La gente deve sapere. La gente deve sapere che c’è stata quella volta che potevamo farcela, sai? Potevamo davvero farcela. Nella gente c’era abbastanza speranza e stanchezza e non poterne più e voglia di sognare che qualcosa poteva succedere davvero. […] Forse è una cosa troppo grossa per te. Forse è una cosa troppo grossa per un solo libro e dovresti marcarla stretta. Stare sul pezzo. […] Quando metti giù la prima frase me lo dici? Mi piacerebbe sapere quale sarà. Oh, ce l’hai già? No, fratello, non dirmela. Voglio che prima la scrivi.
Sì, puoi usare il mio vero nome. Allora che nome avresti usato? Ma sì, cavolo, scrivilo ‘sto libro. Però fammi un favore e fallo anche a te stesso. Aspetta che siano morti tutti prima di pubblicarlo, d’accordo?
(Breve storia di sette omicidi, pp. 561-62)
Il vocabolario Treccani definisce l’«energia» come la grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema fisico di compiere lavoro, a prescindere dal fatto che tale lavoro sia o possa essere effettivamente svolto; alla luce di ciò, i romanzi di Marlon James sono esplosioni di energia purissima.
Il lavoro che le tre opere di Marlon James compiono è quello di ricercare la verità; la modalità con cui tale verità viene suggerita (pertanto il lavoro non può essere effettivamente svolto, o concluso, ma continua in perpetuo) è il racconto di una storia, o, nel caso di Breve storia di sette omicidi, di moltissime storie, che, se da un lato allargano la percezione e la comprensione del fatto raccontato, dall’altro lo rendono inconoscibile e incomprensibile.
Ma quello che importa, nelle storie dello scrittore giamaicano, è l’atto del narrare unito a quello di ascoltare (elaborare) l’oggetto della narrazione. Conoscere significa riuscire a introiettare nuove storie combinandole con ciò che si conosceva prima; la conoscenza ottenuta per interposta persona ha esattamente la stessa valenza della conoscenza avvenuta attraverso l’esperienza diretta.
Da ciò l’importanza che viene data alla menzogna e all’omissione: non comunicare onestamente quello di cui si è a conoscenza diventa peccato gravissimo (la rivelazione finale de Il Diavolo di John Crow è interamente basata su questo meccanismo, e il Santo Salvatore diventa immediatamente Demone, deprecabile ma comunque degno di pietà), foriero di catastrofi e ricco di implicazioni malvagie.
Questo perché, nei romanzi di James, noi sappiamo chi siamo, o, meglio, noi siamo quanto raccontiamo e esistiamo nel momento in cui raccontiamo.
Lasciateci raccontare di Padre Rum. Anche se non andrete a stare mai dalle sue parti dovete sentire la sua storia! Dopo sei anni la storia falsa e quella vera si sono strofinate così bene a vicenda che ognuna brilla alla grande. La gente crede che tutto è andato all’Inferno dopo che il Diavolo si è preso Lillamae Perkins, ma se conoscevate già Padre Hector Bligh della Santa Chiesa Sepolcrale del Santissimo Vangelo di san Tommaso Apostolo, avreste saputo che lui sulla strada per l’Inferno lo era già da molto tempo.
(Il Diavolo di John Crow, p 17)
Il fatto che la parola sia una questione di vita o di morte (nel vero senso del termine, soprattutto ne Le donne della notte, dove la consapevolezza della propria condizione si crea nel momento in cui ci si legge, e la sopravvivenza viene data dalla capacità di raccontarsi) porta la scrittura di James a un livello di consistenza sensuale e tangibile: ogni lettera è polvere da sparo e le parole, le frasi, diventano armi cariche e pericolosissime. Forse il paragone non è esatto, perché la stessa voce di James non è uno stile ma un ruggito, una pura espressione di potenza, una letteratura che si nutre di altra letteratura e che in questa trova la propria ragione di vita. Marlon James non impugna l’arma e non ce la punta contro, ma si limita ad assistere assieme a noi all’esplosione provocata dal cortocircuito nato dallo sfregamento di diversi sistemi di narrazione (Bene contro Male ne Il Diavolo di John Crow, Padroni contro Schiavi ne Le donne della notte, Tutti contro Tutti in Breve storia di sette omicidi) e, solo dopo, di vita.
Qualunque negra può diventare una donna nera in segreto. È per questo che siamo scure, perché scompariamo nella notte e diventiamo spiriti. La pelle se ne va e noi diventiamo quel che vogliamo. Diventiamo chi siamo. Al buio senza pelle posso scrivere. E quel che è scritto nell’oscurità è libero che più libero non si può, anche se non viene alla luce e non si libera per davvero.
(Le donne della notte, pp. 438-39)
Si potrebbe dire che il punto più alto del sistema narrativo viene raggiunto da Marlon James quando chi racconta scompare e resta solo l’atto del raccontare: l’ambizione della scrittura di James è quella di raggiungere lo status di epica, ovvero un qualcosa in cui la parola riesce ad avere un valore talmente robusto e sonoro e puro da non aver bisogno di un narratore per assurgere all’eternità; una parola che non abbia bisogno di un narratore per esistere, in quanto portatrice di uno stato di cose assoluto, esatto e inoppugnabile.
E vero.
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Marlon James
Il Diavolo di John Crow (2005)
Trad. it. di Flavio Santi
Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2008
pp. 276
Le donne della notte (2009)
Trad. it. di Paola D’Accardi
Milano, Frassinelli, 2016
pp. 439
Breve storia di sette omicidi (2014)
Trad. it. di Paola D’Accardi
Milano, Frassinelli, 2015
pp. 686
* In copertina: Marlon James, the 2015 Booker Prize winner. He is the first Jamaican to have ever won the prize. Photographed at the Four Colman Getty offices, London.