Lo scopo che mi propongo in questa lezione è capire come l’ipotesi fisiologica si sia affermata, e cosa in particolare ne abbia fatto Eraclito.
In sintesi: l’ipotesi fisiologica dice la coappartenenza e l’armonia di logos e physis. Questo vuol dire, in prima istanza, che quando si parla del logos, tutte le volte che il logos entra in scena, per il fatto stesso che esso è menzionato, viene nominata con esso anche la physis. Quest’affermazione può essere precisata e sintetizzata ancora di più: se il logos parla, dice la physis. Una tale formulazione, però, rimane in fin dei conti esoterica, se non viene specificato che cosa si debba intendere con i due termini implicati nell’equazione. Che cosa sono dunque il logos e la physis?
Tradotti rispettivamente con «discorso», «ragione», e con «natura», entrambi ammiccano costantemente a un tradimento. Le traduzioni riportate, infatti, nascono già come interpretazioni e forzano il significato dei due termini in una direzione evidentemente attualizzante, che li chiude nel circolo vizioso dello hysteron proteron.
Ecco perché, per dare un sostrato e un contenuto reali all’ipotesi, bisogna rivolgersi alle fonti originarie e non accontentarsi di traduzioni pregiudicate.
Nelle Leggi Platone definisce la physis, mettendola in stretta relazione con la genesis: «Con natura s’intende parlare della generazione riguardo alle cose prime» (Plat. Nom. 892c.). Dietro questa apparentemente rapida asserzione, tuttavia, si celano numerosi non detti e allusioni. Faccio notare subito il legame di physis e genesis, ma vorrei si ponesse particolare attenzione al modo in cui è definita la genesis, la «generazione», dal verbo gennao, che, tra le altre cose, rimanda alla «generazione da parte del padre», quindi alla produzione filiale e alla prosecuzione della stirpe. In questo senso, nel momento stesso in cui la questione è posta, sembra si dichiari una specie di stabilità circa l’esistenza di un fondamento, che sarebbe assicurato dal ritrovamento di una cosa prima, del proton come arché (equazione poi chiara in Arist., Metaph., 1013a7-10). In questo passaggio si può individuare lo scarto iniziale (archetipico) del movimento speculativo che differenzia la filosofia dal mito. Di questo scarto o svincolo già Nietzsche si accorse, quando argomentava: «La filosofia greca sembra cominciare con un’idea inconsistente, cioè con l’affermazione che l’acqua è l’origine e il grembo materno di tutte le cose. È veramente necessario soffermarci su questo punto, e prenderlo sul serio? Sì e per tre ragioni. In primo luogo, perché tale proposizione dichiara qualcosa riguardo all’origine delle cose; in secondo luogo, perché fa ciò prescindendo dalle immagini e dalle favole; in terzo luogo, infine, perché in tale proposizione è contenuto […] il pensiero: tutto è uno» ( F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, Milano, 2006.). Con questa affermazione, il filosofo faceva notare che non appena veniva posto questo tema della ricerca dell’arché, esattamente in quel momento cessava di esistere, per l’uomo, il regno indifferenziato del mito, e al suo posto nasceva davanti ai suoi occhi il luminoso rigoglio della natura, appunto della physis, dal verbo phyo, parola che pure in questo caso si riferisce nella sua radice all’atto della nascita, della produzione.
Si può affermare, dunque, che la physis la quale dice la genesis dell’arché – data la corrispondenza tra arché e proton –, esprime il disincantamento del mondo mitico, e segna l’inizio di un’indagine embrionalmente scientifica circa il mondo che circonda l’uomo.
Quanto detto finora sulla physis coincide con i termini speculativi su cui poggia il pensiero di Eraclito, che presenta una prima e compiuta definizione dell’ipotesi fisiologica, ossia una sua espressione già perfettamente matura. In più, in Eraclito emerge prepotentemente una nuova specificazione del termine logos, che in tale rinnovata accezione compare sin dal fr. 1:
«Di questo logos che è (eontos) sempre gli uomini non hanno comprensione, né prima di sentirlo né dopo averlo sentito una prima volta; e anche se tutte le cose divenienti (gignomena panta) avvengono secondo il logos (katà ton logon)[1], essi somigliano a inesperti, quando si cimentano in parole e azioni, quali io vado presentando, distinguendo ciascuna cosa secondo natura e indicando come sta. Ma agli altri uomini sfuggono le cose, quante ne fanno svegliatisi, siccome dimenticano quante ne compiono dormendo».
