto nei confronti di chi lo ospita (Contestazione), la riproduzione di una guerra non si sa quanto immaginata (Uomo di guerra).
E anche il divertimento e l’ironia sarcastica che accompagnano la lettura fanno presto a trasformarsi in qualcosa di diverso.
Inquietudine, forse.
Lucio Fulci
Le lune nere (1992)
Milano, Il Saggiatore, 2014
pp. 145