Qui il logos è detto eontos; i gignomena panta, ossia «tutte le cose che divengono» rimandano anche direttamente alla genesis, al verbo gignomai; infine i gignomena panta non si dicono e non avvengono semplicemente di per sé, bensì secondo il logos, cosa che qui vuol dire che il logos stesso è il dominio dell’essente, cioè – si badi bene – che il logos non sta al di fuori dell’essente, ma ne è in qualche modo la misura. In altri termini il logos qui compare in una sua prima veste essenziale: essere esattamente e sempre il dominio dell’essente. In questo senso allora, è davvero difficile autorizzare quella lettura che vede una contrapposizione fra divenire ed essere, ancora più se con ciò si è voluto insinuare un’opposizione personale fra due filosofi. Possiamo, quindi, con maggiore tranquillità dire: il logos è l’essente sempre, ed è il katà secondo cui avvengono i gignomena panta – sicché essere e divenire si co-implicano, anziché opporsi.
L’immediata conseguenza di questo fatto, è l’affermazione dell’assoluta unità del logos, con l’appendice della dottrina della coincidenza degli opposti. Nel fr. 50 Eraclito dice: «Non me, ma ascoltando il logos è saggio ammettere che tutte le cose sono uno». Il logos è dunque qualche cosa che non dipende dall’intendimento umano, ma esprime un passaggio verso un grado di rango maggiore di discernimento, definito eontos, il quale al suo interno ricomprende anche il cosiddetto divenire, e che afferma l’unità di tutte le cose. Per quanto riguarda invece la misura, cui si accennava prima, il fr. 30 è esplicito al riguardo, e nomina questa funzione del logos nei termini designati dal lemma kosmos: «Quest’ordine, che è lo stesso per tutte le cose, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini, ma era sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che si accende e si spegne (in) misure». Il kosmos è allora un’espressione del logos, in quanto è lo stesso per ogni cosa. Ma ancor più essenziale è notare che questo «essere lo stesso» del logos (identità del logos con se stesso in tutte le cose) è caratterizzato in primo luogo dal suo incarnarsi «in misure», appunto. Ne risulta che logos è anzitutto una misura.
Questa concezione eraclitea, rispetto a quella di Talete, ha elevato la questione di una ricerca della natura su un piano che non si radica più meramente nel regno sensibile, ma pone l’indagine in termini geneticamente più radicali. Eraclito scopre il principio dell’indagine nel logos, che però non è una cosa singola, un singolo principio, ma una misura generale e ordinatrice dei gignòmena panta. Il logos nomina così direttamente la physis in quanto ne esprime la misura e in qualche modo l’intima costituzione. E pure esprimendo la physis, tuttavia, non dice semplicemente le cose in quanto tali, ossia le singole cose, ma le ricomprende in uno sguardo unitario, che è quello dell’Uno-Tutto. È questo il motivo per cui vi è l’unità dei contrari, perché ciò che garantisce l’unità è il lavorio del logos.
Detto altrimenti: l’attributo dell’essere essente, dell’eontos, non spetta tanto alle singole cose, quanto alla loro misura e ragione, ossia al logos. Tuttavia, anche se il logos è una misura dei gignomena panta, la conseguenza abbastanza incresciosa rispetto alla concezione stessa della natura sembrerebbe essere che la natura, in questo punto si sottragga a una qualche forma di stabilità, diventando così impredicibile. In effetti, il fiume di DK 22 B 91, è pericolosamente instabile, non è mai lo stesso più di una volta, evapora, come l’hic et nunc della conoscenza sensibile[2]: se guardo un albero e mi giro dall’altra parte, ecco che quell’albero, quando mi volto, non è più, e dunque io non posso conoscerlo stabilmente. Questa prima canonizzazione dell’ipotesi fisiologica, allora, non sarebbe esente da problemi, giacché se scopre il logos come principio unico, pur tuttavia non sembra poter essere in grado di aspirare a una conoscenza salda della cose, ma anzi discioglie le cose nell’unità indifferenziata dei contrari, in qualche modo persino cancellandole. Già a partire da questo punto spero quindi che possiate rendervi conto di quanto il confronto con una teoria del genere possa essere essenziale in vista della fondazione di una episteme come esigenza di un sapere saldo degli enti, cioè della natura e delle cose, cosa che accade in una discussione del Teeteto di Platone, quindi nel momento in cui il filosofo ateniese mette in discussione il suo stesso sistema e ne prova la dimostrabilità dialettica.
Questo articolo è apparso anche su Ô Metis III Raggiro/Ritorno
[1] Non va sottovalutato, filologicamente, il fatto che l’ontologia del divenire in Eraclito andava di pari passo con il logos e, quando Platone nel discuterla elimina dalla formulazione eraclitea il katà ton logon assumendo soltanto i gignomena panta, finisce per presentare come di Eraclito una propria perversione del puntuale fr. 1 Diels Kranz.
[2] «Nello stesso fiume non è infatti possibile discendere due volte, secondo Eraclito, né si può toccare due volte sostanza mortale secondo il suo stesso stato; ma a causa dell’impeto e della velocità del mutamento, si disperde e di nuovo si raccoglie (di più, né di nuovo né dopo, ma allo stesso tempo si riunisce e svanisce), e proviene e viene risospinto all’indietro».